Asserragliati nell’ultimo fortilizio della moralità pubblica, l’Italia, osserviamo sbigottiti il disfacimento del paesaggio circostante. A Londra la macchina del ministro dell’Energia, Chris Huhne, è stata colta dall’autovelox in eccesso di velocità. Si fosse trattato di autoblù, la multa avrebbe seguito il percorso rassicurante di tutte le infrazioni che hanno per destinatario qualche onorevole: una capatina al partito prima di spostarsi educatamente nel cestino. Invece questa è finita dritta nella buca del ministro. Il quale - come un disperato, come uno sfigato, insomma come un laureando ventottenne qualsiasi - per non perdere punti sulla patente ha detto che al volante c’era la moglie. Avrebbe almeno potuto sostenere una tesi più credibile: che l’auto aveva accelerato a sua insaputa. A distanza di anni la moglie, diventata nel frattempo ex, ha svelato l’inganno. E ancora una volta il ministro non ha fatto nulla di ciò che ci si aspetta in simili circostanze da una persona del suo rango: non ha accusato i magistrati di golpe e non ha difeso la poltrona (sarà uno di quei precari, oggi di moda, che hanno in uggia la monotonia del posto fisso). Se n’è uscito invece con questa frase sconvolgente: «Mi dimetto per evitare che l’inchiesta interferisca con la carica che ricopro». Il suo gesto, ancorché assurdo, va rispettato. Infatti «c’è un confine fra opportunità e legalità che è lasciato alla coscienza dei singoli», come in tempi non sospetti ebbe a dire a Report il senatore non dimissionario Lusi, tesoriere di Rutelli con casetta in Canada. Uno che di coscienza e di singoli, modestamente, se ne intende. |
04-02-12
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