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sabato 10 ottobre 2015

Lo Sapevate Che: Secessione è una parola per ricchi...



L’Unico Precedente giuridico a cui si può fare riferimento è l’arbitrato della Commissione Badinter, dal nome dell’allora presidente della Corte Costituzionale francese. La Comunità economica europea (non era ancora Unione europea) chiese, nel 1991, a un gruppo di esperti un parere non vincolante sulla secessione delle Repubbliche jugoslave. Oltre a una Costituzione che prevedesse la tutela dei diritti delle minoranze, la Commissione raccomandò il ricorso a un referendum. In Croazia e Slovenia si era già tenuto. In Bosnia Erzegovina no. Le autorità di Sarajevo lo promossero, vinse il sì, la Bosnia fu riconosciuta internazionalmente. E scoppiò la guerra. Benchè quel vecchio arbitrato spostasse nei fatti il criterio sino ad allora accettato dell’inviolabilità delle frontiere verso il principio dell’autodeterminazione dei popoli, il paragone con la Catalogna di oggi, dal punto di vista legale, è indicativo ma zoppo. La Jugoslavia era una Federazione, la Spagna un Regno diviso in 17 comunità autonome. Madrid sostiene che un referendum indipendentista è anticostituzionale, Barcellona il contrario. Ma il “latino rum” da Azzeccagarbugli è un buon esercizio di scuola per studenti di diritto. (..). Dentro l’Unione si assiste a paradosso in realtà tale sono in apparenza. La presenza della forza centripeta di Bruxelles, un’entità sovranazionale, stimola per opposto una forza centrifuga, il riemergere dei localismi, in opposizione a un potere statale centrale vissuto con fastidio e come un raddoppio di delega. I più visionari tra i padri fondatori avevano del resto immaginato, alla fine di un percorso maturo, l’Europa degli Stati: le radici lunghe di troppe diversità avrebbero finito col vincere su costruzioni ideali però arbitrarie al punto da scadere in mere espressioni geografiche. La Guerra Fredda aveva sconsigliato avventurismi perché aveva creato identità nell’opposizione al modello “altro”. Negli anni immediatamente successivi alla caduta del muro di Berlino, quando si credeva di andare verso un “nuovo ordine” e verso la pace perpetua Kantiana, erano riemerse istanze poi temporaneamente congelate dalla crisi economica che ha ribaltato l’agenda nel nome della comune emergenza. (..). La Catalogna fa da battistrada ed era logico attenderselo da una regione che già nel 1992, all’epoca delle sue Olimpiadi, era riuscita ad ottenere che il suo idioma fosse considerato lingua ufficiale dei Giochi accanto a francese, inglese e castigliano (spagnolo): non era mai successo. Influì sul privilegio il fatto che il catalano Juan Antonio Samaranch fosse presidente del Comitato olimpico internazionale. La lingua, la maggior ricchezza rispetto al resto della Spagna, una vena anarchico-repubblicana che mal si sposa col re di Madrid sono gli ingredienti peraltro insufficienti per il passo estremo. Ci vuole, al minimo, un referendum dall’esito incerto che spaccherà, facile pronostico, la comunità. L’Unione ha da preoccuparsi da un lato. Dall’altro può vedere il bicchiere mezzo pieno. Perché la stragrande maggioranza della gente che a Barcellona vuole il divorzio dalla capitale, per nessuna ragione lascerebbe Bruxelles e la garanzia di far parte di un consesso più largo. I secessionisti ricchi di euro e di Europa hanno bisogno.
Gigi Riva – Senza frontiere www.lespresso.itg.riva@espresso.it – L’Espresso – 8 ottobre 2015

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