L’Unico Precedente giuridico a cui si può fare
riferimento è l’arbitrato della Commissione Badinter, dal nome dell’allora
presidente della Corte Costituzionale francese. La Comunità economica europea
(non era ancora Unione europea) chiese, nel 1991, a un gruppo di esperti un
parere non vincolante sulla secessione delle Repubbliche jugoslave. Oltre a una
Costituzione che prevedesse la tutela dei diritti delle minoranze, la
Commissione raccomandò il ricorso a un referendum. In Croazia e Slovenia si era
già tenuto. In Bosnia Erzegovina no. Le autorità di Sarajevo lo promossero,
vinse il sì, la Bosnia fu riconosciuta internazionalmente. E scoppiò la guerra.
Benchè quel vecchio arbitrato spostasse nei fatti il criterio sino ad allora
accettato dell’inviolabilità delle frontiere verso il principio
dell’autodeterminazione dei popoli, il paragone con la Catalogna di oggi, dal
punto di vista legale, è indicativo ma zoppo. La Jugoslavia era una
Federazione, la Spagna un Regno diviso in 17 comunità autonome. Madrid sostiene
che un referendum indipendentista è anticostituzionale, Barcellona il
contrario. Ma il “latino rum” da Azzeccagarbugli è un buon esercizio di scuola
per studenti di diritto. (..). Dentro l’Unione si assiste a paradosso in realtà
tale sono in apparenza. La presenza della forza centripeta di Bruxelles,
un’entità sovranazionale, stimola per opposto una forza centrifuga, il
riemergere dei localismi, in opposizione a un potere statale centrale vissuto
con fastidio e come un raddoppio di delega. I più visionari tra i padri
fondatori avevano del resto immaginato, alla fine di un percorso maturo,
l’Europa degli Stati: le radici lunghe di troppe diversità avrebbero finito col
vincere su costruzioni ideali però arbitrarie al punto da scadere in mere
espressioni geografiche. La Guerra Fredda aveva sconsigliato avventurismi
perché aveva creato identità nell’opposizione al modello “altro”. Negli anni
immediatamente successivi alla caduta del muro di Berlino, quando si credeva di
andare verso un “nuovo ordine” e verso la pace perpetua Kantiana, erano
riemerse istanze poi temporaneamente congelate dalla crisi economica che ha
ribaltato l’agenda nel nome della comune emergenza. (..). La Catalogna
fa da battistrada ed era logico attenderselo da una regione che già nel 1992,
all’epoca delle sue Olimpiadi, era riuscita ad ottenere che il suo idioma fosse
considerato lingua ufficiale dei Giochi accanto a francese, inglese e
castigliano (spagnolo): non era mai successo. Influì sul privilegio il fatto
che il catalano Juan Antonio Samaranch fosse presidente del Comitato olimpico
internazionale. La lingua, la maggior ricchezza rispetto al resto della Spagna,
una vena anarchico-repubblicana che mal si sposa col re di Madrid sono gli
ingredienti peraltro insufficienti per il passo estremo. Ci vuole, al minimo,
un referendum dall’esito incerto che spaccherà, facile pronostico, la comunità.
L’Unione ha da preoccuparsi da un lato. Dall’altro può vedere il bicchiere
mezzo pieno. Perché la stragrande maggioranza della gente che a Barcellona
vuole il divorzio dalla capitale, per nessuna ragione lascerebbe Bruxelles e la
garanzia di far parte di un consesso più largo. I secessionisti ricchi di euro
e di Europa hanno bisogno.
Gigi Riva – Senza frontiere www.lespresso.it
– g.riva@espresso.it – L’Espresso – 8
ottobre 2015
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