“Scusa, potresti darmi un giornale?”,
mi chiede la ragazza venezuelana seduta dietro di me. E’ un po’ che sento la
sua presenza tra gli schienali dei sedili. Mi fissava spostando il figlio che
le riposava addosso. Le passo il giornale che per ragioni di lavoro ho letto e
filmato con la telecamera. titoli e foto, a 48 ore dagli attentati di Parigi,
la meta del volo sul quale sta avvenendo tutto ciò. La timidezza a volte frena,
penso, la ragazza stava solo cercando il coraggio per chiedermi il giornale. E
invece no, non era timidezza ma terrore. “Ora te lo posso dire. Pensavo che tu
e il tuo amico foste terroristi” mi dice quando, ancora in volo, il coraggio le
arriva davvero per sfociare in una risata liberatoria”. Incredulo, le chiedo
lumi, e la spiegazione è tanto assurda quanto accurata. “Mi sono insospettita
quando tu e il tuo amico vi siete scambiati il posto” (dal corridoio mi ero
spostato al finestrino per fare riprese del panorama in volo). “Poi filmavi i
titoli su Parigi” (cosa che faccio spesso quando viaggio per lavoro). “Ti
tremavano le mani” (ecco, qui credo fosse la stanchezza accumulata, le poche
ore di sonno, o più banalmente l’età). “Poi il tuo amico ha preso il passaporto
e gli ho visto un timbro fatto in Cambogia. In Cambogia non ci vanno tanti
italiani. Ho pensato al ristorante di Parigi La Piccola Cambogia, uno di quelli
presi di mira dai terroristi, e mi è sembrato un altro indizio” (Pierfrancesco
quest’estate è stato in Cambogia). “E poi eri vicino al portellone dell’uscita
di sicurezza. Aspettavo solo il momento in cui l’avresti aperto”
(effettivamente la hostess ci aveva istruito prima del decollo su come aprire
il portellone in caso di emergenza. “Comunque, nel caso, ce lo dice lei di
aprirlo, vero?”, le avevo chiesto, preoccupato a mia volta da tanta
responsabilità. “A quel punto mi sono fatta coraggio, e ti ho chiesto un
giornale. Per guardarti negli occhi, sentire l’aria” (per fortuna l’avevo già
letto e non ho esitato a darglielo. Ci tengo a leggere per primo la copia che
compro). Finché poi si è tranquillizzata. Ancora in volo però. “Ormai eravamo
arrivati, ho pensato” magari si sono pentiti, se volevano fare qualcosa non
l’hanno fatto”. Qui la teoria zoppica vistosamente, ma sottolinearlo è inutile,
aggiungerebbe angoscia a angoscia. Come se non bastasse di suo quella di quando
la hostess ti spiega come aprire il portellone in caso di emergenza.
Diego Bianchi – Il Sogno Di Zoro – Il Venerdì di Repubblica –
27 Novembre 2015 -
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