Con le parole guerra, jihad, banlieue, fanatismo, la strade di Parigi del 13
novembre entra negli annali non solo del 2015, ma del decennio. Ma è anche la
sensazione di paradiso perduto, quello che ci ha colpito. L’umanità di Parigi,
il languore delle sue strade, dei baci in pubblico, dei libri e della musica
ovunque. I parigini sono corsi a comprare Festa mobile di Hemingway; Céline
Dion e Madonna si sono cimentate piangendo, nell’Hymne à l’amour e nella Vie en
rose. Essendo mancati i grandi funerali che ci furono per Charlie Hebdo,
tantissimi in Italia sono andati a porgere le condoglianze su un sito –
Generazione Bataclan – in cui sono comparse, per l’ammirevole e veloce lavoro
del giornalista Paolo Brogi, le foto, le brevi biografie, le vite davanti a sé di quella che è stata, davvero, la meglio
gioventù europea falciata dalla mitraglia, all’inizio della terza guerra
mondiale. Di tutto il resto, sappiamo ancora poco. Le fototessera degli
altrettanto giovani Killer, un brandello di cintura esplosiva, le pastiglie di
Captagon, il “fallimento dei servizi segreti”, la resistibile ascesa del Front
National. Discutiamo se tutto ciò sia figlio di Arancia Meccanica o della Battaglia
di Algeri; se questa sia solo la prima tappa di una cupa islamizzazione a
cui ci dovremo, prima o poi sottomettere. Una strage così non era mai avvenuta
in Europa, in tempo di pace. E’ vero? No, non è del tutto vero. Era il 17
ottobre 1961; dopo dieci anni di guerra, ancora la Francia cercava di opporsi
all’indipendenza dell’Algeria. L’esercito francese aveva preso il potere ad
Algeri; l’OAS (Organisation Arméè Secrète),
potente tra i coloni e i militari uccideva algerini a raffica, e voleva morto
De Gaulle, accusato di tradimento dell’Algerie
française. A Parigi (un uomo che aveva organizzato la deportazione degli
ebrei di Bordeaux nel 1943) aveva imposto il coprifuoco dalle 5 di sera alle 5
di mattina per i musulmani vietando
loro anche di muoversi per le strade in gruppi. Come prova di forza, il Fronte
di Liberazione Nazionale algerino che guidava la resistenza ordinò ai suoi
membri parigini di scendere in piazza. Contro gli algerini, la polizia parigina
intervenne con brutalità con i matraques
di acciaio, uccidendo e ferendo per una notte intera. Decine e decine di
immigrati arrestati, feriti, vennero buttati nella Senna dal Pont Neuf. Tutte
le fotografie vennero requisite, i giornali vennero censurati e un comunicato
ufficiale parò di “due manifestanti morti”. Secondo lo storico Jean Luc Einaudi
– che poté pubblicare il frutto delle sue difficilissime ricerche solo 30 anni
dopo -, i morti di quella notte furono 393 (trecentonovantatre). L’anno dopo,
con gli accordi di Evian, l’Algeria ottenne l’indipendenza. Non so perché, ma
nel parlare dei nostri morti di oggi, mi è venuto in mente quel massacro
dimenticato – nelle stesse strade, davanti agli stessi bistrot – che non entrò
mai negli annali.
Enrico Deaglio – Annali – Il Venerdì di Repubblica 4 Dicembre
2015
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