In una sua risposta lei sintetizza in maniera chiara e accessibile a
tutti, le diverse posizioni che si auumono nel rapporto tra e gli elementi più
significativi della nostra vita – l’amore e il dolore – e Dio come possibile
soluzione. Alla fine lei sostiene; “Il conforto può venire solo da un fremito
di trascendenza”. Io ho cercato da sempre Dio e l’ho trovato solo nella tragica
solitudine del dolore e nelle emozioni delle relazioni d’amore. L’ho trovato,
quindi, non nella razionalità dei pensieri, ma nel “sentire” della mia
interiorità, in un sentire che esiste qualcosa di misterioso nella vita che
trascende l’umana realtà e fa intravedere l’esistenza di un’energia spirituale,
anche se senza risposte. Posso azzerare le religioni come qualcosa di
trascendente, perché le considero costruzioni dell’uomo, ma non riesco a negare
e ad annullare questa spiritualità che avverto in me, negli altri, nella vita
tutta e nell’armonia dell’universo. Non può essere, questa, solo la costruzione
illusoria di un bisogno. E’ qualcosa di reale, di diverso e di più, è qualcosa
di misterioso che esiste nell’universo, nonostante qutto il male del mondo, e
che salva il mondo stesso. Anche lei parla di “soffio di spiritualità”, il mio
con “sentire” può identificarsi con questa sua espressione o va in altra
direzione? Quale? Io non so, mi aiuti lei a capire. nirange@libero.it
La parola “trascendenza è stata
sequestrata dalla religione e identificata con Dio. Ma non è questo l’unico
senso della parola. A differenza dell’animale, infatti l’uomo sa di dover
morire e per dar senso alla propria esistenza questa consapevolezza gli fa
nascere il pensiero di un’ulteriorità, che tale rimane comunque la si pensi (..).
A portarci sulle tracce di questi due destini è il dolore e l’amore. Se ad
attenderci è il Nulla, il dolore non ha senso. Ma, come pensavano gli antichi
Greci – gli unici che hanno preso sul serio la morte al punto di chiamare
l’uomo “il mortale” – il dolore fa parte dell’esistenza e quando fa la sua
comparsa occorre, come dicevano gli Stoici, reggerlo e astenersi dal metterlo
in scena (substine et abstine). (..).
Se Dio, come vuole la concezione cristiana, viene pensato come un Padre che
assiste e conforta nel dolore e chiede agli uomini di amarsi come lui li ama,
allora la trascendenza ha un valore consolatorio nel caso caso del dolore, e
diventa un precetto morale nel caso dell’amore. Se invece Dio è solo una
metafora di cui ci serviamo per dare un nome al nostro bisogno di trascendenza,
di oltrepassa mento delle relazioni umane, dove le parole che si scambiano
sembrano insoddisfacenti sia nel caso del dolore che dell’amore, allora gli
spazi si trascendenza si ampliano, fino a interrogare sulla genesi del mondo,
sul senso della vita, sull’origine del male, sul perché dell’iniqua
distribuzione dei doni e dei dolori. E
sulla ragione per cui l’amore per Dio e l’amore per gli uomini, come ci insegna
la storia di Abelardo ed Eloisa, non collimano in una visione armonica. (..).
La notte del dolore e la notte dell’amore, proprio perché inabissano ogni
stabilità e identità diurna, sono le due vie che possono soddisfare la nostra
mai ininterrotta ricerca di un’ulteriorità di senso, al di là della legge del
giorno che al dolore chiede solo guarigione e all’amore stabilità e continuità.
Per un raggio di trascendenza occorre oltrepassare quello che Kierkegaard
chiama “stadio etico” per raggiungere lo “stadio religioso”, dove anche i
vincoli dell’etica sono infranti.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 5 Dicembre 2015 -
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