“L'opinione è forse il solo cemento della società.”
Cesare Beccaria
Biografia
Cesare Beccaria nasce il 15 marzo 1738 a Milano,
figlio di Maria Visconti di Saliceto e Giovanni Saverio di Francesco. Dopo
avere studiato a Parma, si laurea a Pavia nel 1758; due anni più tardi sposa
Teresa Blasco, sedicenne di Rho, nonostante l'opposizione del padre (che gli fa
perdere, così, i diritti di primogenitura).
Cacciato di casa dopo le nozze, viene ospitato
dall'amico Pietro Verri,
che per qualche periodo gli offre anche un sostegno economico. Nel frattempo
legge le "Lettere persiane" di Montesquieu,
che lo portano ad avvicinarsi all'Illuminismo.
Dopo avere fatto parte del cenacolo dei fratelli Verri (c'è anche Alessandro,
oltre a Pietro), scrive per la rivista "Il Caffè" ed è tra i
creatori, nel 1761, dell'Accademia dei Pugni.
Nel 1762 diventa padre di Giulia; nel frattempo in
questo periodo gli sorge il desiderio di scrivere un libro finalizzato a dare
vita a una riforma in sostegno dell'umanità più
sofferente, anche in virtù dell'insistenza di Alessandro Verri, protettore
delle persone in carcere: è così che Cesare Beccaria nel 1764
pubblica (inizialmente in maniera anonima), il trattato "Dei delitti e delle pene",
che si oppone alla tortura e
alla pena di morte.
In particolare, secondo Beccaria, la pena di morte può
essere considerata una guerra di uno Stato intero contro un singolo individuo,
e non può essere accettata poiché il bene della vita non può essere a
disposizione della volontà dello Stato stesso. Essa, inoltre, non ha un effetto
deterrente sufficiente da giustificarne il ricorso, poiché - sempre secondo il
filosofo milanese - il criminale tende ad avere paura dell'ergastolo o della
schiavitù molto più che della morte: i primi costituiscono una sofferenza
reiterata, mentre la seconda rappresenta un male definitivo, unico.
Non solo: per Cesare Beccaria chi
pensa alla pena di morte può ricavarne una minore fiducia nelle istituzioni
oppure rendere addirittura più disposti verso il delitto. In "Dei delitti e delle
pene", quindi, il giurista meneghino
propone di sostituire la pena di morte con
i lavori forzati, utili a dimostrare l'efficacia della legge tramite un esempio
prolungato nel tempo e utile alla collettività, che viene così risarcita dei
danni causati; i lavori forzati, al tempo stesso, permettono di salvaguardare
il valore dell'esistenza umana, e ha un'azione intimidatoria: la morte del
corpo viene sostituita dalla morte dell'anima.
Nell'opera, inoltre, Beccaria parla
dei delitti come violazioni di un contratto, adottando un punto di vista
evidentemente illuministico e utilitaristico che lo porta a ritenere che pena
di morte e tortura,
più che ingiuste o umanamente poco accettabili, siano semplicemente e
pragmaticamente poco utili.
Non sono motivazioni di carattere religioso, dunque,
ma ragioni di carattere pratico a muovere la penna del giurista milanese, che
tra l'altro evidenzia come il delitto non vada identificato come un'offesa alla
legge divina, la quale invece fa parte non della sfera pubblica ma della
coscienza individuale di una persona. È anche per questo motivo che, già nel
1766, "Dei delitti e delle
pene" viene messo all'Indice dei libri
proibiti per colpa della distinzione che in esso viene sancita tra reato e
peccato.
Sempre nel 1766 Cesare Beccaria diventa padre di
Maria, la sua seconda figlia, nata con problemi neurologici gravi, mentre
l'anno successivo nasce il primo maschio, Giovanni Annibale, che però muore
pochissimo tempo dopo. Successivamente viaggia fino a Parigi, seppure
controvoglia (al punto da avere una crisi di panico al momento di lasciare la
moglie e partire), per incontrare i filosofi francesi intenzionati a
conoscerlo. Per qualche tempo viene ospitato nel circolo del barone d'Holbach,
ma poco dopo torna a Milano, geloso della moglie.
In Italia, Beccaria - a dispetto di un carattere
scostante e fragile, indolente e poco incline alla vita sociale - diventa
professore di Scienze Camerali. Nel 1771 entra a far parte dell'amministrazione
austriaca, prima di essere nominato membro del Supremo Consiglio dell'Economia;
ricopre tale carica per più di vent'anni (nonostante le critiche di Pietro
Verri e di altri amici, che lo additano
come burocrate) e contribuisce, tra l'altro, all'istituzione delle riforme
asburgiche avviate sotto Maria Teresa e Giuseppe II.
Nel 1772 nasce Margherita, la sua quarta figlia, che
però non sopravvive più di pochi giorni. Due anni più tardi, il 14 marzo del
1774, Teresa muore, probabilmente a causa della tubercolosi o della sifilide.
Dopo poco più di un mese di vedovanza, Cesare sottoscrive il contratto di
matrimonio con Anna dei Conti Barnaba Barbò: a meno di tre mesi dalla morte
della prima moglie, Beccaria si risposa il 4 giugno del 1774, destando notevole
clamore.
Nel frattempo Giulia, la sua prima figlia, viene messa
in collegio (benché in passato Cesare avesse dimostrato di disprezzare i
collegi religiosi) e ci rimane per poco meno di sei anni: durante questo
periodo Beccaria la ignora completamente, non volendone sapere più nulla e
arrivando perfino a non considerarla più sua figlia. Egli è convinto, infatti,
che Giulia sia il frutto di una delle tante relazioni che Teresa aveva avuto
con altri uomini fuori dal matrimonio.
Vistasi negare l'eredità materna, Giulia nel 1780 esce
dal collegio, avvicinandosi a sua volta agli ambienti illuministi: due anni più
tardi Beccaria la dà in sposa al conte Pietro Manzoni, che ha vent'anni più di
lei. Nel 1785 Cesare Beccaria diventa nonno di Alessandro
Manzoni (ufficialmente figlio di Pietro,
ma molto più probabilmente figlio di Giovanni Verri, fratello di Alessandro e
Pietro, amante di Giulia), il futuro autore dei Promessi Sposi.
Cesare Beccaria muore a Milano
il 28 novembre 1794, all'età di cinquantasei anni, per colpa di un ictus. Il
suo corpo viene sepolto nel Cimitero della Mojazza, fuori Porta Comasina,
invece che nella tomba di famiglia. Ai funerali è presente anche il
piccolo Alessandro
https://biografieonline.it/biografia-cesare-beccariaManzoni.
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