Fra I Libri Che
S’Assiepano, come
una folla silenziosa, in ogni angolo di casa ho trovato un’edizione del 1977.
Autore: Alfredo M. Bonanno. Titolo: “La gioia armata”. Comincia così: “Ma
perché questi benedetti ragazzi sparano alle gambe di Montanelli? Non sarebbe
stato meglio sparargli in bocca”. E continua: “Certo che sarebbe stato meglio.
Ma azzopparlo significa costringerlo a claudicare, farglielo ricordare”. Erano
i nostri anni di piombo. E il piombo delle pallottole si fondeva con di piombo
delle rotative. Anni segnati da una legislazione d’emergenza, come la legge
Reale del 1975, che estese il ricorso alla carcerazione preventiva, insieme
all’uso delle armi da parte della polizia. Eppure un testo così lo ritrovi in vendita
(500 lire) nelle librerie, accanto ai romanzi di Calvino o ai saggi di
Foucault. A ripeterle adesso, quelle medesime parole, a declinarle in sostegno
del terrorismo islamico, s’aprirebbero le porte delle patrie galere: per
l’autore, l’editore, il distributore, il libraio, e magari pure per il lettore.
E’ il primo effetto della guerra che ci è stata dichiarata, benché per noi
italiani la parola stessa sia un tabù. Che la pronunzi Hollande, che la
menzioni papa Francesco (“la terza guerra mondiale a pezzi”), se proprio ci
tengono a mettersi un elmetto sulla testa. Noi, viceversa, ci difendiamo dalla
guerra esorcizzando innanzitutto la parola. E mettendo all’indice “la parola
contraria” per citare il pemphlet di Erri De Luca, un altro che ha avuto guai con
la giustizia dopo aver auspicato il sabotaggio della Tav. Sicché la libertà
d’espressione viene progressivamente
imbavagliata, sequestrata. Anche se l’articolo 21 della Costituzione la
proclama nel modo più solenne, anche se la Consulta la definì a suo tempo
“pietra angolare dell’ordine democratico” (sentenza n.84 del 1069). (..). Domanda:
sbagliavano prima o abbiamo torto adesso? Domanda bis: e se mi capita di dire
che in Siria l’Is fa bene a combattere Assad, il suo regime feroce ed
oppressivo, rischierò l’incriminazione? In tempo di pace, però questo è un tempo
di guerra. Guerra esterna, non un conflitto intestino, come sperimentammo
quarant’anni fa. (..) Sicché La Domanda è ancora un’altra, una domanda al
bivio fra la vita e la morte, fra identità e sopraffazione, fra sicurezza e
libertà. Certo, quando sei in pericolo devi rinunziare a quote dei tuoi vecchi
diritti. E d’altronde non esiste un diritto a proclamare tutto ciò che ti passa
per la testa. Come scrisse il giudice Holmes nella sua più celebre sentenza, la
libertà d’espressione non può proteggere chi gridi senza motivo “al fuoco” in
un teatro affollato, scatenando il panico, e magari provocando dei feriti.
Tuttavia l’opinione blasfema ci fortifica, rende più solide le nostre
convinzioni. Come insegna una lezione di John Stuart Mill, maestro del pensiero
liberale. Lui diceva che s’impara di più dalla rappresentazione dell’errore che
da un sermone recitato da un pulpito. Insomma, la parola anestetizzata rischia di
farci cadere nel torpore. E la libertà di parola ci conviene, se vogliamo
vincere la guerra contro il terrorismo islamico.
Michele Ainis Legge e libertà www.lespresso.it michele.ainis@uniroma3.it – 10
Dicembre 2015
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