Tra i filari delle vigne si compiva un rito che aveva i suoi protagonisti, i suoi gesti e le canzoni che ormai si stanno perdendo nella memoria
LAVIS. L’operazione stagionale della vendemmia è già in corso di svolgimento su tutto il
territorio. E già si sentono i commenti in piazza, naturalmente tra gli addetti
ai lavori e i contadini impegnati in questa ennesima avventura che prelude
all’autunno.
Si sente
infatti dire «meno uva ma più qualità», poi «meno prodotto ma prezzi della
bottiglia ancora costanti». E ancora: «quella che sta arrivando è una vendemmia
sicuramente di qualità»… Ma a tutto questo si
affiancano puntualmente i soliti “piagnistei”
stagionali dei contadini e dei viticoltori, che se la vedono già brutta e dove
il raccolto è scarso, poi per il tempo meteo che ha fatto anche danni
rilevanti, le spese per la raccolta che – secondo loro – sono in continuo e
inesorabile aumento, il prodotto che non viene pagato a sufficienza…
Il rito della vendemmia
E in questi tempi non c’è ormai più
nemmeno il vero clima della vendemmia di una volta. Tutto
viene fatto automaticamente ed elettronicamente. Non c’è più il coinvolgimento
dell’intera famiglia nell’operazione, non esistono ormai più le cantine private sotto casa come ai bei tempi!
Anche quest’anno il rito è comunque
iniziato abbastanza presto. Si è partiti con le uve bianche, il classico Pinot
per la spumantizzazione, proseguendo poi con il Traminer e
quindi in crescendo con gli altri “assalti” alle altre qualità, schiava e rossi
più o meno pregiati compresi. Per il Teroldego invece
– ci rassicura il simpatico vinaiolo Rudi Vindimian – c’è ancora sicuramente tempo, anche se
sembra quasi pronto, ci vorrà però sicuramente ancora un mesetto prima di
raccoglierlo.
Fascino perduto
Le cantine locali sono in questi giorni in fervore di
attività e gli agricoltori-viticoltori sono concentrati ed impegnati al massimo
nel lavoro, con tutti i suoi tradizionali contorni logistici ed organizzativi.
Grande movimento in modo particolare alla Cantina
Sociale La Vis ma anche nelle altre
cantine private dell’intera zona. Queste ultime ormai si possono contare sulle
dita di una mano in quanto a consistenza ed esistenza sul territorio…
Ed è appunto confrontando tutte
queste nuove tecnologie moderne
sull’incantinamento del prodotto finito, che torna alla mente la vendemmia
di 60/70 anni fa, di quando si era ragazzini. Si ricorda
ancora, con nostalgia e rimpianto, il fascino che sprigionavano gli
sferraglianti carri trainati dai buoi con i “ceveri” in
legno stracolmi di uva e che giravano per le vie interne del paese. Le gare
giornaliere di noi bambini con la ormai dimenticata “pestarola” e a chi pigiava più in fretta
degli altri. Poi le operazioni di vendemmia che seguivano sotto le lunghe ed
interminabili “pergole” di viti cariche dei
preziosi grappoli.
Le parole della vendemmia
E i più anziani, papà, zii e anche qualche
nonno in forma, con le spalle sempre occupate, avanti e indietro, dai
pesanti “conzài”, che allora erano
di legno massiccio (e
non certo di plastica come oggi) e con le maniglie fatte di “stroppe” (vimini) intrecciate. Si
utilizzavano per la grande occasione anche tutti gli altri attrezzi
caratteristici dell’epoca, come il “bazon”,
il “mostador”, e anche la “castelada”, che era una sorta di grossa botte
ovale caricata sui carri appositamente predisposti al trasporto.
I preparativi avevano poi coinvolto la
cantina con tutte le tine di varie
fogge e grandezza, le famose “bot”, poi anche i “botesei”, le “botesele” che
occupavano tutta la grande “caneva” di
casa… E mentre intanto la vendemmia procedeva di buona lena coinvolgendo
l’intera famiglia per giorni e giorni, i nonni al seguito continuavano a
raccomandare ai bambini più piccoli di raccogliere da terra tutti i molti grani
d’uva che cadevano sempre in abbondanza per la foga delle
vendemmiatrici.
Canti fra le vigne
E su questo lavoro c’erano alcuni ricordi
celebri tipicamente lavisani, tramandati da padre in figlio, che dicevano tutti
pressapoco così: «i lavisani i
laora anca per i grani (di uva) e i pressanoti (gli
abitanti di Pressano) anca per i granoti»…
I più maligni ricordano ancora che i
grossi proprietari terrieri (e quindi di cantine) di un tempo, erano soliti
ordinare alle vendemmiatrici (arrivavano in
quegli anni anche le conosciutissime “ciode”, grandi
lavoratrici del Bellunese), di cantare sempre in coro e ad alta voce durante la
vendemmia. Questo non perché i padroni apprezzassero il
bel canto con tutte le sue sfumature campagnole, ma perché
erano sicuri che nessuno dei lavoranti, mentre cantava, potesse di certo mangiare uva impunemente…
Le canzoni più gettonate e cantate in quei
periodi, erano quelle allora in voga e perlopiù trasmesse dalla radio di casa.
Si andava forte con la canzone in tema e cioè “L’uva fogarina” ovvero
detta da noi in Trentino “La Teresina embriagona”,
poi si spaziava dai successi de “La Marianna la va en Campagna”, “Amor di Pastorello”, “Reginella Campagnola”, “Fiorin Fiorello”, fino alle più impegnate come “Vivere”, “La Vendemmiatrice”, “Voglio vivere così” e anche “Voglio goder la vita”!
La regalia
Forse stravaganze per qualcuno, ma
comunque ricordi belli per i più nostalgici. Di quando ancora la vendemmia
aveva il sapore pulito della festa, quella veramente genuina
di tutta una grande famiglia interamente coinvolta in un grande e partecipato
fermento lavorativo.
E arrivati poi alla fine del raccolto,
quando tutti i “conzai” del “brascà” erano stati svuotati nelle grosse tine
nella cantina di casa, arrivava per tutti quanti la tanto attesa “regalia”. Era una sorta di grossa merenda con ogni ben
di Dio, sistemata in bella mostra sui tavoli e tavoloni esposti
nell’aia, quella davanti al volt e al “boidor”.
Altra festa quindi per noi ragazzini, che
spulciavamo e assaggiavamo in ogni dove, rovistando e prendendo il cibo più in
vista da ogni pietanza, confezionate dalla mamma e dalle nonne di casa. Tutti
in allegria quindi, il vino servito nei fiaschi era
naturalmente quello dell’anno passato, l’ultimo rimasto ancora nel “botesel”
che serviva per i pasti di casa.
La gradazione
Ad un certo punto arrivava il nonno che
prendeva una grossa pignatta di terracotta, nella quale c’era già il
mosto bello e pronto portato dalla cantina di sotto. Infilava nella pignatta
uno strano strumento di vetro. Sembrava un termometro gigante, che aveva
sotto una pallina di mercurio e sopra un tubicino graduato.
L’apparecchio galleggiava a vista nel
mosto e poi si fermava su una cifra ben definita e chiara, ed era sempre il
nonno che sentenziava con importanza e devozione l’esito della prova ufficiale. La gradazione risultata
era di quasi “19 gradi”, ottima per quell’annata
e naturalmente concludeva, sempre il nonno, l’intera cerimonia del “provin” con
la frase abituale e di circostanza: «ghe l’aven fata anca quest’an, lei nada
propri ben, grazie al Padre eterno ma anca a tuti no …»!
Profumo di mosto
Belle, veramente belle quelle vendemmie della nostra infanzia, dove c’era e si
assaporava il profumo del mosto in giro per
tutta la casa e anche in quasi tutte le strade del paese… Sicuramente altri
tempi, di quando anche la vendemmia, oltre che ad essere un vero e proprio rito vissuto e partecipato
da quasi tutte le famiglie, era sicuramente tutt’altra cosa di quella moderna e
forse poco coinvolgente e insignificante di oggi…
E con l’uva che sta arrivando non
dimentichiamo la canzone che si sentiva, “stì ani”, tra i
filari delle vigne e cioè «se vuoi goder la vita, vieni quaggiù in campagna, è tutta un’altra cosa vedi il
mondo color di rosa…»! (Giovanni Rossi)
https://www.ilmulo.it/2019/09/05/profumo-di-mosto-ricordi-e-storie-dalla-vendemmia-di-un-passato-che-non-ce-piu/
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