Il 3 dicembre
1967 a Città del Capo, in Sudafrica, fu compiuto quello che è considerato il
primo trapianto di cuore umano, uno dei più importanti progressi nella medicina
del Novecento e della storia. L’operazione fu realizzata dal chirurgo
Christiaan Barnard, destinato a diventare uno dei medici più famosi al mondo.
La persona che ricevette il cuore si chiamava Louis Washkansky, aveva 54
anni, soffriva di diabete e aveva avuto già tre infarti; il cuore apparteneva a
una donna di 24 anni, Denise Darvall, che a seguito di un incidente stradale
era cerebralmente morta. L’intervento richiese otto ore di lavoro.
L’impatto che
l’operazione ebbe sul mondo della medicina e sull’opinione pubblica mondiale
fece sì che il 1968, tra le altre cose, fosse soprannominato «anno del trapianto»:
in meno di un anno ne furono eseguiti più di sessanta, non solo in Sudafrica,
ma anche in Europa, Stati Uniti, India e Venezuela. È invece meno noto che
Washkansky morì 18 giorni dopo il trapianto, così come molte altre persone che
furono sottoposte ai primi trapianti di cuore non sopravvissero a lungo.
L’incidenza delle morti portò, dopo l’iniziale entusiasmo, a realizzare pochi
trapianti di cuore negli anni Settanta: diventarono comuni solo nel decennio
successivo.
Tutta la
storia è raccontata bene in un capitolo di The Matter of the Heart: A History of the Heart in Eleven Operations di
Thomas Morris, un saggio divulgativo sulla storia della chirurgia
cardiovascolare uscito nel Regno Unito lo scorso giugno. Il libro
spiega che negli anni Sessanta i chirurghi cardiaci del mondo non si
sarebbero mai aspettati che sarebbe stato Barnard a fare il primo trapianto di
cuore: qualcuno arrivò a definirlo un dilettante, non perché non fosse un
chirurgo, ma perché non fu lui a fare le ricerche che resero possibili i
trapianti. Ma andiamo con ordine.
Come
avvenne il primo trapianto di cuore
L’operazione avvenne all’ospedale Groote
Schuur di Città del Capo. Barnard non aveva mai fatto esperimenti di trapianti
di cuore sugli animali, ma conosceva il lavoro dei chirurghi che in quegli anni
li stavano facendo (Norman Shumway, Richard Lower e Adrian Kantrowitz, soprattutto)
perché aveva studiato per qualche anno negli Stati Uniti. Da qualche tempo
aveva deciso di provare a fare l’operazione, aveva individuato Washkansky
come paziente candidato e aveva ottenuto dalla direzione dell’ospedale di
essere informato non appena fosse arrivato un cuore adatto per lui. Quando fu
accertato che le ferite alla testa di Denise Darvall avevano messo fine
alla sua attività cerebrale, il suo cuore fu giudicato adatto.
Washkansky fu portato in sala operatoria
50 minuti dopo la mezzanotte del 3 dicembre. Fu anestetizzato e collegato a
una macchina cuore-polmone, cioè a uno di quei dispositivi che servono
per garantire la sopravvivenza dei pazienti chirurgici sostituendo
temporaneamente le funzioni del cuore e dei polmoni nella circolazione. Nella
stanza attigua c’era il corpo di Denis Darvall, il cui cuore continuava a
battere grazie a un respiratore artificiale. Alle 2.20 Barnard finì di
preparare Washkansky per l’intervento e disse a suo fratello, Marius
Barnard, a sua volta chirurgo, di spegnere il respiratore attaccato al corpo di
Darvall; dopo 12 minuti il cuore della giovane donna smise di battere, il suo
petto fu aperto e il corpo collegato a un’altra macchina cuore-polmone per
preservare gli organi destinati ad altri trapianti. Barnard estrasse il cuore
di Darvall e lo trasportò nella sala operatoria in cui si
trovava Washkansky in un contenitore in cui c’era una soluzione che lo
tenne al freddo. Poi nel cuore fu infuso il sangue di Washkansky, un modo
per renderlo compatibile con il corpo dell’uomo.
Prima che il cuore di Washkansky
fosse rimosso, il suo corpo fu raffreddato a 30 °C per evitare danni al
cervello durante la lunga operazione. Barnard bloccò l’aorta, per escluderla dalla circolazione, e la tagliò
appena sopra le arterie coronarie; poi recise l’arteria polmonare e rimosse il
cuore, lasciandone alcune parti – le porzioni degli atrii che contenevano le
parti finali delle vene cave e delle vene polmonari – per poter attaccare
meglio il cuore di Darvall. Cosa che poi fece, partendo dagli atrii,
proseguendo con l’arteria polmonare e finendo con l’aorta. Una volta che fu
soddisfatto delle suture, rimosse il morsetto che bloccava la circolazione nell’aorta
facendo scorrere il sangue di Washkansky nel suo nuovo cuore.
Successivamente i medici della squadra di Barnard fecero salire la temperatura
del corpo del paziente. Dopo mezz’ora l’anestesista Joseph Ozinsky misurò
che la temperatura nell’esofago di Washkansky aveva raggiunto i 36 °C
e allora Barnard usò un defibrillatore: dopo un momento il cuore cominciò a
battere. Erano le 5.52.
L’operazione comunque non era finita: si
dovette staccare Washkansky dalla macchina cuore-polmone, cosa per
cui ci vollero tre tentativi. Poi il suo petto fu richiuso. L’anestesista smise
di somministrargli i farmaci che lo tenevano sedato e insensibile quando erano
ormai le 8.30. Gli furono dati anche steroidi con lo scopo di indebolire il suo
sistema immunitario per ridurre il rischio di rigetto per il nuovo cuore. Dato
che le condizioni di Washkansky erano stabili, l’uomo fu condotto in una
stanza preparata appositamente per ridurre al minimo il rischio di infezioni.
Dopo un paio di giorni Washkansky
riuscì a mettersi a sedere e a parlare; le condizioni dei suoi organi
migliorarono rispetto a prima dell’operazione, sintomo del fatto che la
circolazione fosse migliorata. Fu intervistato da giornalisti di tutto il mondo
con il consenso di Barnard. Il 15 dicembre gli fu permesso di mettersi in
piedi.
La sera dello stesso giorno in cui riuscì
a mettersi in piedi, Washkansky cominciò a stare male. Faticava a respirare e
gli fu diagnosticata una polmonite. Non si trovarono infezioni e per questo
Barnard pensò che fosse una manifestazione del rigetto e diede
a Washkansky dei farmaci per tenerlo sotto controllo: fu un errore, perché
in realtà la polmonite era stata causata da una ferita alla
gamba. Washkansky avrebbe avuto bisogno di antibiotici che aiutassero il
suo sistema immunitario, non di farmaci che lo indebolissero come quelli che
gli furono somministrati. Quando i medici capirono le cause reali della
polmonite – all’epoca non si sapeva distinguere bene i sintomi di rigetto e di
infezione e tuttora non è una cosa semplice – era troppo tardi: Washkansky
morì il 21 dicembre. Tuttavia l’operazione di Barnard era stata un successo e
senza l’infezione l’uomo avrebbe potuto vivere più a lungo.
«L’anno
del trapianto» non andò tanto bene
Il secondo paziente a cui Barnard fece un
trapianto, il dentista in pensione Philip Blaiberg, visse per più di 19 mesi
dopo l’operazione, ma la maggior parte dei trapianti di cuore che furono
effettuati nel 1968 non furono grandi successi. Secondo una rilevazione fatta
nel dicembre di quell’anno, meno della metà dei 65 pazienti operati fino al
quel punto erano ancora vivi. Nel dicembre del 1970 l’American Heart
Association fece un altro censimento secondo cui solo 23 dei 166 pazienti
sottoposti a trapianto di cuore fino a quel punto erano ancora vivi. I problemi
non erano chirurgici – le tecniche dell’epoca erano abbastanza avanzate per
rendere l’operazione fattibile – ma successivi ai trapianti stessi: non si
sapeva bene come contrastare i rigetti.
Un altro grosso problema era l’opinione
pubblica. Dopo gli entusiasmi iniziali i chirurghi che volevano fare trapianti
di cuore ricevettero moltissime critiche, sia per come venivano scelti i cuori
da trapiantare, sia perché alcuni chirurghi fecero tentativi usando cuori di
animali, una scelta considerata offensiva da molte persone. Il caso che causò
più discussioni fu quello di un trapianto eseguito in Giappone l’8 agosto 1968
dal chirurgo Juro Wada, il primo nel paese: il cuore trapiantato apparteneva a
un ragazzino che era annegato nuotando. Wada fu accusato di aver somministrato
al ragazzino un rilassante muscolare quando era ancora in vita per poter
ottenere il cuore e ci fu un processo. Wada fu assolto per mancanza di prove,
ma in Giappone tutta la storia ebbe un grosso impatto: nonostante già negli
anni Ottanta i trapianti di cuore fossero una procedura accettata in tutto il
mondo, in Giappone il primo dopo quello di Wada fu eseguito solo nel 1999.
I numerosi fallimenti dei primi anni
Settanta fecero sì che dopo gli iniziali entusiasmi la maggior parte dei
chirurghi cardiaci smise di effettuare trapianti di cuore. In alcuni paesi la
procedura fu addirittura bandita. Barnard invece continuò e quattro dei suoi
primi dieci pazienti sopravvissero per più di un anno.
Le cose cambiarono negli anni Ottanta
quando si diffuse un nuovo farmaco che ridusse moltissimo i rischi di
rigetto, la ciclosporina, e furono migliorate le tecniche di diagnosi
del rigetto, rendendo possibile ai medici di intervenire con maggiore velocità
nelle situazioni che lo richiedevano. Il primo trapianto di cuore in
Italia avvenne il 14 novembre 1985 a Padova: fu effettuato dalla squadra
del chirurgo Vincenzo Gallucci ed ebbe successo. Il paziente, Ilario
Lazzari, visse fino al 1992.
Un merito i trapianti di cuore falliti
comunque lo ebbero: portarono a una ridefinizione
del concetto di “morte” nella
comunità scientifica. Infatti, fino a quel momento, generalmente si considerava
morta una persona senza più battito cardiaco: la definizione fu ampliata, resa
più complessa e tra le altre cose si mise in conto che una persona può essere
morta anche se per via artificiale il suo cuore continua a battere se non c’è
più attività cerebrale.
E Christiaan
Barnard?
L’ambizioso Christiaan Barnard, che anche
grazie a una certa spavalderia era riuscito a fare il primo trapianto di cuore
prima dei chirurghi americani le cui ricerche aveva studiato, divenne una
celebrità in tutto il mondo. Incontrò il presidente degli Stati Uniti, Lyndon
Johnson, e il Papa, fece amicizia con molte persone del mondo dello spettacolo,
tra cui l’attrice Sophia Loren e l’attore Peter Sellers. Il suo primo matrimonio fallì dopo che si diffusero
pettegolezzi su una sua relazione con Gina Lollobrigida.
Barnard continuò a fare trapianti di cuore
per alcuni anni, ma i suoi interventi non contribuirono al progresso
scientifico nel campo in modo particolare. In totale fece 22 trapianti di cuore
in 13 anni. Nel 1983 poi smise di operare, un po’ per i problemi alle mani
causatigli dall’artrite reumatoide, un po’ – secondo molti dei suoi colleghi –
perché aveva perso interesse nella chirurgia. Morì il 2 settembre 2001, mentre
era in vacanza a Cipro.
https://www.ilpost.it/2017/12/03/primo-trapianto-cuore-christiaan-barnard/
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