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mercoledì 28 ottobre 2015

Lo Sapevate Che: Dio, il dolore, l'amore: tre modi per parlare di noi...



Io non passo il mio tempo a cercare di convincere buddisti, induisti, satanisti a non credere nelle proprie frescacce o aberrazioni. Perché delle cose che non mi interessano in quanto insussistenti, appunto non mi interesso. Il fatto che mezzo mondo dichiaratamente non cattolico non faccia altro che cercare di spiegarci che il cattolicesimo è una bufala, che Dio non esiste, e nel migliore dei casi di insegnare il Padre Nostro al Papa, qualcosa vuol dire. Se veramente non ci credete, datevi pace. Lettera firmata.

Se dovessi stilare una classifica degli argomenti più gettonati nelle lettere che ricevo, al primo posto c’è Dio, al secondo il dolore, al terzo l’amore. Fanno eccezione le lettere dei giovani che parlano con angoscia del loro futuro, raramente d’amore, quasi mai di Dio. E le lettere delle persone anziane che parlano del loro passato, tendenzialmente per deplorare il presente, senza nessun accenno al futuro, I primi tre argomenti, i più gettonati, a me paiono tra loro molto connessi perché unico è il tema: la fatica di vivere, sia che si parli di Dio, di dolore o d’amore. Ma incominciamo dalla tematica religiosa. Gli atei che, come lei dice, non si danno pace per il fatto che esistono persone che credono in Dio e che  naturalmente considerano inferiori perché ancora non sono approdati all’uso della ragione, perché comunque insistono sulla tematica di Dio, e rivendicano la loro identità nella semplice negazione della sua esistenza. Nietzsche questo lo aveva capito perfettamente e perciò fa annunciare la morte di Dio non dall’ateo, ma dal folle. Con quella morte, annuncia la fine della cultura occidentale che, senza Dio, ha perso il suo punto di riferimento e la gerarchia dei valori che ne discendono. Una lezione che non abbiamo ancora imparato. Poi ci sono gli agnostici che si limitano a non prendere posizione e, avvolti nella loro ara di superiorità, perché non vogliono confondersi né con gli uni né con gli altri, non hanno il coraggio di staccarsi da Dio né di aderire alla sua rivelazione. Dante li avrebbe collocati nell’inferno tra gli ignavi. La loro ignavia sta nel fatto che non vogliono impegnarsi in nessun pensiero. Per loro è troppo faticoso pensare. Infine ci sono i credenti, e lo sono per mille ragioni. Alcuni per educazione, perché se fossero nati in un ambiente musulmano crederebbero in Allah; altri, dall’identità  debole, perché hanno un gran bisogno di appartenenza e preferiscono la Chiesa Cattolica alla massoneria, al Rotary, alla bocciofila del paese; altri ancora perché non trovano un senso della vita se non affidandosi alla fede cristiana che lenisce il dolore e invita all’amore; altri infine perché rispondono all’esigenza incondizionata propria della natura umana che, non accontentandosi dell’esistente, vuole trascenderlo. (..). Alla fede in Dio è connesso anche il secondo anche il secondo tema più gettonato: il dolore alla sua insensatezza iscrivendolo in un senso, perché lo legge come espiazione della colpa e caparra per la vita futura. (..). E allora, nel dolore come nell’amore, non vale il suo consiglio “datevi pace”, perché il conforto può venire solo da un fremito di trascendenza, il soffio di spiritualità alimenta la speranza che un giorno possa realizzarsi pienamente, sopprimendo il dolore che rode l’anima. Vede come si propaga l’atmosfera religiosa, che la parola Dio riassume, ma non esaurisce.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 17 ottobre 2015

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