Etichette

martedì 15 maggio 2012

Lo Sapevate Che: Modello Hong Kong



I più ricchi governano, gli altri si occupano di cultura e questioni sociali, tutti consumano.
Ma la felicità può attendere

Per vedere come sarà il mondo tra qualche anno, un viaggio ad Hong Kong può essere istruttivo. La cassaforte dell’Oriente è la realizzazione perfetta di una comunità trasformata in un’azienda. Non viene governata da un sindaco, ma da un amministratore delegato. Lo chief executive non viene eletto dai cittadini ma da un comitato di 1200 azionisti, che rappresentano le categorie economiche. La produzione di Hong Kong supera i 7 milioni di abitanti: a eleggere il leader è lo 0,02% dei residenti. Durante la campagna elettorale, i candidati non promettono di migliorare la vita della gente. Giurano che tuteleranno gli interessi economici e promuoveranno il business. La metropoli non è amministrata sul posto. I due terzi dei grandi elettori dello chief executive sono scelti da Pechino. E’ la Cina a controllare Hong Kong, sebbene esista il diritto di voto, la stampa sia libera e la magistratura indipendente. E’ così da quando la Gran Bretagna, quindici anni fa, ha restituito l’arcipelago conquistato con le guerre dell’oppio. L’ex colonia inglese resterà una “regione amministrativa speciale” cinese fino al 2047, ma è chiaro che il limbo è solo apparente. La metropoli è già uno straordinario laboratorio del comunismo trasformato in capitalismo e dell’autoritarismo presentato come democrazia.
A sostenere il sistema è l’obbiettivo comune: fare soldi. Tutto a Hong Kong è concepito con il fine unico di produrre ricchezza e i risultati sono strabilianti. Una città cinese, in un decennio, è diventata una delle prime potenze mondiali del commercio e della finanza. Tale successo economico, fondato sulla segretezza dei depositi bancari e dei carichi fiscali, consente alla Cina di esibire al mondo la prova che il comunismo e l’autoritarismo non penalizzano il business. Al contrario. Se a decidere è un’oligarchia corporativa, selezionata da un partito unico, le decisioni riescono a tenere il passo delle Borse e ad assecondare gli interessi dei grandi capitali.
Il modella Hong Kong è già un esempio seguito. Le potenze emergenti del Sudest asiatico, da Singapore alla Malesia, lo applicano da tempo. In Russia funziona già. Giappone e Corea del Sud lo stanno progressivamente adottando e la Cina lo ha eletto a punto  d’arrivo di quella che viene presentata come “necessità delle riforme”. Un meccanismo semplice: i più ricchi vanno al potere e comandano, gli altri fanno politica e si occupano di cultura e questioni sociali.
Accettando la messinscena di elezioni sottratte alla volontà della maggioranza popolare, il mondo “hongkonghizzato” non può essere accusato di essersi ridotto a una dittatura e i leader-amministrativi delegati non possono trasformarsi in despoti. Le comunità vengono semplicemente dirette come una banca, o una compagnia assicurativa: e a risultare decisivo è il bilancio che presentano, i dividendi che a fine anno distribuiscono. Non a caso, l’ex Victoria è al sesto posto al mondo per reddito annuo pro capite ed è prima per percentuale di miliardari. Anche il suo aspetto tradisce la ragione sociale della sua vita. Tutti gli abitanti operano nel business, si misurano in base ai consumi e regolano la propria esistenza in funzione della produzione di denaro. Il cuore di Hong Kong è il distretto finanziario. Attorno a questo si è sviluppato quello commerciale, circondato dai quartieri della distribuzione e infine dal porto, il primo del pianeta. Tra i grattacieli occupati dagli uffici e shopping center, si insinuano i giardini pubblici dove bambini e colletti bianchi scaricano lo stress. In periferia ci sono le zone ricreative. Meravigliose, visto clima e natura tropicale: spiagge, campi da golf, ippodromi, parchi dei divertimenti, centri sportivi, ristoranti, ville e zone esclusive dove gli azionisti cittadini hanno l’opportunità di esibire fuoriserie, yacht ed elicotteri.
Per gli occidentali, in fuga dalla crisi e dalle tasse, questo è un mondo ideale. Si fanno soldi, nessuno parla di regole e giustizia e non ci si deve vergognare di eccessi e sprechi. Anche per la Cina è un paradiso: ci manda il nuovo ceto medio nel week-end e promette che se nessuno disturba Pechino presto tutta ls nazione sarà il trionfo del consumo. La tentazione è forte: difficile che democrazie spente sappiano resistere. Ma le persone, sono felici? No. Ma questi sono dettagli di cui a Hong Kong non c’è tempo di occuparsi.
Piccole storie (non solo) cinesi di Giampaolo Visetti- Donna di Repubblica 28-04-12














Nessun commento:

Posta un commento