Dal Bivacco di Manipoli
al manipolo di
debosciati. La Storia per fortuna non si ripete e la tragedia finisce in farsa.
Il Senato assomiglia più alla suburra romana che all’aula sorda e grigia della
minaccia mussoliniana. D’altra parte
Lucio Barani e Vincenzo D’Anna non hanno mai marciato su Roma; semmai hanno
vagheggiato incursioni erotiche da trivio. Per il disonore dell’istituzione di
cui sono membri irresponsabili. Quel che è accaduto nell’assemblea di Palazzo
Madama nella giornata di venerdì 2 ottobre è destinato insomma a lasciare un
segno nella memoria collettiva; un ulteriore incoraggiamento verso la
secessione silenziosa attuata da milioni di cittadini nei confronti degli
istituti della democrazia parlamentare. Un rapporto di progressivo
sgretolamento. Un elettore su due ha scelto di non votare nelle elezioni
regionali dello scorso maggio (..). Nell’autunno dell’anno scorso era andato
persino peggio: si recò alle urne meno del 38 per cento degli aventi diritto.
uno choc per le tradizioni di partecipazione popolare in quella regione. Se si
votasse oggi alle politiche, l’astensionismo sarebbe di gran lunga la forza più
rappresentata. Contenitore di un malessere diffusi in tutti gli strati sociali,
da nord a sud. Senza voce, oscura. Potenzialmente esplosiva.(..). Un dato.
Dall’inizio della legislatura, marzo 2013, hanno cambiato casacca 297
parlamentari; quasi uno su tre: 147 alla Camera su 630 e addirittura 150 su 315
al Senato (..). La Costituzione garantisce la libertà di ogni singolo
parlamentare (che rappresenta la Nazione, senza vincolo di mandato, come recita
l’articolo 67), tuttavia la transumanza di questi mesi dall’opposizione verso
la maggioranza – e viceversa – non si richiama a grandi valori e a solidi
ideali. Siamo al soccorso del vincitore, italico sport in cui Denis Verdini e
il suo gruppo sono abili e imbarazzanti campioni. A Questo Evidente degrado della pratica politica Renzi
assiste con calcolato e spregiudicato pragmatismo. Ha messo da parte la
rottamazione. O meglio, ha smesso di rottamare personaggi ingombranti sia nel
suo partito che tra gli alleati che di volta in volta gli si offrono in aiuto.
Ha avviato invece una lucida rottamazione del sistema istituzionale esistente.
A partire dal Senato. I suoi stessi componenti con il loro modo di fare si
stanno suicidando tra gli applausi del pubblico.(..). Un parallelo, Urticante e
anticonformista, con Bettino Craxi e gli anni della sua ascesa al potere è
contenuto nell’analisi di Piero Ignazi (a pagina 45). Mentre Michele Ainis la
scorsa settimana ha individuato nella costruzione in corso una forma di
presidenzialismo non dichiarato. Accentratore, veloce nel prendere le
decisioni, in comunicazione diretta e permanente con il suo popolo. Con i talk
show ridotti all’inutilità, come spiega Massimo Cacciari (a pagina 29). Con
persone amiche, legate al vincolo dell’appartenenza, nei posti che contano. Il
populismo riformista di Renzi insomma si alimenta della debolezza stessa dei
meccanismi democratici così come li abbiamo finora conosciuti. Bersani e i
superstiti compagni della “ditta” denunciano il tradimento dei valori
costitutivi del Pd e quindi della sinistra. C’è del vero. Ma i fallimenti
politici attribuibili alla loro storia hanno spianato la strada al
premier-segretario unico. Di fronte a un Paese sfibrato il renzismo si pone
come semplificazione dei riti della seconda inconcludente repubblica. Un
azzardo. Buona fortuna a chi sarà comandato.
Luigi Vicinanza – Editoriale www.lespresso.it
- @vicinanzal – L’Espresso – 15 ottobre 2015
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