La Piazza E Il Palazzo.
Gli amori dell’una e
dell’altro, una volta tanto convergenti, hanno travolto il sindaco più
sbeffeggiato d’Italia. Ignazio Marino si è dovuto dimettere perché si è rotto
il rapporto con Roma, ha sentenziato Matteo Renzi. Non per un inciampo
giudiziario, visto che (almeno finora) Marino non ha ricevuto neppure un avviso
di garanzia. L’ignaro Ignazio cade scivolando sugli scontrini sotto casa.
Maledetti scontrini, testimoni silenti delle debolezze di una politica
arruffona che non risparmia né l’inquilino di Palazzo Chigi nella versione old
style fiorentina. Chi di ricevuta colpisce…. Cacciato dal Campidoglio perché
non ha saputo tenerselo. La sentenza del premier-segretario scrive un’altra
pagina nell’ambiguo e difficile rapporto tra politica e giustizia. Marino cade
perché Renzi non poteva più reggere il peso della sua leggerezza. Spazzato via
da un vento giustizialista alimentato dal senso comune, che non sempre è buon
senso. Indifendibile in quanto debole. Indebolito dunque pericolosamente
difendibile. Una forma di giustizialismo ad personam. Il plurindagato Verdini
infatti va bene, perché utile a un progetto. Altri no. Se ne era avuto un
anticipo mesi fa, a marzo, quando scoppiò un altro imbarazzante caso che portò
alle dimissioni del ministro Maurizio Lupi. Il costoso orologio ricevuto in
regalo dal figlio costrinse il potente esponente dell’NCD a mollare il
ministero delle infrastrutture.(..). La Fine Imbarazzante di questa esperienza rischia di
mandare in archivio le responsabilità di chi ha preceduto Marino in Campidoglio.
Gianni Alemanno aprì le porte a un
sodalizio nero di famelica voracità; sono gli anni dei fascio mafiosi e degli
affari con i “rossi”, il mix svelato dall’inchiesta Mafia Capitale. Se il
Marziano Ignazio avesse avuto la lucidità di dimettersi prima dell’estate,
quand’era ancora in tempo per salvarsi dal ridicolo, avrebbe potuto dare un
valore politico al suo gesto. (..). Gli sviluppi giudiziari squassavano il Pd
mentre il sindaco resisteva a testa alta. La proposta appariva come uno choc:
dimissioni di Marina. Motivate con la necessità di non lasciare la città allo
sbando e nel degrado per mesi e mesi, come poi purtroppo è accaduto. Avrebbe
potuto, a quelle condizioni, ripresentarsi come il protagonista di un processo
di risanamento e bonifica della macchina burocratica capitolina. Far ripartire
Roma. Invece Marino è rimasto prigioniero del suo smodato Narciso. Fino alla
fine. Nell’Attesa Di Individuare i possibili candidati in pista nelle
prossime elezioni di primavera, resta insopportabile la corruzione nella vita
pubblica. La Lombardia, con il vicegovernatore agli arresti, insegna che
nessuno ha l’esclusiva del malaffare. Ma in certi uffici di Roma Capitale (così
si chiama, voluta da Alemanno, l’amministrazione civica), nelle strane
cooperative, negli appalti delle grandi opere la commistione tra affari,
clientele e organizzazioni mafiose è stata tutt’altro che scardinata.
“L’abbuffata continua”, è il titolo di copertina di questa settimana, con la
Lupa sezionata alla stregua di un bue pronto da macellare. (..) Gli scontrini
volano, il marcio resta.
Luigi Vicinanza – Editoriale www.lespresso.it
@vicinanzal
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