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martedì 26 gennaio 2016

Lo Sapevate Che: Torturare è disumano e soprattutto inutile...



Legale nel Medioevo, abolita nell’800, risorta nel 900 come pratica poliziesca extralegale, la tortura è al centro di un dibattito ancora irrisolto, spesie negli Stati Uniti, dove alcuni politici e intellettuali ne chiedono la reintroduzione, dichiarandola legittima “a fronte di necessità”. Tanto cinismo non deve stupire. Persino la tesi che convinse i sovrani europei ad abolirla – formulata in Dei Delitti e delle pene (1764) di Cesare Beccaria – aveva una base utilitaristica: invece di puntare sull’argomento umanitaria, Beccaria dimostrò che la tortura era “inutile” cioè inadatta a scoprire la verità. Quasi tre secoli dopo questa tesi è ancora oggetto di controversia. I fautori della tortura propongono un esperimento mentale noto come ticking bomb scenario (senario della bomba a orologeria): un uomo a conoscenza di informazioni su un imminente attacco terroristico è nelle mani delle autorità. E’ lecito torturarlo al fine di salvare vite innocenti? Il problema se l’è posto ultimamente non un politico, ma un neuro scienziato del Trinity College di Dublino, Shane O’Mara, autore per la Harvard University Press del saggio Why torture doesn’t work (perché la tortura non funziona). La spiegazione, affidata a oltre trecento pagine di neurofisiologia dell’interrogatorio, è in realtà semplicissima: la tortura compromette i processi cognitivi necessari a recuperare dalla memoria informazioni esatte, quindi è utile solo a estorcere confessioni, non verità. O’Mara ha passato in rassegna tutte le ricerche disponibili sugli effetti neurofisiologici prodotti nell’uomo (e nell’animale) da dolore, paura, freddo e privazione del sonno, concludendo che non vi è alcuna evidenza scientifica che giustifichi l’uso della tortura, a maggior ragione se ciò che si vuole ottenere sono informazioni vitali. Ecco cosa avviene, in sintesi, nel torturato: il prolungato rilascio di ormoni dello stress inibisce il lavoro dell’ippocampo (fondamentale nelle funzioni mnemoniche) e della corteccia prefrontale (implicata nei processi decisionali), mentre iperstimola l’amigdala, struttura cerebrale che, oltre a gestire le emozioni, preside a importanti comunicazioni con il resto del cervello. In sostanza, la paura induce il soggetto a parlare ininterrottamente, ma ragionamento e memoria non lo soccorrono, provocando un fiume di informazioni contraddittorie che in molti casi confonde persino il torturatore. Il saggio di O’Mara mette in discussione l’intero processo: da diversi studi emerge che chi è addestrato agli interrogatori è più incline a pensare che gli si stia mentendo, quindi rincara la dose, atteggiamento che alla lunga provoca nel torturatore disturbi psicologici simili a quelli post traumatici. Inoltre, i reparti che usano la tortura mostrano segni di degrado professionale, perché torturare aumenta l’inclinazione a rompere le regole, crea disagio e inefficienza. Conclude O’Mara: “L’interrogatorio richiede doti raffinate: istruzione, consapevolezza di sé, curiosità genuina e capacità di stabilire un dialogo. Come dicono gli stessi professionisti del settore, la tortura è per dilettanti”.
Giulia Villoresi – Scienze – Il Venerdì di Repubblica – 15 gennaio 2016

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