Brotula spacciata per cernia, halibut
dell’Atlantico per sogliola. Complice l’importazione nel nostro Paese di pesci
già decongelati, puliti e sfilettati, la frode ittica si è diffusa sulle nostre
tavole. Un imbroglio che cresce: il valore dei sequestri effettuati dai
carabinieri dei Nas nel 2014 ammonta a 31,6 milioni di euro. Perciò, per
combattere le frodi, oggi scende in campo la biologia molecolare. L’idea parte
dall’Università di Siena e dal Cnr di Firenze, dove i ricercatori, sostenuti
anche dal finanziamento della Regione Toscana e dalla sponsorizzazione di Coop
Centro Italia, hanno messo a punto Fish Track, un progetto per riconoscere il
pesce dal Dna. In pratica, si dovrebbero catalogare all’origine i pesci messi
in commercio attraverso un’estrazione a campione del loro Dna. Così il filetto
che viene spacciato per quello che non è potrebbe essere smascherato grazie a
un semplice controllo del suo codice genetico, che identifica in modo
inconfutabile una specia, proprio come il codice a barre identifica un prodotto
commerciale.”Abbiamo analizzato oltre 250 campioni di filetti decongelati di
varie specie provenienti da diversi punti vendita al dettaglio, sparsi su tutto
il territorio della regione Toscana” spiega Giacomo Spinsanti dell’Università
di Siena. “Le frodi riguardavano il sette per cento degli esemplari presi in
considerazione. In quasi la metà dei
casi si trattava di brotula o pesce chirurgo al posto di cernia. Ma le
sostituzioni di specie pregiate con altre più economiche riguardavano anche il
pagro, venduto come dentice, o la sogliola oceanica, passata per sogliola del
Mediterraneo”. Tra i prossimi obiettivi dei ricercatori c’è quello di
determinare la zona di origine di spigole e orate mediante l’us di marcatori
genetici, in modo da distinguere tra pescato e pesce d’allevamento. Con
evidente vantaggio per i consumatori.
Antonella Patete – Il Venerdì di Repubblica – 16 ottobre 2015
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