In Italia La Democrazia politica non è in buona salute; ma la
democrazia economica giace in un letto d’ospedale. Eppure sulla prima s’affolla
uno stuolo di dottori, mentre alla seconda non s’interessa nemmeno un infermiere.
Male, perché non esiste l’una senza l’altra. Malissimo, perché la crisi della
democrazia economica dipende da un’illegalità costituzionale. Anzi da una
doppia violazione della nostra Carta, che si protrae da tempo, immemorabile.
Innanzitutto c’è il fantasma della legge sindacale. Prescritta dall’articolo 39
della Costituzione, per garantire la democraticità dei sindacati, stabilendo in
cambio l’efficacia obbligatoria dei contratti di lavoro. Ma sta di fatto che
quella legge non ha mai visto luce, dal momento ch vi si sono opposte
organizzazioni sindacali, ben poco entusiaste all’ida di controlli pubblici sul
loro ordinamento interno. In secondo luogo c’è il fantasma del Cnel.Concepito
dai costituenti come luogo istituzionale di confronto tra lo Stato e le
categorie produttive, e perciò dotato di poteri d’impulso sulla legislazione
economica e sociale (..). E’ il caso, inoltre, dell’Air, ovvero dell’analisi
d’impatto della regolamentazione. Obbligatoria dal 1999, imporrebbe al governo
d’ascoltare imprese e sindacati, prima di decidere ogni nuovo intervento
normativo; ma gli uffici legislativi dei ministeri se ne infischiano, troppa
fatica. E troppa opacità sull’azione dei gruppi di pressione, dato che in Italia
manca una legge sulle lobby. Negli Usa il Lobbying Act risale al 1946, e viene
aggiornato di continuo (..). Serve Una Legge, insomma. Quella già promessa dall’Assemblea
costituente, sulla democrazia interna delle organizzazioni sindacali. Regolando
i diritti degli iscritti, la formazione del gruppo dirigente, la trasparenza
delle attività associative (per esempio attraverso l’obbligo del bilancio
sociale). Quella sulla democrazia esterna, per stabilire procedure e luoghi di
confronto con lo Stato. Ne è consapevole anche Renzi, parrebbe di capire. Però
le sua dichiarazioni battono sempre sui limiti al diritto di sciopero, quando a
esercitarlo sia un sindaca tino. Può essere utile porre qualche freno, come no.
Ma se la nuova legge s’esaurisse in un verbale di contravvenzione, tanto
varrebbe farne a meno. Se metti una toppa su un abito sdrucito, lo rendi ancora
più cencioso. E alla democrazia economica serve ormai un abito nuovo,
possibilmente tagliato da un buon sarto.
Michele Ainis – Legge e libertà www.lespresso.it michele.ainis@uniroma3.it – 3 Dicembre 2015
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