Nella ormai lunga e un
po’ noiosa polemica sulla crisi o l’agonia dei talk show televisivi si nota,
bisogna ammettere, un discreto livello d’ipocrisia da parte di tutti, politici,
conduttori e pubblico. Il dato concreto è una generale crisi di ascolti di
queste trasmissioni che hanno purtroppo, contribuito più di ogni altro fattore a modellare
la politica della Seconda Repubblica, fin dal principio. E’ una crisi parziale,
nel senso che è vero che le percentuali sono in picchiata, ma bisogna
considerare che l’offerta è infinita. Sfornare un talk show costa sempre meno e
comporta pochissimi rischi rispetto al fare autentica informazione, come sa
bene Milena Gabanelli. Basta avere l’accortezza di rispettare il manuale
Cencelli delle ospitate- chiamare in studio uno di destra, uno di sinistra e
uno né di destra né di sinistra – e si può affrontare qualsiasi argomento senza
incorrere in rogne. I politici in Italia per giunta possono dire, oltre che fare,
più o meno di tutto. Non è un problema neppure se in Parlamento definiscono
“orango” una parlamentare afroitaliana, figurarsi se qualcuno si scandalizza
per il resto. Ogni tanto, per far vedere che rimangono giornalisti, i
conduttori spediscono in giro qualche troupe, per simulare un’inchiesta che in
genere dura al massimo un paio di giorni, il tempo di raccogliere poche
interviste sul posto e accompagnarle con tre dati, magari discutibili, e una
dozzina di luoghi comuni. Ma, proprio come nei salotti tv, invece di discutere
la crisi parallela di talk show e politica, ciascuno rincorre il ruolo di
vittima e addossa le colpe all’altro. I politici criticano le sole trasmissioni
a loro ostili, guarda caso, trascurando di sputare nel piatto dove mangiano da anni.
Fingono di non sapere che ormai nella loro professione fondamentale non è
partecipare ai lavori parlamentari o studiare le soluzioni ai problemi sempre
più complessi della modernità, ma semplicemente ricavarsi un ruolo nella
compagnia di giro formata al massimo da cinquanta attori che monopolizza i
palinsesti. I conduttori fingono di non sapere che il loro mestiere non è più
informare, ma organizzare combattimenti di galli dove la politica è ridotta a
colluttazione fra partiti o all’interno di partiti. Il pubblico pure finge ogni
tanto di condannare il livelli inquietante ormai raggiunto, sorteggiando a caso
uno scandalo. L’ultima volta è toccato a Bruno Vespa, il quale, dopo decenni di
manipolazione politica e speculazione sul dolore, all’improvviso è stato
inspiegabilmente processato per aver invitato due esponenti del clan
Casamonica, peraltro neppure condannati o colpevoli di omicidio come tanti
altri beniamini del conduttore di Porta a
Porta, dai tangestisti al professor Scattone. Chissà perché poi cresce la
massa di chi protesta sottraendosi al rito, girando canale e non andando più a
votare.
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di Repubblica – 2
ottobre 2015
Nessun commento:
Posta un commento