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venerdì 31 marzo 2023

Lo Sapevate Che: Inaugurata la Torre Eiffel: Concepita per esaltare il progresso scientifico e tecnologico e destinata a vita breve, la Torre Eiffel finì col diventare l'elemento cardine dello skyline di Parigi e insieme il simbolo incontrastato della "grandeur" francese. Per i suoi concittadini è la dame de fer, la "signora di ferro".


Il definitivo tramonto dell'Impero e l'avvento della Terza Repubblica (1879-85) segnarono in Francia l'inizio di una stagione di riforme istituzionali e sociali (dal rafforzamento del sistema parlamentare al riconoscimento delle libertà di stampa e sindacale), destinata a plasmare la futura identità dello Stato e a farne un modello di democrazia universale. Ciò si tradusse anche in un risveglio del sentimento nazionale che toccò l'apice con l'adozione della Marsigliese come inno ufficiale (1880).

Sul piano scientifico Parigi divenne un banco di prova per le importanti scoperte di quegli anni e per tutti gli sviluppi tecnologici e sociali prodotti dalla seconda rivoluzione industriale (1870-1920). Dall'utilizzo dell'elettricità all'introduzione dell'acciaio, dal perfezionamento dei sistemi di trasporto (quali tram e metropolitane) alla scoperta di nuove forme di comunicazione come il telefono (brevettato dallo scozzese Bell nel 1876).

Un primato che la capitale transalpina contendeva in quel periodo a Londra e che le venne riconosciuto ufficialmente quando si prese la decisione di organizzare lì l'Esposizione universale del 1889. Un evento di prestigio che tra l'altro veniva a coincidere con una scadenza di enorme valenza storica: il centenario della Rivoluzione francese. Per questo il comitato organizzatore si predispose a fare le cose in grande.

Con un budget a disposizione di 41 milioni di franchi (una parte fondi statali, la restante frutto di prestiti bancari e del ricavato di una lotteria), si progettarono una serie di interventi urbanistici e di grandi opere tese da un lato a celebrare la gloriosa storia della nazione, dall'altro a incarnare le idee di progresso e modernità. Entrambi gli aspetti proiettarono la mente a qualcosa che era avvenuto recentemente negli Stati Uniti d'America.

Il 28 ottobre del 1886, su un isolotto della baia di New York, era stata inaugurata la Statua della Libertà, un simbolo di autodeterminazione e di tecnica moderna che nascondeva un'anima "francese": lo scheletro in metallo che reggeva l'imponente struttura era stata realizzato dall'architetto francese Gustave Eiffel. A lui fu dato l'incarico di erigere una torre nell'area compresa tra il Pont d'Iéna e i giardini di Campo di Marte, dove avrebbe avuto luogo l'Expo.

I lavori iniziarono nel 1887 impegnando 50 ingegneri e circa duecento operai, suddivisi tra il montaggio di 18.030 pezzi in ferro e la costruzione della torre. Due anni più tardi, l'opera venne completata con più di un mese di anticipo rispetto all'apertura dell'Expo, per essere inaugurata in pompa magna il 31 marzo. Un tempo record conseguito a dispetto delle forti critiche che erano venute dal mondo letterario e artistico locale. Poeti del calibro di Rimbaud e Verlaine definirono il progetto un «inutile e volgare affronto all'armonia architettonica di Parigi», arrivando a firmare una petizione per bloccarne i lavori.

L'entusiasmo e i numeri dei primi visitatori (circa due milioni) accorsi durante l'Esposizione universale dettero torto ai contestatori. La gente venne rapita dalla linea elastica e avveniristica della torre, tinta di rosso veneziano, che con i suoi 324 metri di altezza (antenna compresa) conquistò il primato di edificio più alto del mondo, conservandolo fino al 1930 (superata dal Trump Building di Manhattan). Ciononostante le intenzioni delle autorità francesi erano di smantellarla dopo due anni e solo a conclusione dei preziosi esperimenti di radiotelegrafia, di cui fu protagonista, si decise di tenerla definitivamente.

Ritinteggiata diversamente nel corso degli anni (dal giallo al beige all'attuale "marrone Eiffel"), la Torre Eiffel è oggi il monumento a pagamento più visitato al mondo, con una media di oltre 6 milioni di ingressi all'anno. Per visitare i tre piani aperti al pubblico (l'ultimo a 276 metri di altezza) occorre salire 1.665 gradini o in alternativa utilizzare i cinque ascensori a disposizione. Tra i punti di maggior attrattiva: il ristorante Altitude 95 (cifra che indica l'altezza sul livello del mare) e il punto panoramico del terzo livello che offre una splendida vista su Parigi.

Delle diverse copie sparse per il mondo, l'esemplare più noto è la Tokyo Tower, in Giappone, realizzata nel 1958 e alta 333 metri.

http://www.mondi.it/almanacco/voce/419003

Lo Sapevate Che: Debutta al cinema "Matrix": «Che cos'è Matrix? È controllo. Matrix è un mondo virtuale elaborato al computer, creato per tenerci sotto controllo, al fine di convertire l'essere umano in questa...» È la scioccante verità che Morpheus sbatte in faccia a Neo mostrandogli una "batteria" e alludendo con essa che le macchine, che dominano il mondo, utilizzano gli esseri umani come fonte d'energia, imprigionandoli in "baccelli" riempiti di liquido e collegandoli a cavi elettrici. Sono le prime scene di Matrix, film diretto dai fratelli Andy e Larry Wachowski, che venne proiettato per la prima volta nelle sale statunitensi il 31 marzo del 1999. Ennesimo capitolo dell'eterna lotta tra l'uomo e la macchina, un topos del genere fantascienza, la pellicola andò incontro a uno straordinario successo di pubblico e critica, consacrando il protagonista Keanu Reeves nel ruolo dell'Eletto. In realtà l'attore era stato ingaggiato soltanto dopo la tragica morte della "prima scelta" Brandon Lee (sul set de "Il Corvo") e i rifiuti di Johnny Depp e Will Smith. Ispirato ad elementi della tradizione cristiana e della filosofia zen, Matrix (termine utilizzato nella doppia valenza di "matrice di numeri" e "cyberspazio") fece incetta di premi, su tutti quattro Oscar per "miglior montaggio", "miglior sonoro", "miglior montaggio sonoro" e "migliori effetti speciali". Quest'ultimo premiò la scelta del "bullet time", tecnica resa celebre dai fratelli Wachowski che consente di vedere ogni scena al rallentatore, mentre l'inquadratura gira attorno a velocità normale. Pur sbancando il botteghino, i due sequel del 2003 Matrix Reloaded e Matrix Revolutions non convinsero come il primo, per l'evoluzione eccessivamente visionaria della storia. http://www.mondi.it/almanacco/voce/5268001

 

È la scioccante verità che Morpheus sbatte in faccia a Neo mostrandogli una "batteria" e alludendo con essa che le macchine, che dominano il mondo, utilizzano gli esseri umani come fonte d'energia, imprigionandoli in "baccelli" riempiti di liquido e collegandoli a cavi elettrici. Sono le prime scene di Matrix, film diretto dai fratelli Andy e Larry Wachowski, che venne proiettato per la prima volta nelle sale statunitensi il 31 marzo del 1999.

Ennesimo capitolo dell'eterna lotta tra l'uomo e la macchina, un topos del genere fantascienza, la pellicola andò incontro a uno straordinario successo di pubblico e critica, consacrando il protagonista Keanu Reeves nel ruolo dell'Eletto. In realtà l'attore era stato ingaggiato soltanto dopo la tragica morte della "prima scelta" Brandon Lee (sul set de "Il Corvo") e i rifiuti di Johnny Depp e Will Smith.

Ispirato ad elementi della tradizione cristiana e della filosofia zen, Matrix (termine utilizzato nella doppia valenza di "matrice di numeri" e "cyberspazio") fece incetta di premi, su tutti quattro Oscar per "miglior montaggio", "miglior sonoro", "miglior montaggio sonoro" e "migliori effetti speciali". Quest'ultimo premiò la scelta del "bullet time", tecnica resa celebre dai fratelli Wachowski che consente di vedere ogni scena al rallentatore, mentre l'inquadratura gira attorno a velocità normale.

Pur sbancando il botteghino, i due sequel del 2003 Matrix Reloaded e Matrix Revolutions non convinsero come il primo, per l'evoluzione eccessivamente visionaria della storia.

http://www.mondi.it/almanacco/voce/5268001


È la scioccante verità che Morpheus sbatte in faccia a Neo mostrandogli una "batteria" e alludendo con essa che le macchine, che dominano il mondo, utilizzano gli esseri umani come fonte d'energia, imprigionandoli in "baccelli" riempiti di liquido e collegandoli a cavi elettrici. Sono le prime scene di Matrix, film diretto dai fratelli Andy e Larry Wachowski, che venne proiettato per la prima volta nelle sale statunitensi il 31 marzo del 1999.

Ennesimo capitolo dell'eterna lotta tra l'uomo e la macchina, un topos del genere fantascienza, la pellicola andò incontro a uno straordinario successo di pubblico e critica, consacrando il protagonista Keanu Reeves nel ruolo dell'Eletto. In realtà l'attore era stato ingaggiato soltanto dopo la tragica morte della "prima scelta" Brandon Lee (sul set de "Il Corvo") e i rifiuti di Johnny Depp e Will Smith.

Ispirato ad elementi della tradizione cristiana e della filosofia zen, Matrix (termine utilizzato nella doppia valenza di "matrice di numeri" e "cyberspazio") fece incetta di premi, su tutti quattro Oscar per "miglior montaggio", "miglior sonoro", "miglior montaggio sonoro" e "migliori effetti speciali". Quest'ultimo premiò la scelta del "bullet time", tecnica resa celebre dai fratelli Wachowski che consente di vedere ogni scena al rallentatore, mentre l'inquadratura gira attorno a velocità normale.

Pur sbancando il botteghino, i due sequel del 2003 Matrix Reloaded e Matrix Revolutions non convinsero come il primo, per l'evoluzione eccessivamente visionaria della storia.

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Lo Sapevate Che: Cartesio: Renato Cartesio è stato un filosofo e matematico francese, fra i principali fondatori della matematica e della filosofia moderne. Wikipedia


 

Renato Cartesio (AFI/karˈtɛzjo/; in francese René Descarte[ʁə'ne de'kaʁt]; in latino Renatus CartesiusLa Haye en Touraine [oggi Descartes], 31 marzo 1596 – Stoccolma11 febbraio 1650) è stato un filosofo e matematico francese, fra i principali fondatori della matematica e della filosofia moderne.

Cartesio estese la concezione razionalistica di una conoscenza ispirata alla precisione e certezza delle scienze matematiche a ogni aspetto del sapere, dando vita a ciò che oggi è conosciuto con il nome di razionalismo continentale, una posizione filosofica dominante in Europa tra il XVII e il XVIII secolo.

Le origini familiari

Cartesio, secondo il suo biografo Adrien Baillet, nacque il 31 marzo del 1596 a La Haye en Touraine, in una casa «delle più nobili, delle più antiche e delle più in vista della Turenna»; in realtà il titolo di Cavaliere fu concesso alla famiglia Descartes soltanto il 20 gennaio 1668.

Il suo biografo Pierre Borel, credeva invece che fosse nato nella casa che i Descartes possedevano a Châtellerault, nel Poitou: entrambe le case esistono ancora e del Poitou erano originari gli avi del filosofo, che non erano però nobili.

Il nonno Pierre Descartes era un medico e il figlio Joachim (1563-1640), che esercitò l'avvocatura a Parigi, nel 1585 acquistò la carica di consigliere del Parlamento di Bretagna, dove si trovava quando la moglie Jeanne Brochard (1570-1597) partorì René, terzo figlio dopo le nascite di Jeanne (1590-1640) e di Pierre (1591-1660).

Gli studi

 

Solo nella ricorrenza della Pasqua del 1607 entrò nel collegio di La Flèche- fondato da Enrico IV nel 1603 e assegnato ai gesuiti - che già godeva di alta rinomanza e dove il fratello Pierre aveva iniziato gli studi nel 1604. Nello stesso collegio studiò il teologo e scienziato Marin Mersenne, che Cartesio conoscerà probabilmente solo nel 1622 o 1623, di cui fu amico per tutta la vita e che si occupò dei suoi affari in Francia quando Cartesio risiedette in Olanda. Gli studenti, provenienti da ogni parte della Francia senza distinzione di classe sociale, erano tenuti al solo pagamento della pensione e i corsi prevedevano tre anni di studio della grammatica, tre anni di studi umanistici e tre anni di filosofia. Coloro che avessero voluto intraprendere la carriera ecclesiastica vi avrebbero continuato a studiare per altri cinque anni la teologia e le Scritture.

Nei primi sei anni di corso i giovani attendevano a studi grammaticali (quattro anni) e retorici (due anni). Tutte informazioni necessarie, secondo Cartesio, per conversare con il passato, che è come un viaggiare nella dimensione del tempo. I libri che Cartesio cercò di fuggire come la peste furono quelli di filosofia, e particolarmente i grandi e oscuri libri della Scolastica vecchia e nuova, prima e seconda. Della poesia, poi, conservò sempre intatta l'ammirazione, pur considerando poesia ed eloquenza doni dell'ingegno, piuttosto che frutti dello studio. L'amore per la poesia accompagnò il filosofo fino alla morte. Ai sei anni di studi grammaticali e storici, seguivano a La Flèche i tre anni degli studi propriamente filosofici o filosofico-scientifici: di logica, fisica, matematica, morale e metafisica. L'insegnamento aveva come base Aristotele.

Scarso era l'insegnamento della matematica, impartito per meno di un'ora al giorno ai soli studenti del secondo anno di filosofia. S'insegnava esclusivamente la filosofia aristotelica in un corso triennale ripartito nell'apprendimento della logica, basato sui manuali di Francisco Toledo e di Pedro da Fonseca della fisica e della metafisica, quest'ultima insieme con nozioni di filosofia morale.

L'incontro con Isaac Beeckman

Uscito da La Flèche, per qualche anno Cartesio sfugge alla presa dello storico. Con sicurezza si sa solamente che nel 1616 è a Poitiers a studiare diritto; che il 21 maggio fa da padrino al figlio di un sarto presso cui abita; che il 9 e il 10 novembre, superate le prove è baccelliere e licenziato in diritto canonico e civile. Figura come testimone in due atti di battesimo, del 22 ottobre e del 13 dicembre 1617, a Sucé, nella diocesi di Nantes.

Raggiunta la maggiore età, con una salute recuperata e il desiderio di conoscere cose nuove, ai primi del 1618 Cartesio si arruolò volontario in uno dei due reggimenti francesi di stanza a Breda, nei Paesi Bassi, sotto il comando del principe d'Orange. È un periodo di tregua della guerra che oppone le Province Unite alla Spagna: Cartesio aveva un valletto al suo servizio, ma l'ignoranza e la volgarità dei compagni, e l'ozio forzato a cui era spesso costretto non gli fecero amare l'ambiente militare. Tuttavia quel soggiorno si rivelerà importante sotto un altro aspetto: il 10 novembre conobbe casualmente il medico Isaac Beeckman, venuto da Middelburg a Breda per trovare lo zio e una ragazza da sposare ed entrambi si trovarono a cercare di risolvere un problema matematico. Il trentenne Beeckmam esercitò naturalmente una forte attrazione intellettuale su René e ne nacque un'amicizia che, pur contrastata negli anni, orienterà gli interessi di Cartesio verso le scienze matematiche…..

I due amici rimasero in contatto epistolare: il 26 marzo 1619 Cartesio informò Beeckman di aver inventato dei compassi grazie ai quali aveva potuto formulare nuove dimostrazioni sui problemi relativi alla divisione degli angoli in parti uguali e alle equazioni cubiche, ripromettendosi di sviluppare queste scoperte in un trattato ove egli avrebbe esposto «una scienza del tutto nuova, con la quale si possano risolvere in generale tutte le questioni proponibili in qualsiasi specie di quantità, sia continua sia discreta». È la prima testimonianza dell'intuizione della geometria analitica: «nell'oscuro caos di questa scienza ho intravisto uno spiraglio di luce».

A questo proposito, sebbene egli non ne sia stato l'inventore, Cartesio è conosciuto anche per la diffusione del cosiddetto diagramma cartesiano il cui uso risale a epoche antiche.

La Mirabilis Scientia

L'incontro con Beeckman fu decisivo per Cartesio: comunque lo si voglia valutare, costituì una scossa e un incitamento. Il 23 aprile 1619 diceva questo:

«Tu solo mi hai svegliato dall'inerzia, hai richiamato una cultura quasi dimenticata, hai ricondotto a cosa migliori un'indole sviata lungi da occupazioni serie. Se mai farò qualcosa di non disprezzabile, tu potrai a buon diritto reclamarlo; io stesso non tralascerò di inviartelo, perché tu ne faccia uso e lo corregga.» Detto questo, più di dieci anni dopo Cartesio sarà durissimo, infatti Mersenne gli aveva riferito che Beeckman si vantava di avergli insegnato, dieci anni prima; Cartesio si sdegna. E gli scrive: «Rifletti alle cose che uno può insegnare ad un altro! Se qualcuno pensa qualcosa senza esservi spinto né dall'autorità né dalle ragioni altrui, anche se l'ha sentito da molti, non per tanto si deve credere che l'abbia imparato da costoro. Può darsi, al contrario, che sappia solo lui perché indotto da ragioni vere, laddove gli altri, pur avendo opinato nello stesso modo, non per questo sappiano, poiché partivano da falsi princìpi. E allora, se ci ripensi bene, ti accorgerai agevolmente che da quella tua Matematico-fisica di cui vai sognando non ho imparato più che dalla Batracomiomachia». Era la conclusione ingiusta di una amicizia breve ma profonda. Era anche la cruda informazione che non si dà sapere se non unitario, e se non fondato su una presa di coscienza radicale e completa dei fondamenti. Beeckman e Cartesio si riconcilieranno; ma era ormai ben lontano il 1619.

Il ritorno in Francia

Lasciato l'esercito, nel 1622 tornava presso la famiglia a Rennes e si trasferiva nei primi mesi del 1623 a Parigi, ospite di un amico del padre, Nicolas Le Vasseur, che gli presentò il matematico Didier Dounot: in questo lasso di tempo potrebbe aver conosciuto anche Claude Mydorge. In autunno partiva per un lungo viaggio in Italia: la morte del signor Sain, marito della sua madrina e commissario generale al vettovagliamento per le truppe francesi stanziate in Italia, aveva lasciato libera una carica lucrosa che Cartesio avrebbe cercato - ma invano - di farsi assegnare.

Secondo i biografi Cartesio, che aveva letto in collegio un testo allora famoso, Le pèlerin de Lorette del gesuita Louis Richeome, sarebbe andato a Loreto per visitare la leggendaria Casa di Nazareth lì trasportata dagli angeli, poi a Roma, a Firenze, dove non incontrò Galileo, e a Venezia. Rientrò in Francia attraverso il passo del Moncenisio ed ebbe occasione di assistere alla caduta di valanghe, un fenomeno che tratterà nel libro sulle Météores. Giunse a Parigi nel maggio del 1625. Nel complesso non ricavò una buona impressione della penisola e dei suoi abitanti: «la calura del giorno è insopportabile, il fresco della sera malsano e l'oscurità della notte copre furti e omicidi»…

Nel novembre del 1627 fu invitato nella casa del nunzio pontificio Gianfrancesco Guidi di Bagno a una riunione di scienziati e filosofi. Lì, presenti anche il cardinale Bérulle e il Mersenne, si trovò a confutare le teorie filosofiche di un certo Chandoux attraverso l'esposizione del suo «metodo naturale» fondato sulle Regulae ad directionem ingenii che Cartesio stava elaborando.

Per lavorarci con maggiore tranquillità, partì per la Bretagna e poi si trasferì in una sua proprietà nel Poitou: le Regulae sono costituite da 21 proposizioni, 18 delle quali, le prime, commentate; il testo è stato lasciato incompiuto; Cartesio darà lo sviluppo organico del tema del metodo della conoscenza nel successivo Discours de la méthode.

L'intenzione è quella di orientare gli studi in modo che «la mente giunga a giudizi solidi e veri su tutto ciò che le si presenta». Il metodo è «la via che la mente umana deve seguire per raggiungere la verità»: esso consiste nell'ordinare e disporre gli oggetti sui quali s'indirizza la mente per giungere alla verità. Le proposizioni involute e oscure devono essere ridotte a proposizioni più semplici e poi, partendo dall'intuizione di queste ultime, progredire alla conoscenza di quelle più complesse. Le proposizioni semplici, comprese intuitivamente e senza ricorrere a dimostrazioni per la loro evidenza, sono equivalenti ai postulati e agli assiomi matematici e costituiscono i principi della conoscenza.

In Olanda

Fu di nuovo a Parigi nell'aprile del 1628: in questo periodo sembra che abbia scritto un trattatello sulla scherma, andato perduto: Traité d'escrime. In ottobre andò a Dordrecht, nei Paesi Bassi, a trovare l'amico Beeckman: in questa occasione deve aver maturato la decisione di trasferirsi nei Paesi Bassi. Dopo un ritorno a Parigi nell'inverno del 1628, nel marzo del 1629 ripartì per l'Olanda: si stabilì a Franeker, ove il 26 aprile si iscrisse all'Università per frequentare i corsi di filosofia. Probabilmente scelse quell'università perché vi insegnava il matematico Adrien Metius, fratello di quel Jacques Metius che a giudizio di Cartesio aveva inventato il cannocchiale.

Continuò a lavorare sui problemi dell'ottica e in agosto fu messo a conoscenza dall'amico professore di filosofia Henricus Reneri dell'osservazione del fenomeno ottico-astronomico dei pareli, effettuata il 20 marzo a Frascati dall'astronomo gesuita Christoph Scheiner. Quel fenomeno era già noto e Pierre Gassendi ne diede il 14 luglio una descrizione che verrà ripresa da Cartesio nelle Météores: sono circoli bianchi che «invece di avere al loro centro un astro, attraversano ordinariamente il centro del Sole o della Luna e risultano paralleli o quasi all'orizzonte».

Dal 1630 cominciò a lavorare al Le Monde ou traité de la lumière che avrebbe dovuto rappresentare l'esposizione della propria filosofia naturale, ma la notizia della condanna, nel 1633, del Galilei e della messa all'Indice del Dialogo sopra i due massimi sistemi lo dissuasero dal completare e pubblicare l'opera che in più parti sposava le tesi di Copernico condannate dalla Chiesa. Dopo un'edizione parziale postuma in traduzione latina nel 1662 a Leida, il trattato fu pubblicato nella versione originale francese a Parigi nel 1664 in due parti separate, con il titolo, rispettivamente, di Le Monde ou le traité de la lumière et des autres principaux objects des sens e di L'Homme; finalmente, nel 1667, l'opera fu pubblicata integralmente a Parigi insieme con il frammento La formation du foetus.

Nel 1635 diventò padre con la nascita della figlia Francine (1635-1640) battezzata il 7 agosto dello stesso anno, avuta da una domestica di nome Helena Jans Van der Strom che aveva avuto come amante per alcuni anni senza mai sposarla neppure dopo questa nascita. Cartesio però riconobbe Francine, che morì a soli 5 anni, come sua figlia.

Nel 1637 pubblicò in un volume il Discorso sul metodo come prefazione ai saggi su DiottricaGeometria e Meteore. Nel 1641 diede alle stampe la prima edizione, in latino, delle Meditazioni metafisiche corredate dalle prime sei Obiezioni e risposte. L'anno successivo (1642) con la seconda edizione delle Meditazioni pubblicò le settime Obiezioni e risposte; l'opera fu tradotta in francese nel 1647 dal Duca di Luynes.

Nel 1643 la filosofia cartesiana venne condannata dall'Università di Utrecht e accusata di pelagianesimo e persino di ateismo da parte di ambienti calvinisti[68], contemporaneamente Cartesio cominciò una lunga corrispondenza con la principessa Elisabetta di Boemia. Nel 1644 compose i Principia philosophiae e compì un viaggio in Francia. Nel 1647 la corona di Francia gli riconobbe una pensione. L'anno successivo da una lunga conversazione con Frans Burman nacque il testo Entretien avec Burman (Conversazione con Burman), pubblicato per la prima volta nel 1896.

Precettore di filosofia in Svezia e morte

Nel 1649 si trasferì a Stoccolma accettando l'invito della regina Cristina di Svezia, sua discepola, desiderosa di approfondire i contenuti della sua filosofia.[68] Quell'anno dedicò alla principessa Elisabetta il trattato Le passioni dell'anima. L'inverno svedese e gli orari ai quali Cristina lo costringeva a uscire di casa per impartirle le lezioni - alle cinque del mattino, quando il freddo era più pungente - ne minarono il fisico. Secondo il racconto tradizionale e l'ipotesi più accreditata, Cartesio morì l'11 febbraio 1650 per una sopraggiunta polmonite. La condanna della Chiesa cattolica nei confronti del pensiero cartesiano non tardò a venire, con la messa all'Indice nel 1663 delle sue opere (poste nell'Index con la clausola attenuante suspendendos esse, donec corrigantur).

Le ossa di Cartesio

Dopo la morte il corpo di Cartesio venne tumulato in un piccolo cimitero cattolico a nord di Stoccolma dove rimase fino al 1666 quando i resti vennero riesumati per essere portati a Parigi e inumati nella chiesa di Sainte Geneviève-du-Mont dove rimase sino al 26 febbraio 1819 quando la salma fu nuovamente trasferita e inumata tra altre due lapidi tombali, quelle di Jean Mabillon e di Bernard de Montfaucon, nella chiesa di Saint-Germain-des-Prés: «alla presenza dei rappresentanti dell'Accademia delle scienze, la salma fu ancora riesumata. Aprendo la bara, i presenti si resero conto che qualcosa non andava, in quanto allo scheletro del filosofo mancava misteriosamente il cranio.»

Si scoprì che gli svedesi ne avevano asportato la testa, che ricomparve a Stoccolma a un'asta, ove il cranio fu acquistato e donato alla Francia. Sul teschio, privo della mandibola e della parte inferiore, compaiono le firme dei suoi proprietari dalla fine del Seicento al momento della vendita. Secondo l'uso del tempo gli intellettuali tenevano sulla scrivania un teschio, meglio se di un illustre personaggio, a memento della morte comune e inevitabile. Il teschio, attribuito a Cartesio sia per l'età sia per le ricostruzioni fatte in base ai ritratti del filosofo, continuò a rimanere separato dal resto del corpo ed esposto al Musée de l'Homme….

Nel 1801 in suo onore la città natale fu ribattezzata La Haye-Descartes e nel 1966, dopo la sua fusione con il comune di BalesmesDescartes. Inoltre in paese esiste ancora la casa natale, che nel 1974 è stata trasformata in museo e successivamente nel 2005 è stata ampliata con un suggestivo percorso, pensato per far rivivere ai visitatori l'atmosfera dell'epoca oltre che conoscere la vita e il pensiero dello scienziato.

Un'altra ipotesi sulla morte di Cartesio

Il filosofo tedesco Theodor Ebert (1939-), dell'Università di Erlangen, nell'opera La misteriosa morte di René Descartes è giunto alla conclusione che Cartesio morì non per una polmonite, ma per un avvelenamento da arsenico. Ebert ha scoperto una nota del medico di Cartesio dove si descrivono le condizioni del filosofo, consistenti in «perdurante singhiozzo, espettorazione di colore nero, respirazione irregolare» sintomi riportabili ad avvelenamento da arsenico. Nella stessa opera si racconta di come Cartesio, forse sospettando un avvelenamento, poco prima di morire chiedesse un infuso di vino e tabacco, bevanda che serviva a vomitare.

Nel 1996 la tesi dell'avvelenamento era stata avanzata anche da autori come Eike Pies che l'attribuiva all'iniziativa di un monaco cappellano presso l'ambasciata francese a Stoccolma incaricato di operare come "missionario del nord" per convertire la regina svedese al cattolicesimo.

Nel 1980 Pies ebbe modo di leggere nell'archivio dell'università di Leiden, Paesi Bassi, una lettera del medico della regina Cristina, che descriveva a un amico dottore i sintomi del moribondo Cartesio, consistenti in «emorragia allo stomaco, vomito nero, tutte cose che non hanno niente a che fare con la polmonite»….

La ipotesi di assassinio per opera del fanatico padre Viogué si baserebbe sul fatto che questi vedeva nell'insegnamento cartesiano un ideale razionalista che avrebbe portato la regina Cristina a un cattolicesimo diverso da quello professato dal padre agostiniano. Tale affermazione, però, sembra in parte contrastare con quanto affermato dalla regina di Svezia, la quale, in una testimonianza inserita nell'introduzione all'edizione postuma parigina delle Méditations métaphysiques, elogia il filosofo scrivendo che « [M. Des-Cartes] a beaucoup contribué a nostre glorieuse conversion; et que la providence de Dieu s'est servie de luy [...] pour nous en donner les premières lumières; ensorte que sa grâce et sa misericorde acheverent apres à nous faire embrasser les veritez de la Religion Catholique Apostolique et Romaine ».

La maggior parte degli studiosi si mostra assai scettica riguardo all'ipotesi di avvelenamento, considerando ben più attendibile quella tradizionale fornita dal biografo Baillet tanto da ritenere che «non sono assolutamente da seguirsi le voci secondo le quali il filosofo sarebbe morto per avvelenamento, vittima di una congiura di corte: non sembrano verosimili e nessuno ha mai avanzato prove plausibili».

Per di più gli amici che nelle ultime ore assistettero Cartesio osservarono un sintomo non riconducibile all'avvelenamento da arsenico: la febbre alta. La stessa alterazione febbrile Cartesio aveva avuto modo di riscontrare nell'ambasciatore Nopeleen e nell'amico Chanut appena guarito da una febbre alta. A rendere poco convincente l'avvelenamento sarebbe stato il fatto che lo stesso presunto avvelenatore, Vioguè, confessò e confortò Cartesio sul letto di morte amministrandogli l'estrema unzione.

Pensiero di Cartesio

«Volendo seriamente ricercare la verità delle cose, non si deve scegliere una scienza particolare, infatti esse sono tutte connesse tra loro e dipendenti l'una dall'altra. Si deve piuttosto pensare soltanto ad aumentare il lume naturale della ragione, non per risolvere questa o quella difficoltà di scuola, ma perché in ogni circostanza della vita l'intelletto indichi alla volontà ciò che si debba scegliere; e ben presto ci si meraviglierà di aver fatto progressi di gran lunga maggiori di coloro che si interessano alle cose particolari e di aver ottenuto non soltanto le stesse cose da altri desiderate, ma anche più profonde di quanto essi stessi possano attendersi»

(Cartesio dal "Discorso sul metodo")

Studium bonae mentis

Alla ricerca della «scienza universale»

Alla analisi e classificazione delle scienze, all'esame del rapporto volontà e intelletto, era dedicato lo Studium bonae mentis, ossia "la ricerca del bene mentale", composto probabilmente intorno al 1623. Oggi perduto, Adrien Baillet lo adoperò, traendone precise citazioni, che indicano anche i numeri dei paragrafi. Lì appunto, nel paragrafo quarto, Cartesio offriva una classificazione delle scienze di notevole interesse: «Divideva le scienze in tre classi: le prime, che chiamava scienze cardinali, sono le più generali che si deducono dai princìpi più semplici e più noti alla comune degli uomini. Le seconde che chiamava sperimentali, sono quelle i cui princìpi non sono chiari e certi a tutti, ma solo a quelli che li hanno appresi con la loro esperienza e le loro osservazioni, benché taluni li conoscano in via dimostrativa. Le terze, che chiamava liberali, sono quelle che, oltre la conoscenza della verità, richiedono una prontezza di spirito, o almeno un'abitudine acquisita con l'esercizio, come la politica, la medicina pratica, la musica, la retorica, la poetica e molte altre che si possono comprendere sotto il nome di arti liberali, ma che non hanno in sé altra verità indubitabile che quella che traggono dai princìpi di altre scienze».

Nel paragrafo cinque sembra che determinasse i caratteri della vera scienza e degli scienziati autentici. Finalmente, alle pagine sette e otto, discuteva della memoria, e in modo degno di nota, con una precisa derivazione da Gerolamo Cardano: «Sembrava dubitare che fosse distinta dall'intelletto e dall'immaginazione. Credeva che di tutte le 'specie' che servono alla memoria alcune possano essere in diverse altre parti del corpo, come l'abitudine di un suonatore di liuto non è solamente nella sua testa, ma anche in parte nei muscoli delle sue mani. Ma oltre a questa memoria che dipende dal corpo, ne riconosceva anche una del tutto intellettuale, che dipende solo dall'anima».

Cartesio comprende che ormai è venuto il momento di mettere in discussione ogni insegnamento ricevuto, si sente ormai sciolto da ogni obbligo nei confronti dei maestri e per lui, almeno una volta nella vita, quelli che sul serio si preoccupano della bona mentis, devono mettere in discussione l'intero patrimonio del sapere, esaminando criticamente il campo a cui possa avere accesso l'umana ragione. Per raggiungere tale scopo l'unico mezzo è rivolgere l'attenzione, non già alla molteplicità degli oggetti delle singole scienze, ma all'umano sapere, che è unico, che procede secondo leggi uniche, che ha un fine unico. «Tutte le scienze altro non sono che l'umano sapere, che permane sempre uno e medesimo, per differenti che siano gli oggetti a cui si applica, né deriva da essi maggior distinzione di quanta ne derivi il lume del sole dalla varietà delle cose che illumina».

Il cammino dallo Studium bonae mentis al Discorso sul metodo si presenta quasi a tappe, a momenti. Comunque è chiaro il definirsi della concezione dello Studium bonae mentis come analisi dei processi della conoscenza, uniformi nella varietà delle discipline perché radicati in una costituzione nativa della mente. Senza dubbio i punti intorno a cui si polarizza l'attenzione di Cartesio sono: la certezza evidente come criterio di verità; l'intuito come luce di ragione, come strumento per giungere alla verità, integrato dalla deduzione, la quale, per altro, si configura come «un moto continuo e mai interrotto del pensiero intuente le singole cose», ossia come estensione dell'intuito; le nature semplici; il loro ordine, come catene di verità che si articolano in una totalità, l'enumerazione e la memoria intellettuale in quanto determinano il concreto estendersi dell'intuito alla totalità delle verità. Ciò che, secondo Cartesio, è più mancato alla ricerca scientifica è stato il metodo, ossia una ricerca sistematica, organica, ordinata, che non si limitasse a singoli ritrovati casuali. Per Cartesio la vera scienza è unità articolata, ordinata, comprensiva di tutte le scienze. Scienza è cognizione evidente di verità perfettamente note e delle quali non si può dubitare. Si tratta quindi di affrontare prima il problema dei mezzi di accesso alle verità, ossia degli strumenti; poi di mettere in luce la struttura oggettiva delle verità, il cui sistema costituisce il contenuto della scienza. Da queste basi parte la stesura di una delle principali opere di Cartesio, vale a dire il Discorso sul metodo.

Cartesio e il dubbio

Che cosa possiamo sperare di conoscere con certezza? Proprio quando sembra impossibile individuare qualcosa che possa essere conosciuto con evidente certezza, Cartesio si rende conto che qualunque cosa possa fare quel genio maligno di cui ha ipotizzato l'esistenza nel corso della messa in discussione di ogni certezza, questi non potrà mai far sì che io, che dubito di essere ingannato da lui, non esista: la sua azione dell'ingannare si rivolge ad un esistente che subisce l'inganno e che dubita di essere ingannato e, se dubita, pensa. Questo è il principio (meglio conosciuto nella formula del cogito ergo sum, "penso, quindi sono", che compare nel Discorso sul metodo) su cui ricostruire l'edificio della conoscenza.

Dal momento che dobbiamo rifiutare l'insegnamento dei sensi che ci rappresentano come dotati di un corpo, Descartes conclude di essere una sostanza pensante.

La contrapposizone fra res cogitans

res extensa avrà notevoli risvolti antropologici.

Il pensiero costituisce la sua essenza nella misura in cui esso è ciò di cui non può più dubitare. La costruzione del sapere avviene attraverso il metodo della deduzione mentre i sensi sono privati di ogni dignità conoscitiva.

Cartesio e il metodo

«Si giunge così alla filosofia moderna in senso stretto, che inizia con Cartesius. Qui possiamo dire d'essere a casa e, come il marinaio dopo un lungo errare, possiamo infine gridare "Terra!". Cartesius segna un nuovo inizio in tutti i campi. Il pensare, il filosofare, il pensiero e la cultura moderna della ragione cominciano con lui.»

(Georg Wilhelm Friedrich HegelLezioni sulla storia della filosofia

Ritenuto il primo pensatore moderno che ha fornito un quadro filosofico di riferimento per la scienza moderna all'inizio del suo sviluppo, Cartesio ha cercato di individuare i principi fondamentali che possono essere conosciuti con assoluta certezza. Per farlo si è servito di un metodo chiamato scetticismo metodologico: rifiutare come falsa ogni idea che può essere revocata in dubbio.

La conoscenza sensibile è la prima a essere messa in mora: è bene diffidare di chi ci ha già ingannato, potrà farlo ancora. Addirittura nel sonno capita di rappresentarsi cose che non esistono come se fossero vere. Perciò non bisogna credere nei sensi.

La conoscenza matematica solo apparentemente può sfuggire al metodo del dubbio metodico messo in atto da Cartesio. Infatti, benché sembri che non ci possa essere nulla di più sicuro e di più certo, non si può neppure escludere che un "genio maligno", supremamente malvagio e potente, si diverta a ingannarci ogni volta che effettuiamo un calcolo matematico.

Cartesio, per la sua personale esperienza della verità, ritiene che i pensieri di cui possiamo essere certi sono evidenze primarie alla ragione. Evidente è l'idea chiara e distinta, che si manifesta all'intuito nella sua elementare semplicità e certezza, senza bisogno di dimostrazione. Ne sono esempi i teoremi di geometria euclidea, che sono dedotti in base alla loro stessa evidenza, ma nello stesso tempo verificabili singolarmente in modo analitico, mediante vari passaggi.

Il ragionamento non serve a dimostrare le idee evidenti, ma semplicemente a impararle e memorizzarle; i collegamenti hanno la funzione di aiutare la nostra memoria. Kant rileverà che questo non solo è un metodo opportuno, ma che è l'unico possibile, che le coscienze si formano intorno a un "io penso" che può apprendere soltanto conoscenze che derivino da un unico principio.

Cartesio afferma anche che ognuno ha il suo metodo e che il suo è uno dei metodi possibili. La cosa più importante è darsi un metodo cui sottoporre tutte le verità e da seguire come regola per tutta la vita; il metodo cartesiano finisce con l'essere un imperativo categorico il cui contenuto metodico varia a seconda delle circostanze, ma anche della persona (cosa che l'imperativo categorico non ammette). Il metodo cartesiano quindi non è altro che un criterio di orientamento unico e semplice che all'interno di ogni campo teoretico e pratico aiuti l'uomo, e che abbia come ultimo fine il vantaggio dell'uomo nel mondo.

Il composto anima-corpo

Qual è il rapporto che l'io in quanto pensiero e il corpo in quanto estensione intrattengono tra di loro?

Cartesio anzitutto esclude che il pensiero sia nel corpo «come un nocchiero nella barca»; questa era l'immagine platonica per illustrare il rapporto anima-corpo, che lasciava intatte e separate le due sostanze.

A tale possibilità Cartesio obietta che le sensazioni che abbiamo, fame, sete, dolore, ecc., ci segnalano un rapporto diretto col corpo, laddove non si realizzasse un'unità, l'intelletto non proverebbe quei pensieri di sensazione, ma essi gli riuscirebbero in qualche modo estranei.

C'è un ulteriore elemento che ci dà la misura dell'unione intrinseca dell'intelletto col corpo, e cioè che i corpi esterni a noi intrattengono con noi rapporti che non sono percepiti come inerenti esclusivamente alla nostra corporeità, ma come benefici o dannosi a tutti noi stessi.

Anima e corpo sono dunque «mescolati», come attestano le sensazioni sia interne sia esterne; ma non al punto che non sia possibile distinguere alcune operazioni «che sono di pertinenza della sola anima» e altre «che appartengono al solo corpo».

All'anima compete la conoscenza della verità, al corpo le sensazioni «che ci sono date dalla natura propriamente solo per indicare all'anima quali cose siano di beneficio, quali di danno, a quel composto di cui essa è una parte, e ciò finché non sono ben chiare e distinte».

Il corpo dà dunque all'anima le indicazioni necessarie perché essa operi per la sopravvivenza del composto, ma tali indicazioni sono oscure e confuse, e la luce intellettuale deve, per conoscere la verità su di esse, provvedere a chiarirle.

Questa spiegazione puramente funzionale delle sensazioni urta però con due obiezioni che Cartesio si pone immediatamente.

Le sensazioni nocive

Il corpo però a volte ha sensazioni nocive per il composto, in ciò venendo meno alla sua funzione, ad esempio «quando qualcuno, ingannato dal sapore gradevole di un cibo, ingerisce il veleno che vi è nascosto».

Questa obiezione è facilmente superabile, in quanto al più in questo caso si può accusare la sensazione di ignorare che in quel cibo c'è del veleno, ma ben sappiamo che l'uomo è «una cosa limitata», e un caso del genere si spiega considerando che la sensazione ha una capacità informativa limitata.

Più insidiosa è l'altra obiezione, che osserva che ci sono sensazioni che direttamente operano a danno del composto; ad esempio «quando coloro che sono ammalati desiderano una bevanda o del cibo, che poco dopo sarà loro nocivo» come l'idropico che prova una sensazione di sete, soddisfacendo la quale sicuramente si danneggerà.

Per rispondere all'obiezione Cartesio tenta dapprima la strada della spiegazione meccanicistica del corpo, cui addossare la responsabilità dell'errore. Istituisce il paragone tra corpo e orologio e osserva che se si considera il corpo come una macchina di pure parti materiali, si può pensare alla malattia come a una rottura della macchina; ma anche con questo modello non si è risposto all'obiezione, ammette Cartesio, perché le leggi di natura regolano anche un orologio che funziona male, mentre nel caso dell'idropico vengono meno. Se la malattia è da paragonarsi a un guasto dell'orologio che ne produce il malfunzionamento, resta da spiegare come mai vi si aggiunga un'attività direttamente contraria alla sopravvivenza del composto, e cioè il desiderio di bere.

Potremmo aggiungere, è come se l'orologio, oltre a funzionare male, si mettesse a danneggiare i suoi ingranaggi o attivasse un pulsante di autodistruzione. In tale caso di autodanneggiamento la sensazione di sete dell'idropico è «un vero errore di natura», in quanto opera in contrasto con la sopravvivenza del composto, al cui fine le sensazioni sono istituite.

L'uomo macchina e gli animali

Il cogito come capacità di autocoscienza appartiene solo agli uomini dotati di un corpo che funziona come una macchina: « [...] incomparabilmente meglio ordinata e ha in sé movimenti più meravigliosi di qualsiasi altra tra quelle che gli uomini possono inventare [...] » ; gli animali invece privi di coscienza sono semplici macchine. Solo l'uomo ragiona e parla mentre gli animali anche quando parlano in modo simile al nostro interloquire, come ad esempio i pappagalli, non fanno che ripetere dei suoni che sentono, non elaborano razionalmente dei discorsi. L'incapacità di parlare degli animali non dipende dal fatto che essi non abbiano gli organi appositi per farlo, come ad esempio le corde vocali, ma dalla loro incapacità di ragionare. Tanto è vero che anche uomini privi degli strumenti per parlare sono superiori agli animali parlanti perché con la loro ragione inventano segni che permettono loro di comunicare coscientemente, pur essendo muti e sordi.

Gli animali quindi sono privi di ragione e di coscienza e non provano dolore; anche quando sembrano manifestare sofferenza, in realtà reagiscono meccanicamente a una stimolazione materiale come quando toccando una molla dell'orologio le sue lancette si muovono.

Teoria questa confutata e criticata da altri successivi filosofi (come Jean MeslierVoltaire e Auguste Comte ammiratore di Cartesio per il resto), che la reputarono giustificatrice di abusi e crudeltà verso gli animali.

Cartesio e le idee

Se io sono sostanza pensante, il mio pensiero deve essere caratterizzato da un contenuto, ovvero deve configurarsi come idea («Prendo il nome di idea per tutto ciò che è concepito immediatamente dallo spirito»

Cartesio distingue tre tipologie di idee:

1.    Idee avventizie: derivano, tramite la sensibilità, da oggetti esterni e sono indipendenti dall'uomo;

2.    Idee fattizie: quelle da noi inventate o costruite (l'idea dell'ippogrifo o quella della chimera);

3.    Idee innate: cioè nate con noi, sono come un patrimonio costitutivo della mente (l'idea matematica, l'idea di Dio).

Cartesio e Dio

 

(LA)

«Ex nihilo nihil fit

(IT)

«Nulla viene dal nulla.»

(Principia philosophiæ, Parte I , art. 49)

Con la sola forza del pensiero deduttivo Descartes propone una "prova ontologica" dell'esistenza di un Dio benevolo che ha dato all'uomo una mente e un corpo e che non può desiderare di ingannarlo. Le tre prove ontologiche, liberamente ispirate dalla Scolastica, di cui il filosofo si serve per postulare l'esistenza di Dio sono:

Siccome l'uomo ha in sé l'idea di Dio, che equivale all'idea della perfezione, ne deriva, seguendo il principio per cui la causa dev'essere eguale o maggiore all'effetto prodotto, che l'idea di Dio non può essere un prodotto della mente dell'uomo (il quale esercitando il dubbio dimostra la sua imperfezione), né dall'esterno (di cui potendo dubitarne si dimostra l'imperfezione) ma deve provenire necessariamente da un'entità perfetta, estranea all'idea di perfetto che l'uomo ha di lui: cioè Dio.

Siccome l'uomo è consapevole della sua imperfezione, non può essere stato lui l'artefice di quelle idee di perfezione che egli ha nella sua mente (onniscienzaonnipotenzaprescienza, ecc.) altrimenti alla creazione si sarebbe dato codeste prerogative. Motivo per cui deve esistere un'entità che gode di quelle qualità e che abbia dall'esterno creato l'uomo: cioè Dio.

Riprendendo la prova elaborata da sant'Anselmo d'Aosta, Cartesio afferma che l'esistenza è già implicita nel concetto stesso di perfezione: esiste un'entità superiore in quanto espressione dell'idea che l'uomo ha di perfetto (la cosiddetta prova ontologica, come Kant definirà per sostenere l'impossibilità di far coincidere il piano logico con il piano ontologico): cioè Dio.

In questo modo, si può recuperare il rapporto con il mondo sensibile senza timore di essere ingannato da un eventuale genio maligno. Riprendendo i tre anni di studi filosofici, Cartesio recupera l'idea della scolastica medioevale di un Dio-Bene che non può ingannare né me né i miei sensi, e non permetterebbe nemmeno al genio maligno di farlo - altrimenti questa complicità contraddirebbe la sua bontà e veracità - per cui è reale il mondo che abbiamo davanti. L'errore cognitivo viene pertanto attribuito non alla dimensione intellettuale dell'uomo, ma alla volontà, che asseconda nel processo conoscitivo un principio non ancora chiarito.

 

Leibniz ebbe modo di interessarsi di Cartesio quando dopo la morte del filosofo cercò di esaminare le carte riservate, facenti parte del patrimonio degli scritti cartesiani. Le carte spedite da Stoccolma erano giunte a Rouen, ma il battello che da lì le avrebbe dovute trasportare lungo la Senna a Parigi affondò nei pressi del Louvre[100]. La cassa contenente gli scritti fu recuperata dal destinatario Claude Clerselier (1614-1684) che, dopo la morte di Marin Mersenne, dal 1648 era stato a Parigi il contatto principale di Descartes divenendone amico, seguace ed editore di numerose opere e che, sempre a difesa del pensiero del suo maestro, aveva tenuto una vasta corrispondenza con gli intellettuali europei.

Nel giugno del 1676 Leibniz, recatosi presso Clerselier a Parigi, poté vedere i manoscritti cartesiani riuscendo, dopo molte insistenze, a copiare sinteticamente solo una parte del testo cifrato di un taccuino, intitolato De solidorum elementis, che lo aveva incuriosito

Gli appunti di Leibniz, all'incirca una pagina e mezza, dopo la sua morte si mescolarono alle altre carte delle sue opere conservate a Hannover che furono catalogate e ordinate quasi due secoli dopo, nel 1860, da uno studioso di Leibniz, Louis-Alexandre Foucher de Careil.

L'Accademia delle scienze francese nel 1890 pubblicò gli appunti di Leibniz, con un commento di Ernest de Jonqières, che non riuscì a chiarirne il testo. Nel 1912 Charles Adam e Paul Tannery, che operavano presso la Bibliothèque nationale de France, vi scoprirono una copia dell'inventario degli scritti cartesiani stilato a Stoccolma da Pierre Chanut il 14 e 15 febbraio 1650. I due studiosi poterono così raccogliere una miriade di informazioni sugli appunti cartesiani, che furono ancora una volta studiati nel 1966 da un gruppo di ricercatori che tuttavia non riuscirono a chiarirne il testo, fino a quando nel 1987 un sacerdote e matematico francese esperto di crittografia, Pierre Costabel, scoprì che Leibniz era riuscito a svelare la formula generale dei poliedri semplici, scoperta e descritta da Cartesio nel suo taccuino, ma resa pubblica da Eulero soltanto nel 1730.

Un altro segreto

Che il segreto custodito dal taccuino di Cartesio non fosse soltanto la formula dei poliedri è la tesi avanzata da Amir Aczel, matematico e divulgatore scientifico del Bentley College di Boston, nell'opera Descartes' Secret Notebook (2005).

Dell'intero taccuino, costituito da 16 pagine rilegate accuratamente in pergamena, illustrato da disegni e con simboli alchimistici e cabalistici Leibniz, per una restrizione imposta dallo stesso Clerselier riuscì a prenderne brevi appunti solo relativamente ad alcune pagine che egli stesso poi non divulgò: il resto delle pagine, dopo la morte di Claude Clerselier e dell'abate Jean-Baptiste Legrand (1704), collaboratore di Baillet, scomparve così come sparirono le carte che Legrand aveva preparato per pubblicare un'edizione di tutte le opere di Cartesio

Cartesio e i Rosacroce

La decisione di Cartesio di ritirarsi a vivere in Olanda, dove soggiornò per vent'anni (salvo brevi viaggi a Parigi nel 1644, nel 1647 e nel 1648) e che lasciò non per tornare in Francia ma per andare in Svezia era dovuta, come egli stesso scrisse nel Discorso sul metodo, alla liberalità delle leggi sulla stampa che vigevano in quello Stato pacifico e prospero. Tuttavia sembra che Cartesio fosse stato in realtà costretto a lasciare la patria per le accuse che sin dal 1623 e poi dal 1629 lo indicavano come un rosacrociano.

Il problema di un possibile rapporto tra Cartesio e i Rosacroce fu sollevato per primo dal biografo Adrien Baillet il quale, citando passi di un perduto Studium bonae mentis sostiene che Cartesio pensò che i rosacrociani potessero aver scoperto proprio quella nuova scienza che egli aveva intuito e che andava abbozzando.

Si può escludere che egli si sia mai affiliato a quella setta e non si sa se abbia mai conosciuto un rosacrociano, ma in qualche modo Cartesio dovette venire a conoscenza delle loro opinioni visto che, nella sezione del suo registro intitolata Cogitationes privatae compare il progetto di un Thesaurus mathematicus di 'Polybii Cosmopolitani' (uno pseudonimo di Cartesio che allude a Polibio di Megalopoli) dove scrive:

«Quest’opera contiene i veri mezzi per superare tutte le difficoltà di questa scienza e dimostrare come, riguardo ad essa, lo spirito umano non possa spingersi più lontano; scritta per provocare l’esitazione o schernire la temerarietà di quanti promettono nuove meraviglie in tutte le scienze, e allo stesso tempo per alleviare le gravi fatiche dei Fratelli della Rosacroce i quali, lanciati notte e giorno nelle difficoltà di questa scienza, vi consumano inutilmente l’olio del loro genio; dedicata infine ai sapienti del mondo intero e specialmente agli Illustrissimi F. (Fratelli) R. (Rosa) C. (Croce) di Germania. »

Il "taccuino segreto" di Cartesio

 

La segretezza che Cartesio volle dare ad alcuni suoi scritti era quindi dovuta al timore di un intervento dell'Inquisizione ai suoi danni non solo per le sue opere a carattere scientifico ma anche per la sua supposta aderenza ai Rosacroce.

Il girovagare continuo che il filosofo fece in terra olandese soggiornando per brevi periodi in case private, in alberghi, in piccoli villaggi e il rimanere in contatto con i dotti europei solo tramite padre Marin Mersenne, l'unico che conoscesse il suo indirizzo, sembra dimostrare la volontà di sfuggire a un nemico tanto pericoloso che quando Cartesio venne a sapere nel 1633 della condanna di Galilei non si ritenne al sicuro neppure in Olanda rinunciando a pubblicare un suo trattato di fisica, Il mondo ovvero trattato della luce e l'uomo[114], basato sulla teoria eliocentrica copernicana e sulle scoperte di Keplero.

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