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venerdì 9 ottobre 2015

Lo Sapevate Che: La signora del treno e le storie che non fanno notizia...



La mia collaboratrice domestica è arrivata a Milano dalla Puglia quando aveva 8 anni: con sette fratelli e sorelle, un padre operaio che doveva riuscire a mantenerli tutti, una madre che con antica sapienza dava da mangiare alla famiglia squisite minestre di lenticchie o di fave per non buttare il poco denaro. Ha cominciato a lavorare a 14 anni come operai, con molta difficoltà perché lei diceva subito di venire dal Meridione e in quegli anni i superbi milanesi non si fidavano dei “terroni”, come adesso non si fidano degli stranieri. Quando si è fidanzata, a 18 anni, a lei e al suo ragazzo è stato molto difficile trovare casa in affitto. Pranziamo insieme ogni girono e lei mi racconta di un mondo che altrimenti non conoscerei, quello di chi vive nei paesi attorno alla città, che ogni mattina arriva alla stazione più vicina in bicicletta, prende il treno affollato verso le 6, poi la metropolitana, poi il tram e va a lavorare. E la sera riprende il tram, la metropolitana, il treno e infine la bicicletta per tornare a casa. E’ intelligente, ha capito tutto della vita e del mondo, guarda il telegiornale meno stupido, detesta Salvini e si arrabbia per i tanti migranti che muoiono in mare. (..). Pare impossibile, ma per esempio ci sono cosiddette signore che ancora considerano la per loro indispensabile domestica una persona senza valore, che si può sfruttare. Isabella ha chiesto 10 euro l’ora (in nero, ovvio) per stirare tre ore due volte alla settimana. La “padrona” sprezzante: “Malgrado la crisi ancora non avete imparato ad abbassare la testa, 5 euro o niente”. E Isabella le dice va bene, niente, e se ne va. (..). Ovviamente l’amore, la famiglia sono al centro dei “racconti del treno”. Di Fausta che non può avere figli ed è troppo fragile per lavorare. raccontano le amiche. I soli guadagni li porta a casa il marito muratore, e a un certo punto lei fa un pasticcio che le fa perdere un migliaio di euro. E’ una tragedia, lui si arrabbia e da quel momento le tiene il muso per giorni. Lei si dispera al punto da chiudersi nello sgabuzzino di casa dopo aver inghiottito dei sonniferi, come nei film: vuole morire, o per lo meno far vedere che vuole morire. Il marito disperato naturalmente non sa che fare, arriva la madre di lei incazzatissima. E la trascina al pronto soccorso. Tutto è bene quel che finisce bene, nel palazzo dove vive è diventata un’eroina per le altre donne, i mariti si fanno più docili. Carmela racconta con dolore il dramma di sua figlia Debora. ha 40 anni, è ancora una bella donna, ha tre figlie e un marito impiegato. Quando era una ragazza, a Milamo, soltanto venti anni fa, suo padre non le consentiva di uscire con le amiche e i ragazzi se non accompagnata da qualcuno della famiglia, non le permetteva di andare a ballare e neppure a lavorare, come nell’800. Il primo uomo che le hanno consentito di conoscere l’ha sposato. Ha condotto una vita quasi carceraria, come quella di sua madre, al servizio silenzioso di suo marito. Di colpo qualche mese fa si è svegliata, ha capito che stava perdendo la sua vita nell’infelicità e con  coraggio ha deciso di separarsi: il marito non capisce, non vuole andarsene, se ne andrà lei che non ha un soldo, che non ha mai lavorato, che vuole con sé le figlie. Lui la minaccia, la famiglia di lei la crede impazzita o preda di un amante. lei non ha nessuno, vuole solo il diritto alla libertà, a essere una persona e non un servizio. La madre la contrasta, le dice “ma le donne sono nate per sopportare”. Le zie l’avvertono “guarda che per sette anni non potrai vedere un altro uomo, lo dice la legge”. Lei non ascolta, sta cercando un lavoro per cominciare a vivere Un mondo lontano, così vicino.
Natalia Aspesi – Donna di Repubblica - 3 ottobre 2015

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