“Siamo degli umili fiorellini avezzi alla dolce tutela
della stufa, che l'aria libera uccide.”
Giovanni Verga
La vita agra
Il grande scrittore siciliano nasce il 2 settembre
1840 a Catania (secondo alcuni a Vizzini, dove la famiglia aveva delle
proprietà), da Giovanni Battista Verga Catalano, discendente dal ramo cadetto
di una famiglia nobile, e da Caterina di Mauro, appartenente alla borghesia
catanese. I Verga Catalano erano una tipica famiglia di
"galantuomini" ovvero di nobili di provincia con scarse risorse
finanziarie, ma costretti a ben comparire data la posizione sociale. Insomma,
il perfetto ritratto di una tipica famiglia uscita dai romanzi di Verga.
Non manca al quadro la lite con i parenti ricchi: le
zie zitelle, le avarissime "mummie" e lo zio Salvatore che, in virtù
del maggiorascato, aveva avuto in eredità tutto il patrimonio, a patto che
restasse celibe, per amministrarlo in favore anche dei fratelli. Le controversie
si composero probabilmente negli anni Quaranta e i rapporti familiari furono in
seguito buoni come rivelano le lettere dello scrittore e la conclusione di un
matrimonio in famiglia tra Mario, il fratello di Giovanni detto Maro, e Lidda,
figlia naturale di don Salvatore e di una contadina di Tèbidi.
Compiuti gli studi primari e medi sotto la guida di
Carmelino Greco e di Carmelo Platania, Giovanni Verga segue le
lezioni di don Antonino Abate, poeta, romanziere e acceso patriota, capo di un
fiorente studio in Catania. Alla sua scuola, oltre ai poemi dello stesso
maestro, legge i classici: Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, Monti, Manzoni e
le opere di Domenico Castorina, poeta e narratore di Catania, di cui l'Abate
era un commentatore entusiasta.
Nel 1854, a causa di un'epidemia di colera, la
famiglia Verga si trasferisce a Vizzini quindi nelle sue terre di Tèbidi, fra
Vizzini e Licodia. Qui termina di scrivere il suo primo romanzo,
iniziato nel 1856 a soli quindici anni, "Amore e Patria", che al
momento non viene però pubblicato per consiglio del canonico Mario Torrisi, di
cui il Verga fu alunno. Per desiderio del padre si iscrive alla facoltà di
legge dell'Università di Catania, senza dimostrare tuttavia molto interesse per
gli studi giuridici, che abbandona definitivamente nel 1861 per dedicarsi,
incoraggiato dalla madre, all'attività letteraria.
Nel 1860 Giovanni Verga si arruola nella Guardia
Nazionale istituita dopo l'arrivo di Garibaldi a
Catania, prestandovi servizio per circa quattro anni. Fonda, dirigendolo per
soli tre mesi, insieme a Nicolò Niceforo e ad Antonino Abate, il settimanale
politico "Roma degli Italiani", con un programma unitario e
anti-regionalistico. Nel 1861 inizia la pubblicazione, a sue spese presso
l'editore Galatola di Catania, del romanzo "I carbonari della
montagna", cui aveva lavorato già dal 1859; nel 1862 uscirà il quarto e
ultimo tomo del libro che l'autore invierà, fra gli altri, anche ad Alexandre Dumas.
Collabora alla rivista "L'ltalia contemporanea", probabilmente
pubblicandovi una novella o meglio il primo capitolo di un racconto realista.
L'anno successivo lo scrittore viene colpito da un lutto famigliare: perde
infatti l'amato padre. Nel maggio si reca, per la prima volta, rimanendovi
almeno fino al giugno, a Firenze, dal 1864 capitale d'Italia e centro della
vita politica e intellettuale. Di questo periodo è la commedia, inedita,
"I nuovi tartufi" (in testa alla seconda stesura si legge la data 14
dicembre 1886), che fu inviata, anonima, al Concorso Drammatico Governativo.
Nel 1867 una nuova epidemia di colera lo costringe a
rifugiarsi con la famiglia nelle proprietà di Sant'Agata li
Battiati. Ma il 26 aprile 1869 parte da Catania alla volta di Firenze, dove
soggiornerà fino al mese di settembre.
Viene introdotto negli ambienti letterari fiorentini e
prende a frequentare i salotti di Ludmilla Assing e delle signore Swanzberg,
venendo a contatto con scrittori e intellettuali dell'epoca come il Prati,
l'Aleardi, il Maffei, il Fusinato e l'Imbriani (quest'ultimo autore di
capolavori a tutt'oggi ancora poco conosciuti). In questo stesso periodo, ha
inizio l'amicizia con Luigi Capuana,
scrittore e intellettuale meridionale. Conosce anche Giselda Fojanesi, con la
quale compie il viaggio di ritorno in Sicilia. Comincia a scrivere "Storia di una capinera"
(che uscirà a puntate nel giornale di moda "La Ricamatrice"), e il
dramma "Rose caduche". Corrisponde regolarmente con i familiari,
informandoli minutamente della sua vita fiorentina (da una lettera del '69:
"Firenze è davvero il centro della vita politica e intellettuale d'Italia
qui si vive in un'altra atmosfera [ ...] e per diventare qualche cosa bisogna
[...] vivere in mezzo a questo movimento incessante, farsi conoscere, e
conoscere, respirarne l'aria, insomma").
Nel novembre 1872 Giovanni Verga si trasferisce a
Milano, dove rimarrà, pur con frequenti ritorni in Sicilia, per circa un
ventennio. Grazie alla presentazione di Salvatore Farina e di Tullo Massarani,
frequenta i più noti ritrovi letterari e mondani: fra l'altro i salotti della
contessa Maffei, di Vittoria Cima e di Teresa Mannati-Vigoni. Si incontra
con Arrigo Boito,
Emilio Praga, Luigi Gualdo, amicizie da cui deriva uno stretto e proficuo
contatto con temi e problemi della Scapigliatura. Inoltre, ha modo di
frequentare la famiglia dell'editore Treves e il Cameroni. Con quest'ultimo
intreccia una corrispondenza epistolare di grande interesse per le posizioni
teoriche sul verismo e sul naturalismo e per i giudizi sulla narrativa contemporanea
(Zola, Flaubert,
Vallés, D'Annunzio).
Il 1874, al ritorno a Milano in Gennaio, ha una crisi
di sconforto: il 20 del mese, infatti, il Treves gli aveva rifiutato
"Tigre reale", cosa che lo spinge quasi a decidere il rientro
definitivo in Sicilia. Supera però rapidamente la crisi buttandosi nella vita
mondana milanese (anche in questo caso un documento prezioso sono le lettere ai
familiari, in cui è possibile leggere un minutissimo resoconto, oltre che dei
suoi rapporti con l'ambiente editoriale, di feste, veglioni e teatri),
scrivendo così in soli tre giorni "Nedda". La novella, pubblicata il
15 giugno nella "Rivista italiana di scienze,
lettere e arti", ha un successo tanto grande
quanto inaspettato per l'autore che continua a parlarne come di "una vera
miseria" e non manifesta alcun interesse, se non economico, al genere del
racconto.
"Nedda" è subito ristampata dal Brigola,
come estratto dalla rivista. Verga, spinto dal buon esito del bozzetto e
sollecitato dal Treves, scrive nell'autunno, tra Catania e Vizzini, alcune
delle novelle di "Primavera" e comincia a ideare il bozzetto
marinaresco "Padron 'Ntoni" (che confluirà poi nei
"Malavoglia"), di cui, nel dicembre, invia la seconda parte
all'editore. Raccoglie intanto in volume le novelle scritte fino ad allora,
pubblicandole presso il Brigola con il titolo "Primavera ed altri
racconti".
Il romanzo procede lentamente, anche a causa di un
altro duro contraccolpo emotivo, la perdita di Rosa, la sorella prediletta.
Il 5 dicembre muore la madre, alla quale Giovanni era
legato da profondo affetto. Questo evento lo getta in un grave stato di crisi.
Lascia allora Catania per recarsi nuovamente a Firenze e successivamente a
Milano, dove riprende con accanimento il lavoro.
Nel 1880 pubblica presso Treves "Vita dei
campi" che raccoglie le novelle apparse in rivista negli anni 1878-80.
Continua a lavorare ai "Malavoglia" e nella primavera ne manda i
primi capitoli al Treves, dopo aver tagliato le quaranta pagine iniziali di un
precedente manoscritto. Incontra, a distanza di quasi dieci anni, Giselda
Fojanesi, con la quale ha una relazione che durerà circa tre anni. "Di là
del mare", novella epilogo delle "Rusticane", adombra
probabilmente il rapporto sentimentale con Giselda, descrivendone in certo modo
l'evoluzione e l'inevitabile fine.
L'anno successivo escono finalmente, per i tipi sempre
di Treves, "I
Malavoglia", invero accolti assai freddamente
dalla critica. Inizia i contatti epistolari con Edouard Rod, giovane scrittore
svizzero che risiede a Parigi e che nel 1887 darà alle stampe la traduzione
francese dei "Malavoglia". Frattanto, stringe rapporti di amicizia
con Federico De Roberto. Comincia a ideare "Mastro-don
Gesualdo" e pubblica in rivista "Malaria" e "Il
Reverendo" che all'inizio dell'anno aveva proposto a Treves per la
ristampa di "Vita dei campi" in sostituzione di "Il come, il quando
ed il perché".
Nasce anche il progetto di ridurre per le scene "Cavalleria rusticana";
a questo scopo intensifica i rapporti con Giacosa, che sarà il
"padrino" del suo esordio teatrale. Sul piano della vita privata continua
la relazione con Giselda che viene cacciata di casa da Rapisardi per la
scoperta di una lettera compromettente. Ha inizio la lunga e affettuosa
amicizia (durerà oltre la fine del secolo: l'ultima lettera è datata 11 maggio
1905) con la contessa Paolina Greppi.
Il 1884 è l'anno dell'esordio teatrale con "Cavalleria rusticana".
Il dramma, letto e bocciato durante una serata milanese da un gruppo di amici
(Boito, Emilio Treves, Gualdo), ma approvato da Torelli-Viollier (il fondatore
del "Corriere della Sera"),
è rappresentato per la prima volta, con Eleonora
Duse nella parte di Santuzza, con
grande successo il 14 gennaio al teatro Carignano di Torino dalla compagnia di
Cesare Rossi.
Si conclude, con la pubblicazione della prima
redazione di "Vagabondaggio" e di "Mondo piccino", ricavati
dagli abbozzi del romanzo, la prima fase di stesura del "Mastro-don
Gesualdo" per il quale era già pronto il contratto con l'editore Casanova.
Il 16 maggio 1885 il dramma "In portineria", adattamento teatrale de
"Il canarino" (una novella di "Per le vie"), viene accolto
freddamente al teatro Manzoni di
Milano. Ha inizio una crisi psicologica aggravata dalla difficoltà di portare
avanti il "Ciclo dei Vinti" e soprattutto da preoccupazioni
economiche personali e della famiglia, che lo assilleranno alcuni anni,
toccando la punta massima nell'estate del 1889.
Giovanni Verga confida il suo scoraggiamento a
Salvatore Paola Verdura in una lettera del 17 gennaio da Milano. Si
infittiscono le richieste di prestiti agli amici, in particolare a Mariano
Salluzzo e al conte Gegè Primoli. Per distendersi, passa lunghi periodi a Roma
e lavora contemporaneamente alle novelle pubblicate dal 1884 in poi,
correggendole e ampliandole per la raccolta "Vagabondaggio", che
uscirà nella primavera del 1887 presso l'editore Barbèra di Firenze. Nello
stesso anno esce la traduzione francese de "I
Malavoglia", anch'essa senza riscontrare
alcun successo di critica né di pubblico.
Dopo aver soggiornato a Roma alcuni mesi, all'inizio
dell'estate ritorna in Sicilia, dove rimane (tranne brevi viaggi a Roma nel
dicembre 1888 e nella tarda primavera del 1889), sino al novembre 1890,
alternando alla residenza a Catania lunghi soggiorni estivi a Vizzini. Nella
primavera conduce a buon fine le trattative per pubblicare "Mastro-don
Gesualdo" nella "Nuova Antologia" (ma in luglio romperà
col Casanova,
passando alla casa Treves). Il romanzo esce a puntate nella rivista dal 1°
luglio al 16 dicembre, mentre Verga vi lavora intensamente per rielaborare o
scrivere ex novo i sedici capitoli. Nel novembre ne ha già iniziata la
revisione.
Ad ogni modo, continua l'"esilio" siciliano,
durante il quale Giovanni Verga si dedica alla revisione o, meglio, al
rifacimento di "Mastro-don Gesualdo" che, sul finire dell'anno,
uscirà presso Treves. Pubblica nella "Gazzetta letteraria" e nel
"Fanfulla della Domenica" le novelle che raccoglierà in seguito nei "Ricordi
del capitano d'Arce" e dichiara a più riprese di esser sul punto di
terminare una commedia. Incontra, probabilmente a Villa d'Este, la contessa
Dina Castellazzi di Sordevolo cui rimarrà legato per il resto della vita.
Rinfrancato dal successo di "Mastro-don Gesualdo
"progetta di continuare subito il "Ciclo" con la "Duchessa
di Leyra" e "L'onorevole Scipioni". In questo periodo, inizia la
causa contro Mascagni e
l'editore Sonzogno per i diritti sulla versione lirica di "Cavalleria rusticana".
A fine ottobre, però, si reca in Germania per seguire le rappresentazioni di
"Cavalleria", che è pur sempre un capolavoro della musica, a
Francoforte a Berlino.
Nel 1893 si conclude, in seguito a transazione col
Sonzogno, la causa per i diritti su "Cavalleria", già vinta da Verga
nel 1891 in Corte d'appello. Lo scrittore incassa così circa 140.000 lire,
superando finalmente i problemi economici che lo avevano assillato nel
precedente decennio. Prosegue intanto le trattative, iniziate nel '91 (e che si
concluderanno con un nulla di fatto), con Puccini per
una versione lirica della "Lupa" su libretto di De Roberto. Si
stabilisce definitivamente a Catania dove rimarrà sino alla morte, tranne brevi
viaggi e permanenze a Milano e a Roma. Nel biennio 1894-1895, pubblica l'ultima
raccolta, "Don Candeloro e C.", che comprende novelle scritte e
pubblicate in varie riviste tra 1889 e il '93. Nel '95 incontra a Roma, insieme
a Capuana, Emile
Zola, importante esponente della letteratura
francese e fautore della corrente letteraria del Naturalismo, una poetica assai
affine a quella del Verismo (anzi, si può
dire che quest'ultimo sia la "versione" italiana di quello).
Nel 1903 sono affidati alla sua tutela i figli del
fratello Pietro, morto nello stesso anno. Verga rallenta sempre più la sua
attività letteraria e si dedica assiduamente alla cura delle proprie terre.
Continua a lavorare alla "Duchessa di Leyra", di cui sarà pubblicato
postumo un solo capitolo a cura del De Roberto nel 1922. Tra il 1912 e il 1914
affida sempre a De Roberto la sceneggiatura cinematografica di alcune sue opere
tra cui "Cavalleria rusticana"
e "La Lupa", mentre egli stesso stende la riduzione della "Storia di una capinera",
pensando anche di ricavarne una versione teatrale. Nel 1919 scrive l'ultima
novella: "Una capanna e il tuo cuore", che uscirà pure postuma
nell'"Illustrazione italiana", il 12 febbraio 1922. Nel 1920
pubblica, infine, a Roma presso "La Voce" una edizione riveduta delle
"Novelle rusticane". Nell'ottobre è nominato senatore.
Colpito da paralisi cerebrale il 24 gennaio
1922, Giovanni Verga muore il 27 dello stesso mese a Catania
nella casa di via Sant'Anna, 8. Tra le opere uscite postume, oltre alle due
citate, vi sono la commedia "Rose caduche", in "Le
Maschere", giugno 1928 e il bozzetto "Il Mistero", in
"Scenario", marzo 1940.
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