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sabato 12 dicembre 2015

Lo Sapevate Che: Cosa cerchiamo nel fondo della notte...



In una sua risposta lei sintetizza in maniera chiara e accessibile a tutti, le diverse posizioni che si auumono nel rapporto tra e gli elementi più significativi della nostra vita – l’amore e il dolore – e Dio come possibile soluzione. Alla fine lei sostiene; “Il conforto può venire solo da un fremito di trascendenza”. Io ho cercato da sempre Dio e l’ho trovato solo nella tragica solitudine del dolore e nelle emozioni delle relazioni d’amore. L’ho trovato, quindi, non nella razionalità dei pensieri, ma nel “sentire” della mia interiorità, in un sentire che esiste qualcosa di misterioso nella vita che trascende l’umana realtà e fa intravedere l’esistenza di un’energia spirituale, anche se senza risposte. Posso azzerare le religioni come qualcosa di trascendente, perché le considero costruzioni dell’uomo, ma non riesco a negare e ad annullare questa spiritualità che avverto in me, negli altri, nella vita tutta e nell’armonia dell’universo. Non può essere, questa, solo la costruzione illusoria di un bisogno. E’ qualcosa di reale, di diverso e di più, è qualcosa di misterioso che esiste nell’universo, nonostante qutto il male del mondo, e che salva il mondo stesso. Anche lei parla di “soffio di spiritualità”, il mio con “sentire” può identificarsi con questa sua espressione o va in altra direzione? Quale? Io non so, mi aiuti lei a capire.  nirange@libero.it
La parola “trascendenza è stata sequestrata dalla religione e identificata con Dio. Ma non è questo l’unico senso della parola. A differenza dell’animale, infatti l’uomo sa di dover morire e per dar senso alla propria esistenza questa consapevolezza gli fa nascere il pensiero di un’ulteriorità, che tale rimane comunque la si pensi (..). A portarci sulle tracce di questi due destini è il dolore e l’amore. Se ad attenderci è il Nulla, il dolore non ha senso. Ma, come pensavano gli antichi Greci – gli unici che hanno preso sul serio la morte al punto di chiamare l’uomo “il mortale” – il dolore fa parte dell’esistenza e quando fa la sua comparsa occorre, come dicevano gli Stoici, reggerlo e astenersi dal metterlo in scena (substine et abstine). (..). Se Dio, come vuole la concezione cristiana, viene pensato come un Padre che assiste e conforta nel dolore e chiede agli uomini di amarsi come lui li ama, allora la trascendenza ha un valore consolatorio nel caso caso del dolore, e diventa un precetto morale nel caso dell’amore. Se invece Dio è solo una metafora di cui ci serviamo per dare un nome al nostro bisogno di trascendenza, di oltrepassa mento delle relazioni umane, dove le parole che si scambiano sembrano insoddisfacenti sia nel caso del dolore che dell’amore, allora gli spazi si trascendenza si ampliano, fino a interrogare sulla genesi del mondo, sul senso della vita, sull’origine del male, sul perché dell’iniqua distribuzione dei doni  e dei dolori. E sulla ragione per cui l’amore per Dio e l’amore per gli uomini, come ci insegna la storia di Abelardo ed Eloisa, non collimano in una visione armonica. (..). La notte del dolore e la notte dell’amore, proprio perché inabissano ogni stabilità e identità diurna, sono le due vie che possono soddisfare la nostra mai ininterrotta ricerca di un’ulteriorità di senso, al di là della legge del giorno che al dolore chiede solo guarigione e all’amore stabilità e continuità. Per un raggio di trascendenza occorre oltrepassare quello che Kierkegaard chiama “stadio etico” per raggiungere lo “stadio religioso”, dove anche i vincoli dell’etica sono infranti.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 5 Dicembre 2015 -

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