“Approvare Leggi Dure
E’ Facile, il
difficile è fare qualcosa di incisivo. Noi abbiamo scelto un’altra via non per
ideologia, ma perché funziona”. Parole di Allan Aarslev, a capo del ramo
poliziesco di un programma d’eccellenza nella prevenzione dell’estremismo:
quello di Aarhus, la seconda città danese. La Danimarca era una delle maggiori
fonti di jihadisti diretti in Siria. Molti da Aarhus. La città però da un paio
d’anni ha avviato un programma ad ampio spettro di prevenzione e recupero.
Preben Bertelsen, lo psicologo che lo guida, ha constatato che i suoi giovani
concittadini non si distinguevano dai tanti estremisti studiati nei decenni
passati. L’idea consolatoria che si tratti di squilibrati o psicopatici è da
tempo sconfessata. Né la miseria economica o culturale spiega tutto: molti sono
benestanti e istruiti. I meccanismi psicologici sono complessi, e includono
molti elementi della normale ricerca di identità dei giovani, come il bisogno
d’appartenenza, di rilevanza e di conforto esistenziale. Perché a volte ciò
deragli verso il fanatismo violento non è del tutti chiaro. Spesso però conta
la marginalità sociale. Avvertita di persona, come nel ricordo d’infanzia di un
attentatore francese: un passante urtato per sbaglio dalla sorella ha sputato a
terra con disprezzo chiamandola “sporca araba”. “Allora ho capito cosa sarei
diventato”, ha raccontato. La municipalità ha coinvolto scuole, famiglie,
assistenti sociali, associazioni giovanili, comunità religiose, polizia. Si è
istruito chi era a contatto coi ragazzi sui segni di radicalizzazione; un
improvviso interesse religioso, la frequentazione assidua di certi siti, cambi
d’aspetto, amicizie. Pur a fatica, si è collaborato con una moschea incline al
fondamentalismo, che ha cambiato atteggiamento. Ai giovani a rischio o
radicalizzati, incluso chi entra dalla Siria, si offre un tutor sia per i
problemi pratici sia per dubbi politici e religiosi.(..). “Puoi batterti per
qualsiasi ideale, ma non con la violenza” è il messaggio. E pare funzioni: nel
2012 e 2013 lì si erano arruolati una trentina di jihadisti, nel 2014 solo
uno.” E’ Questo Il Modello Vincente, un’eccellenza anche fra le realtà
del Nord Europa. Nel Sud siamo in ritardo, ma l’Italia ha iniziato a muoversi”.
spiega Luca Guglielminetti, membro del Radicalisation Awareness Network (Ran)
istituito dall’Ue nel 2011 per mettere a sistema le realtà europee: (..) Manca
un coordinamento tra istituzioni e società civile. I soldi ci sono, anche
dall’Europa. Ora va costruita in ogni città una rete capace di interventi su
misura E’ un lavoro lungo. Ma per questo dobbiamo partire subito.
Giovanni Sabato – La
guerra / Il fronte interno – L’Espresso -3 dicembre 2015
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