Il voto alle donne, o suffragio femminile,
è una conquista recente della nostra storia. Il 30 gennaio del 1945, quando l’Europa è ancora
impegnata nella Seconda Guerra Mondiale e il Nord Italia è occupato dai
tedeschi, durante una riunione del Consiglio dei ministri si discute del tema
su proposta di Palmiro Togliatti (Partito Comunista) e Alcide De Gasperi
(Democrazia Cristiana). Non tutti sono favorevoli, come alcuni membri del
Partito liberale, del Partito d’Azione e del Partito Repubblicano. La questione
viene, però, trattata (e votata) come qualcosa di ormai «inevitabile», visti i
tempi. Il 1 febbraio 1945 vien così emanato il decreto
legislativo luogotenenziale n. 23 che conferisce il diritto di voto alle italiane
con più di 21 anni, tranne le
prostitute schedate che esercitano “il meretricio fuori dei locali
autorizzati”. L’eleggibilità delle donne — quindi non solo la possibilità
di andare a votare — viene stabilita, invece, con un decreto successivo, il
numero 74 del 10 marzo del 1946.
SENZA ROSSETTO – Le donne italiane votano per la prima volta il 2 giugno del
1946, in occasione del
referendum istituzionale monarchia-repubblica (qui “Senza Rossetto”, il nostro approfondimento sulla
prima volta delle donne al voto). Solo alcune sono chiamate alle urne qualche mese
prima, per le amministrative comunali e per la prima volta nella storia vengono
anche elette due donne sindaco: Ada Natali (a Massa Fermana) e Ninetta Bartoli
(a Borutta). La mattina del 2 giugno il Corriere della Sera titola: “Senza
rossetto nella cabina elettorale” con il quale invita le donne a presentarsi
presso il seggio senza rossetto alle labbra. La motivazione? “Siccome la scheda
deve essere incollata e non deve avere alcun segno di riconoscimento, le donne nell’umettare con le labbra il lembo da
incollare potrebbero, senza volerlo, lasciarvi un po’ di rossetto e in questo caso rendere nullo il loro voto.
Dunque, il rossetto lo si porti con sé, per ravvivare le labbra fuori dal
seggio”.
LA POSIZIONE DELLA CHIESA – Anche il
Vaticano si dimostra favorevole. Il
21 ottobre 1945 papa Pio XII spiega: «Ogni donna, dunque, senza eccezione, ha,
intendete bene, il dovere, lo stretto dovere di coscienza, di non rimanere
assente, di entrare in azione per contenere le correnti che minacciano il
focolare, per combattere le dottrine che ne scalzano le fondamenta, per
preparare, organizzare e compiere la sua restaurazione».
IL TENTATIVO DI NITTI – A onor del vero, è bene ricordare, come già
nel 1912 con Giolitti si era aperto il primo dibattito sul suffragio
universale. Nel 1919 Francesco Saverio Nitti propose l’allargamento del diritto di voto
politico e amministrativo alle donne, ma il progetto non arrivò all’esame delle
Camere. Quattro anni più tardi, nel 1923, Benito Mussolini introdusse il suffragio
amministrativo femminile che si scontrò,
però, con la riforma degli enti locali voluta proprio dal fascismo.
APPELLO AL
VOTO – Una delle
figure più attive nel rivendicare il voto alle donne è stata la
pedagogista Maria Montessori che nel 1906
scrive sulle colonne di “La
Vita” un appello affinché le
donne italiane si presentino ai seggi per votare: “Donne tutte sorgete! Il vostro
primo dovere in questo momento sociale è di chiedere il voto politico”. Il
movimento che dà impulso alla lotta per il diritto di voto è quello delle Suffragette inglesi: già 1832, in Gran Bretagna, è
concesso il suffragio femminile, anche se all’inizio solo nelle elezioni
locali, mentre dal 2 luglio 1928 il diritto è esteso a tutte le donne inglesi.
Il primo Paese a ottenere il suffragio universale è la Nuova Zelanda: tutte le donne della nazione sono
chiamate al voto (già) dal 1893.
https://pochestorie.corriere.it/2020/01/30/30-gennaio-1945-le-donne-ottengono-il-diritto-di-voto-in-italia/
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