La firma dei Patti
Lateranensi, 90 anni fa
L'11
febbraio del 1929 Benito Mussolini e il regime fascista si accordarono con la
Chiesa cattolica ponendo le basi di una relazione che dura ancora oggi.
L’11 febbraio del 1929, poco prima di
mezzogiorno, l’allora capo del governo italiano Benito Mussolini, solennemente
abbigliato con cappello a cilindro e soprabito delle grandi occasioni, entrò
sotto una pioggia scrosciante nel Palazzo apostolico del Laterano nella Città del
Vaticano. Qui, insieme al Cardinale Pietro Gasparri, segretario di stato
Vaticano, firmò tre documenti che mettevano fine alla disputa che da
sessant’anni divideva la Chiesa cattolica e lo Stato italiano.
I documenti, un “Trattato”, una
“Convenzione finanziaria” e un “Concordato”, presero il nome dal palazzo nel
quale erano stati firmati e divennero noti come “Patti Lateranensi”. Inseriti
nella Costituzione del 1948 e modificati negli anni Ottanta, gli accordi
costituiscono ancora oggi la base del rapporto tra Stato italiano, Città del
Vaticano e Chiesa cattolica.
Un’altra ragione della loro importanza è
che prima che fossero firmati tra stato e chiesa non esisteva, almeno
formalmente, alcun rapporto. Il Papa si considerava un “prigioniero politico”
di Casa Savoia, la famiglia regnante d’Italia che nel corso del Risorgimento
aveva invaso per ben due volte i territori dello stato della chiesa, un tempo
esteso a tutto il Centro Italia, fino a ridurlo alla sola città di Roma. Nel
1870, l’esercito italiano attaccò la stessa città di Roma, difesa dai soldati
del Papa e da numerosi volontari provenienti da tutta Europa, e la conquistò il 20 settembre.
Lo stato
di “prigionia” a cui i pontefici sostenevano di essere sottoposti significava
in sostanza che l’Italia non veniva riconosciuta come stato legittimo e che ai
cattolici non era consentito (almeno ufficialmente) partecipare alla vita
politica del paese. Negli anni il divieto venne di fatto considerevolmente
attenuato. Ad esempio alle elezioni del 1913, le prime con suffragio universale
maschile, i cattolici furono invitati a votare per i candidati cattolici
presenti nelle liste del partito liberale guidato da Giovanni Giolitti (fu il
famoso “Patto Gentiloni”, dal nome del suo principale negoziatore, il conte
Vincenzo Gentiloni, avo dell’ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni). Ma
la riconciliazione era lungi dall’essere completa.
A concluderla
ci sarebbe riuscito Benito Mussolini, capo di governo dal 1922 che, dopo il
1926, era riuscito a trasformare il paese in una dittatura a partito unico.
Mussolini e i fascisti avevano sconfitto i partiti socialisti e comunisti e
messo sotto controllo i sindacati: a metà degli anni Venti l’unica altra forza
di massa non fascista sopravvissuta era rappresentata dalle associazioni legate
alla Chiesa, come la potente Azione Cattolica.
Tra i leader
fascisti c’erano molti anticlericali convinti, che sostenevano che il Partito
Fascista e le sue articolazioni non dovessero avere alcun tipo di rivale.
Questi leader chiedevano a Mussolini di far piazza pulita delle associazioni
cattoliche nello stesso modo brutale con cui erano state eliminate le
organizzazioni della sinistra. Mussolini però non voleva andare allo scontro
frontale con la chiesa, che secondo lui era ancora in grado di orientare le
preferenze di milioni di italiani, e preferì agire con prudenza.
Dal suo punto
di vista era possibile addomesticare le organizzazioni cattoliche e nel
contempo risanare la ferita aperta sessant’anni prima con la presa di Roma. Le
trattative con il Papa iniziarono nel 1927 e, tra pause, scontri e
incomprensioni, andarono avanti fino ai primi giorni del 1929. In sostanza,
quello che Mussolini chiedeva alla chiesa era di chiudere o comunque di ridurre
l’autonomia delle organizzazioni cattoliche. In cambio offriva di riconoscere
la Città del Vaticano come un libero stato indipendente, prometteva
finanziamenti ed esenzioni al clero cattolico e confermava le misure che davano
una posizione di preminenza alla religione cattolica nello Stato italiano già
attuate dal regime negli anni precedenti (come il crocefisso obbligatorio in
tutti gli spazi pubblici e l’insegnamento a scuola della regione cattolica).
Con un misto
di lusinghe e minacce, alla fine Mussolini ottenne tutto quello che voleva. Le
organizzazioni giovanili cattoliche furono spazzate via per fare posto
all’unica associazione consentita, l’Opera Nazionale Balilla sostenuta dal regime.
L’Azione Cattolica fu sottoposta al controllo dei vescovi locali, invece che a
una struttura centralizzata, e le sue attività furono limitate a quelle
ricreative e spirituali. In cambio, il Papa accettò di riconoscere lo Stato
italiano con Roma come sua capitale e fu a sua volta riconosciuto dall’Italia
come legittimo sovrano della Città del Vaticano (questa parte era contenuta nel
cosiddetto “Trattato”). Con la “Convenzione finanziaria” vennero regolati i
rapporti economici tra stato e chiesa (cioè la quantità di denaro che il primo
avrebbe versato alla seconda). Il “Concordato”, infine, regolava i rapporti tra
stato e religione cattolica, assegnando a quest’ultima una serie di vantaggi,
tra cui quello di essere riconosciuta come “religione di stato”.
Con questi tre
documenti e quasi sessant’anni dopo il suo inizio la cosiddetta “Questione
romana”, l’ambigua situazione nella quale pontefici e governo italiano si erano
trovati fino a quel momento, era stata risolta. Per Mussolini fu un successo
celebrato non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Considerato che tutte le
parti dell’accordo sfavorevoli alla chiesa (cioè le limitazioni imposte alle
organizzazioni cattoliche) erano “esterne” ai Patti Lateranensi, non stupisce
che dopo la guerra la Democrazia Cristiana, cioè il grande partito cattolico
antifascista, spinse con forza affinché i patti venissero riconosciuti
nell’ordinamento del nuovo stato repubblicano, cosa che puntualmente avvenne (i
patti furono riconosciuti all’articolo 7 della Costituzione).
L’importanza
dei Patti Lateranensi è testimoniata dal fatto che il Concordato tra regime
fascista e chiesa cattolica ha continuato a regolare i rapporti tra lo Stato
italiano per quasi 40 anni dopo la caduta del regime. Soltanto nel 1984, dopo
lunghi e difficili negoziati, il governo Craxi si accordò con la chiesa per una
serie di modifiche: la più importante fu la rimozione della clausola che
definiva la religione cattolica la “religione di stato” dell’Italia.
https://www.ilpost.it/2019/02/11/patti-lateranensi/
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