Per gli ottant’anni di Woody Allen
sono uscite un po’ in tutto il mondo classifiche dei film da non perdere che
naturalmente, trattandosi oltretutto di uno dei più prolifici ed eclettici
cineasti della storia, milioni di spettatori del grande Woody non avranno
condiviso. In tutte c’erano Io e Annie,
Manhattan e il perfetto March Point, ma in molte mancava lo
straordinario Zelig e quasi ovunque
erano esclusi capolavori come Pallottole
su Broadway o Vicky Cristina Barcelona. A me dispiace soprattutto la generale
sottovalutazione di Midninght in Paris,
che rivedo a intervalli regolari, così come si riascolta un’opera di Mozart
oppure, per rimanere al soggetto del film, un vecchio disco di Cole Porter,
perché riescono sempre a restituirti la gioia della prima volta. Fra le cento
trovate geniali, questa fiaba surreale di Allen contiene anche un breve
monologo che da solo vale più di tutti i discorsi e gli articoli pubblicati in
queste settimane dopo le stragi parigine. E’ quando il protagonista scivolato
nel tempo nell’epoca dei suoi sogni, la Parigi anni Venti, dice che nessuna
opera d’arte può essere paragonata al complesso splendore di una grande città,
che nulla accade nel gelido e buio spazio, ma le luci di Parigi si possono
vedere dal cielo e per quanto ne sappiamo questa città è il posto più cool dell’universo. Ecco, dopo gli
attentati, i sentimenti che dovremmo provare per difendere la nostra civiltà
sono proprio questi, l’orgoglio di una società umana che in poche migliaia
d’anni è riuscita a passare dalle caverne agli incommensurabili capolavori
artistici di Parigi, New York, Roma, Istanbul o Tokyo. Ed è questo splendore
che i fanatici vogliono distruggere ovunque, a Parigi come a Palmira o a
Timbuctu. Non la nostra civiltà e
basta, ma la civiltà e basta, nel suo simbolo massimo della città, l’idea
stessa di un patrimonio comune dell’umanità. Si è parlato molto e giustamente
della splendida figura di Valeria Solesin, ma troppo poco di un’altra vittima
di origine italiana, l’altoatesino Raphael Hilz, un architetto di talento che
da mesi lavorava in quella fabbrica di bellezza che è lo studio di Renzo Piano
e ha finito la sua avventura a 28 anni con un colpo alla schiena in un bar di
Parigi. Purtroppo le reazioni agli attentati, in gran parte, condividono la
stessa rabbia che anima i fanatici. Ma la rabbia e l’orgoglio, per citare il
più celebre dei tanti bestseller che hanno speculato sul dolore diffondendo un
talebanismo all’occidentale, non viaggiano mai assieme e portano sempre in
direzioni opposte.
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di Repubblica – 11
Dicembre 2015 -
Nessun commento:
Posta un commento