Mai dire o pensare:vado a farmi fare
un massaggio. Niente di più impreciso, incerto, approssimativo e generico. Che
tipo di massaggio, come si chiama, ache serve? Una vera giungla orientarsi fra
il Kobdo, originariamente riservato ai samurai prima che andassero in guerra, e
il Manhattan, che non è un drink, bensì un massaggio muscolare profondo a ritmo
veloce. Arduo districarsi fra un evanescente Kylikituly, basato sulla tecnica
dello sfioramento con messa al bando di oli e creme, e un solenne Shirodhara,
che prevede tu stia immobile per oltre trenta minuti mentre un sottilissimo
filo d’olio aromatico tiepido ti viene fatto colare dall’alto sul centro della
fronte, nell’area cioè del terzo occhio secondo la dottrina ayurvedica. Olo ami
o lo odi, o lo trovi una delizia paradisiaca o, soprattutto se soffri il
solletico, l’untuoso stillicidio somiglierà a una delizia paradisiaca o,
soprattutto se soffri il solletico, l’untuoso stillicidio somiglierà a una
capricciosa tortura. E ancora: come raccapezzarsi fra un Kayasekam, frizioni
energizzanti e robusti impastamenti anti-ipertensione, e un massaggio Vodder,
che favorisce la riattivazione del sistema linfatico e sgonfia le gambe? Nomi
esotici, tradizioni millenarie, leggende metropolitane e impressioni personali
circondano pratiche di massaggio che a ben vedere sono sempre le stesse. Che
sia made in Hawaii o in Tailandia, cinese o svizzero, che venga dall’India o
sia retaggio degli aborigeni australiani, che l’estetista ti metta una fila di
pietre roventi lungo la colonna vertebrale o che ti calpesti soavemente la
schiena con i suoi piedini scalzi o la faccia percorrere da un serpente ex
velenoso, il massaggio non sempre mantiene quel che promette. Anche perché
spesso le promesse sono un po’ troppo impegnative: un buon massaggio si
pretende rassodi e allo stesso tempo rilassi, e naturalmente anche tonifichi e
riequilibri. Che sia antiage e antistress, possibilmente combatta la cellulite,
agisca sulla ritenzione idrica e abbia un effetto decontratturante, tanto per
cominciare. E che l’estetista non sia del tipo logorroico. Aspettative un po’
troppo ambiziose.
Laura Laurenzi – Che bellezza – Il Venerdì di Repubblica – 25
settembre 2015
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