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sabato 3 ottobre 2015

Lo Sapevate Che: Non diamo a Dio la colpa per i nostri peccati...



Se si è fermamente persuasi che abortire, in caso di concepimento a seguito di stupro oppure nel caso in cui il concepito sia portatore di gravissime malformazioni, vada contro la volontà di Dio, automaticamente ci si libera della responsabilità morale verso la donna che non desidera portare avanti una gravidanza diventata per lei un tormento. La sua sofferenza non ci riguarda: è Dio che vuole così, e la responsabilità in qualche modo è di Dio. Ugualmente, se si è persuasi che interrompendo le cure a un malato terminale, oppure procurando la dolce morte a colui che la invoca disperatamente, si vada contro la volontà do Dio, non ci si sente  moralmente responsabili del protrarsi della loro inutile sofferenza. Così può avvenire che un Testimone di Geova lasci morire un figlio, essendo fermamente persuasi che Dio non voglia trasfusioni di sangue, senza sentirsi responsabile della sua morte. In passato non ci si sentiva responsabili delle sofferenze immani di eretici torturati e mandati al rogo: non torturarli e non condannarli avrebbe significato andare contro la volontà di Dio. Certo, tra lasciar soffrire in nome di Dio, c’è differenza, ma l’atteggiamento è identico: ci si riguardi di colui che soffre. Oggi accade ancora, che si possano compiere azioni crudelissime e non sentirsene minimamente responsabili, Tutti in buona fede. Tutti persuasi di fare la volontà di Dio. Intanto però nei riguardi delle vittime si calpesta il comandamento dell’amore verso il prossimo. Si va contro la volontà di Dio.
Francesca Riveiro ribesca@tiscali.it
La sua lettera è interessante perché mette bene in evidenza che talvolta la fede può distruggere la morale, alla base della quale c’è sempre e in ogni caso l’assunzione di responsabilità nei confronti delle proprie azioni e/o omissioni. Ma per capirlo occorre desacralizzare la morale e intenderla per quello che è: un sistema di regole che una comunità si dà per ridurre al massimo la conflittualità. Accade però che, per funzionare, una morale ha bisogno di essere condivisa da tutti i membri della comunità e, per ottenere questo scopo, quando le comunità erano primitive e non in grado di darsi da sé norme da tutti condivise, le religioni hanno fatto credere che queste norme dipendessero dalla volontà di Dio, che naturalmente premiava chi le osservava e puniva chi le trasgrediva. (..). Pur tra mille difficoltà l’Occidente ha gradualmente assimilato la lezione di Platone desacralizzando la morale e separandola dal volere di Dio. In questo modo ha tolto Dio dalla contraddizione di non riuscire a conciliare la sua infinita bontà con il male del mondo da lui creato, e ha restituito agli uomini la responsabilità delle loro azioni quando conseguono o trasgrediscono le regole morali che essi stessi si sono dati. Se invece per fede attribuiamo tutto ciò che accade alla volontà di Dio, non si salveremo mai non solo da un’irresponsabilità generalizzata, ma anche dalle conseguenze tragiche delle “guerre sante”. Infatti, anche se in verità esse avvengono per interessi economici, territoriali o di espansione della propria potenza, queste guerre non possono trovare alcuna mediazione né diplomatica né politica, perché, in nome di Dio, entrano in gioco identità di popoli, appartenenze, culture, razze e fedi. Perché quando Dio, scende in terra è subito apocalisse, come oggi assistiamo nella contrapposizione tra mondo musulmano e mondo cristiano. (..). Se non vogliamo dar ragione a Nietzsche che annuncia la “morte di Dio”, accogliamone almeno la benefica intenzione.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 19 settembre 2015

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