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lunedì 12 ottobre 2015

Lo Sapevate Che: Non ci sono scuse all'indifferenza...



Le incessanti immagini di sbarchi ed esodi di emigranti mi hanno reso quasi indifferente al dramma, anzi con un po’ di vergogna cambio subito canale. Recentemente ho letto Bartleby lo scrivano di Herman Melville e voglio riportarle un messaggio che forse giustifica il mio, e penso di molti, atteggiamento: “Come è vero – e tremendo . che fino a un certo punto il pensiero e lo spettacolo della miseria suscitano i nostri sentimenti migliori, ma che, in certi casi, esiste un limite oltre il quale non è più così. E sbaglia chi sostiene che tutto ciò deriva dall’innato egoismo del cuore umano: no, scaturisce semmai dal senso di impotenza che si può provare di fronte a mali troppo gravi e incurabili. Per un essere sensibile, non di rado la compassione coincide con la sofferenza. E quando si giunge finalmente non di rado la compassione coincide con la sofferenza. E quando si giunge finalmente a comprendere che non è sufficiente la pietà per offrire valido soccorso, il buonsenso invita l’anima a sbarazzarsene”. Cosa ne pensa? Claudia.multedo@alice.it
Penso che Herman Melville, l’autore di Moby Dick, abbia ragione nella sua diagnosi, ma io preferisco seguire l’invito di Gunther Anders che, ponendosi lo stesso problema a proposito della tragedia dell’olocausto, non chiede alla nostra sensibilità di “sbarazzarsi” delle tragedie le cui dimensioni ci fanno assaporare la nostra impotenza, ma di educare il nostro sentimento a portarsi all’altezza della tragedia, per non diventare “analfabeti emotivi” del tutto insensibili a quanto di tragico sta davanti ai nostri occhi. E’ vero, la nostra psiche ha un orizzonte limitato, e il sentimento che la percorre reagisce solo a ciò che è vicino. Se muore la mia compagna di vita soffro, talvolta in modo indicibile. Se muore il mio vicino di casa mi limito a fare le condoglianze. Se i mezzi d’informazione mi dicono che in ogni secondo muoiono nel mondo dieci bambini, la notizia finisce essere solo una statistica che non voglio approfondire per non assaporare la mia impotenza. (..). Se non educhiamo il nostro sentimento a portarsi all’altezza di quanto sta accadendo entriamo in quel “nichilismo passivo”, denunciato da Nietzsche, che scaturisce dal fatto che il “troppo grande” ci lascia freddi se non addirittura indifferenti: alla distruzione del sistema ecologico, al proliferare delle guerre con le loro atrocità, alla distruzione dei patrimoni artistici, alle condizioni disperate, ai loro naufragi nel mare, ai muri e ai fili spinati che tentano di difendere una terra che non è mai stata solo di chi la abita. Di fronte a questi drammatici eventi, che hanno raggiunto una dimensione che va al di là della nostra capacità di intervento, non possiamo salvarci “ sbarazzandoci” dei problemi più grandi di noi come dice Herman Melville, perché proprio l’inadeguatezza del nostro sentire rende possibile la ripetizione di questi terribili eventi, facilita il loro accrescersi, inceppando non solo i sentimenti dell’orrore e della compassione, ma anche il sentimento della nostra responsabilità. Che si azzera se, invece di educare il nostro sentire per portarlo all’altezza degli eventi che sono davanti ai nostri occhi, ci affidiamo pigramente a quel meccanismo di inibizione della nostra psiche, la cui sensibilità si arresta non appena gli eventi superano una certa grandezza. E per effetto di questa regola infernale, come scrive Gunther Anders, “il mostruoso ha via libera”.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 3 ottobre 2015

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