La morte di Pietro
Ingrao ha scatenato l’inevitabile serie di articoli fra il nostalgico e il
depresso sul tema della “sinistra di una volta” già affrontato anni fa nella
bellissima Qualcuno era comunista di Giorgio Gaber. Quello che però manca del
tutto in queste celebrazioni, stavolta più sincere del solito, è l’aspetto di modernità e
attualità di figure come quella di Ingrao. Un’attualità che non riguarda le
idee sul comunismo o sulla società, quelle sì probabilmente finite con il
Novecento, ma il ruolo del politico come intellettuale. La vecchia sinistra era
più avanti di quella di oggi, perché aveva capito che conquistare l’egemonia
culturale è molto più importante che guidare un governo. In questo senso il Pci
ha governato più degli ultimi e unici tre governi di centrosinistra, pur senza
aver mai avuto neppure un ministro, così come l’eurocomunismo di Berlinguer, da
una posizione del tutto minoritaria, ha influenzato la politica dell’Unione in
misura maggiore rispetto alla Terza Via di Blair e Schroeder, che pure era
maggioranza nei Paesi chiave e nel parlamento europeo. La storia dell’Italia
del dopoguerra si può dividere, grosso modo, in due grandi stagioni culturali.
La prima, dalla liberazione alla fine degli anni Settanta, segnata da una
egemonia culturale del fronte progressista, dominante nel giornalismo,
nell’istruzione, nella letteratura e nel cinema. Grazie a questa forza d’urto,
la sinistra ha imposto politiche progressiste anche dall’opposizione. Abbiamo
avuto una Costituzione fra le più avanzate della storia, uno statuto dei
lavoratori rivoluzionario, politiche di redistribuzione del reddito d’impronta
socialista, un welfare di alto livello che ha sconfitto in pochi decenni il
male atavico dell’analfabetismo e innalzato ai massimi mondiali l’aspettativa
di vita, le grandi vittorie referendarie del divorzio e dell’aborto in un paese
dominato per secoli dall’influenza della chiesa cattolica. Tutto questo in
trent’anni di governi democristiani, in Italia dove la vittoria dei comunisti
era impensabile. Ma lo stesso si può dire del resto d’Europa, dove pure
esisteva un’alternativa socialista. Il peggiore, il più reazionario dei governi
conservatori inglesi o gaullisti francesi o democristiani tedeschi ha varato
riforme che oggi nessun Corbyn, Tsipras o Iglesias potrebbe proporre senza il
rischio di essere bollato come pericoloso estremista. Al contrario, dagli anni
Ottanta in poi, quando il pensiero liberista si è impegnato con successo a
conquistare l’egemonia culturale, anche i governi più progressisti hanno saputo
o potuto soltanto applicare politiche di destra, che hanno aumentato
l’ingiustizia sociale e l’abisso fra ricchi e poveri. Questa è la vera lezione
dei politici intellettuali alla Ingrao.
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di Repubblica – 9
ottobre 2015
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