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giovedì 30 settembre 2021

Lo Sapevate Che: James Dean: La massima «Sogna come se dovessi vivere per sempre; vivi come se dovessi morire oggi», sua personale interpretazione del "carpe diem" latino, ne ha fatto da bussola alla vita


La gratificazione sta nel fare, non nei risultati.” James Dean

 

L'icona del ribelle

Era il tardo pomeriggio, già tendente alla sera, del 30 settembre 1955: nella statale 466 in direzione di Salinas, California, una Porsche Spider non poté evitare la collisione con un altro veicolo che, forse per una distrazione dell'autista, ne aveva invaso la corsia. L'impatto fu devastante: per il conducente dell'auto non ci fu nulla da fare, era deceduto sul colpo e la sua auto ridotta in pezzi. Alcune ore più tardi, tra lo sgomento generale, cominciò a diffondersi la notizia che James Dean era morto. Aveva 24 anni.

Oggi, a oltre cinquant'anni dalla scomparsa dell'attore e dalla nascita del mito, quella di James Dean è un'icona che la cultura giovanile ha introiettato, ormai quasi inconsapevolmente, e la cui leggenda continua a perpetuarsi da più generazioni, senza peraltro veder diminuire il suo sottile fascino e la sua attualità. Non è facile trovare un altro personaggio che, al suo pari, ha influenzato tanto, e così a lungo, i comportamenti, il modo di vestire, le mitologie metropolitane dei giovani; al punto da potersi affermare che in ogni giovane c'è riposto qualcosa che appartiene a James Dean, prototipo di ogni teenager.

Negli stessi anni in cui se ne cominciava a definire la leggenda, il rock'n'roll muoveva i suoi primi passi e la figura del "ribelle" incarnata dall'attore fu, sin dall'inizio, assunta come propria dalla nuova tendenza musicale: negli States nasceva la cultura giovanile, che avrebbe presto conquistato e rivoluzionato il mondo.

Così come della sua precoce morte, della vita di James Dean si è scritto a lungo per decenni, spesso con accenti quasi epici che finiscono per generare una totale indistinzione tra vita privata e pubblica ma, soprattutto, tra vita e arte. Questa forma d'indistinzione, se da un lato può rappresentare un limite, perché spesso si corre il rischio di mettere in secondo piano quelli che sono gli indubbi meriti artistici dell'attore rispetto a un certo gusto per l'aneddotica biografica dell'uomo, dall'altro lato è forse al tempo stesso inevitabile per capire un personaggio enigmatico e singolare come James Dean, che recitò nel modo in cui visse, e visse come recitò sul grande schermo.

James Byron Dean nacque l'8 febbraio del 1931 a Marion, nell'Indiana, in quello che allora era uno tra gli stati americani più depressi e rurali. La sua prima infanzia fu segnata dalla prematura scomparsa della madre e dal difficile rapporto con il padre. Fu amorevolmente allevato dagli zii e, appassionatosi sin da giovane al teatro e ad altre attività creative, cominciò a sviluppare una personalità inquieta, eccentrica, ambiziosa, e che sarebbe rimasta carica di conflitti adolescenziali mai risolti.

Alcuni anni dopo, furono soprattutto queste sue caratteristiche peculiari a convincere il regista Elia Kazan che il ventitreenne James Dean - il quale aveva studiato recitazione, frequentato l' "Actors Studio" e aveva già alle spalle diverse esperienze teatrali, ma anche radiofoniche e televisive - possedesse la personalità più adatta per interpretare il difficile personaggio di Cal Trask nel film La valle dell'Eden ("East of Eden", 1955), tratto dall'omonimo romanzo di Steinbeck. Per il ruolo, egli fu preferito sia a Marlon Brando, sia a Montgomery Clift: gli altri due più anziani "ribelli di Hollywood", entrambi modelli di riferimento per il giovane James Dean, non possedevano a parere di Kazan la stessa carica emotiva, lo stesso risentimento nei confronti della figura paterna, la stessa giovanile irruenza, la medesima profonda infelicità.

Fu così che al giovane attore, per la prima volta, si aprirono le grandi porte della celebrità e del successo, da egli a lungo anelato.

Ma, se James Dean aveva bisogno di Hollywood per appagare la sua innata e irrefrenabile ambizione, anche Hollywood aveva bisogno di attori come lui. In quegli stessi anni, infatti, la celebre "fabbrica dei sogni" si stava aprendo anche a un nuovo modo di far cinema: più libero e indipendente, caratterizzato da uno stile più realistico, pregnante e meno auto-celebrativo, attento ai fenomeni sociali e soprattutto al nascente universo giovanile, che il cinema stesso contribuì a definire ed alimentare.

James Dean restò a Hollywood appena diciotto mesi ed ebbe il tempo di recitare solo in tre pellicole ma, pur in questo esiguo arco di tempo, rivoluzionò non soltanto la vita di milioni di teen-ager, ma anche lo stile di recitazione di parecchi attori cinematografici. Truffaut scrisse di lui, dopo la sua morte: "Dean va contro cinquant'anni di cinema. Lui recita qualcos'altro da quello che pronuncia, il suo sguardo non segue la conversazione, provoca una sfasatura tra l'espressione e la cosa espressa. Ogni suo gesto è imprevedibile. Dean può, parlando, girare la schiena alla cinepresa e terminare in questo modo la scena, può spingere bruscamente la testa all'indietro o buttarsi in avanti, può ridere là dove un altro attore piangerebbe e viceversa, perché ha ucciso la recitazione psicologica il giorno stesso in cui è apparso sulla scena".

Solitario, irrequieto, dal fascino un po' tenebroso, sin dal suo esordio in La valle dell'Eden, questo enfant terrible di Hollywood fu considerato un eroe dalla gioventù americana, dimostrandosi in grado di rappresentarne lo straniamento, di denunciarne l'incomprensione, di esorcizzarne la solitudine. Il film mette in scena la storia del burrascoso rapporto tra un padre e il minore dei suoi due figli, che nutre risentimento nei confronti del genitore perché, a differenza del fratello, non si è mai sentito amato e apprezzato. James Dean, per il proprio simile vissuto personale, caratterizzò in modo così intenso il personaggio di Cal Trask, infelice e incompreso, che la sua non era più soltanto un'ottima interpretazione cinematografica; era qualcosa di ben più potente e pregnante che andava oltre la finzione filmica, la storia narrata: improvvisamente, fu assunto come portavoce di un'intera giovane generazione che, per la prima volta, cercava di affermare sé stessa. Negli stessi mesi, un altro fenomeno rivoluzionario, il rock 'n' roll, faceva la sua clamorosa comparsa.

Se "La valle dell'Eden" mise in luce una nuova rivelazione del cinema, e cominciò già a definire i tratti di un simbolo generazionale, fu però soprattutto la seconda interpretazione, Gioventù bruciata, quella più memorabile e che consegnò alla posterità la leggenda di James Dean nella forma in cui è stata tramandata da allora: è l'immagine risultante da "Gioventù bruciata", infatti, a esser quella più intimamente legata al mito dell'attore anche perché, in questo film, l'uomo Dean e il personaggio da lui interpretato, Jim Stark, grazie anche a una sapiente regia, sembrano davvero giungere a identificarsi del tutto; in questo modo, il film si trasforma quasi in un documento biografico dell'attore, un frammento della sua breve vita e, allo stesso tempo, anche una premonizione della sfortunata morte che, ancor prima che il film uscisse nelle sale, egli avrebbe trovato. "La sua angoscia era autentica sia sullo schermo che nella vita", ebbe a dire di lui Andy Warhol alcuni anni dopo. Per delle sinistre coincidenze, anche gli altri due giovani attori principali che lo affiancavano - Natalie Wood e Sal Mineo - avrebbero trovato entrambi una tragica morte precoce in circostanze cupe e misteriose.

Gioventù bruciata ("Rebel Without A Cause", 1955), diretto da un talentuoso Nicholas Ray, mette in scena la drammatica e toccante storia di tre adolescenti alle prese con il difficile passaggio all'età adulta e con la faticosa ricerca di una propria identità. Il mondo degli adulti, quello dei genitori, è visto con distacco e profonda estraneità, poiché incapace di trovare delle risposte al disagio giovanile e, soprattutto, di trovarle in fretta. Ne consegue una totale incomunicabilità tra i due orizzonti: quello adulto, tratteggiato come debole, assente e ipocrita; quello dei giovani, dipinto come sentimentale e idealista. L'insicurezza esistenziale, la profonda solitudine, la mancanza di punti di riferimento, porta i giovani protagonisti a cercare la propria strada anche a costo di rischiare di perderla. Alla fine, la storia d'amore tra Jim e Judy sarà forse per i due giovani un veicolo di rinnovamento e di approdo a una vita matura, ma che sia al tempo stesso consapevole e coraggiosa; a farne le spese sarà, però, il più piccolo e indifeso dei tre protagonisti: Plato, vittima innocente di una società malata e distratta.

In "Gioventù bruciata", diventato presto un vero cult-movie, fanno la loro piena comparsa anche quelle tematiche che caratterialmente accompagnano, sin dalla più giovane età, la breve e turbolenta vita di James Dean: la competitività, la continua messa alla prova di se stessi, la fretta di vivere, la sfida alla morte. Come è noto, infatti, l'attore fu nel corso della propria vita un "ribelle" non certo meno che negli schermi cinematografici, conducendo una vita intensa, frenetica e spesso sregolata.

Originario dell'Indiana, patria delle 500 miglia di Indianapolis, Jimmy - come veniva chiamato dagli amici - nutriva una passione smisurata per le moto e le auto da corsa, con le quali trascorreva molto tempo, spesso partecipando anche a competizioni ufficiali. Il giorno in cui morì, era diretto a Salinas per una gara a cui avrebbe preso parte il giorno seguente. L'ironia della sorte volle anche che, poco più di un mese prima dell'incidente, Jimmy avesse partecipato come testimonial a uno spot televisivo sulla guida sicura. In quell'occasione, le sue parole furono: "Guidate con calma" - e poi, rivolgendo lo sguardo verso la telecamera, con un sorriso enigmatico aggiuse: "Perché la vita che salvereste potrebbe essere la mia". Sebbene in seguito pare sia stato accertato che l'incidente di cui fu vittima non fosse legato a un eccesso di velocità, il triste epilogo rappresentò l'esito finale di una vita vissuta sempre sul filo del rasoio. Uno dei motti da lui inventati era: "Sogna come se potessi vivere in eterno, vivi come se dovessi morire oggi". Così visse, così morì.

Quel 30 settembre del '55, l'America dei giovani - e non solo - si ritrovò in lacrime per la perdita di un eroe; si assistette a scene di delirio tragico paragonabili solo a quelle che, trent'anni prima, avevano accompagnato la scomparsa di Rudolph Valentino. Appena una settimana prima della tragica collisione alla guida della sua "Little Bastard" - aveva soprannominato così la nuovissima Porsche 550 -, l'attore aveva ultimato a Hollywood, al fianco di Liz Taylor, le riprese principali del kolossal Il Gigante ("Giant", 1956), diretto da George Stevens; la sua terza e ultima interpretazione cinematografica, sebbene non da protagonista. Il film uscì nelle sale un anno dopo la sua morte e fu accolto con grande clamore. Alcuni mesi più tardi, Hollywood offrì il primo di tanti futuri tributi al suo giovane e sfortunato eroe: The James Dean Story (1957), un vivace documentario co-diretto da un giovane Robert Altman, e la cui colonna sonora ebbe come interprete d'eccezione il jazzista Chet Baker (il quale, anch'egli bello e maledetto, prese a esser soprannominato il "James Dean del jazz"). Nel film, tuttavia, l'intento documentaristico finiva in realtà per rivelare i propri limiti, facendo assumere all'attore da poco scomparso già un'intensa aura di leggenda. Leggenda che, da allora, non sembra conoscere tramonto.

Dalla metà degli anni 50 ai nostri giorni, James Dean è stato oggetto di un vero e proprio culto: per decenni, migliaia e migliaia di fan lo hanno venerato e imitato, ne hanno commemorato la morte, ne hanno visitato la tomba, ne hanno collezionato cimeli e oggetti, alcuni hanno persino partecipato a competizioni in suo ricordo. La sua immagine è stata abbondantemente utilizzata e rielaborata - in modo più o meno diretto - dall'industria del cinema, della televisione e della moda. Si può anche dire che nessuno abbia contribuito quanto lui a definire quello che è ancora oggi il look più diffuso nei giovani di tutto il mondo: jeans e t-shirt, indumenti ormai considerati inseparabili dallo stesso stauts di giovani. Ma forse è nell'universo del rock, e delle sue proprie mitologie, che l'influenza dell'attore è stata più pervasiva e autentica. Già all'indomani della sua scomparsa, infatti, il nascente rock&roll ne assunse non soltanto gli aspetti estetici, pur indispensabili per la definizione dei novelli rocker, ma anche l'anarcoide spirito di ribellione: Elvis, per consolidare la propria immagine, adottò strategicamente un look e delle movenze "animalesche" alla James Dean, del quale era un fanatico ammiratore; Gene Vincent ed Eddie Cochran, invece, giunsero a un'identificazione spirituale ben maggiore e, mentre il primo la scampò per due volte, il secondo trovò, come l'attore, una sfortunata e precoce morte sull'asfalto.

Il retaggio mitico del ribelle di Hollywood, però, non si limitò solo al primo rock&roll bensì, da allora in poi, divenne definitivamente parte integrante della cultura musicale del rock tout court: dai primi rock&roller agli alfieri dell'underground, dai surfisti ai punk, e fino ai giorni nostri, la figura di James Dean accompagna, con le sue forti connotazioni, l'intera storia del rock; incarnandone quell'anima ribelle e dannata, ma anche fragile e fanciullesca, caratterizzando quella ricorrente immagine da "duri con il cuore tenero" e sfidando persino lo scontro generazionale, poiché simbolo così forte da essere assunto tanto padri quanto dai figli. Se già il giovane Bob Dylan considerava James Dean un idolo e ne lamentò la morte, alcuni anni dopo i Beach Boys gli dedicarono una canzone, un tributo a nome del popolo del surf.

Dall'altra parte dell'oceano, invece, John Lennon giunse addirittura a dichiarare che "senza James Dean non sarebbero mai esistiti i Beatles". Lo stesso Lennon, nella copertina del suo "Rock'n'roll", era ritratto abbigliato e atteggiato "alla James Dean" e sembrava così unire, all'omaggio al glorioso rock'n'roll costituito dal suo disco, un preciso riferimento all'attore, rendendone così esplicito il profondo legame spirituale intessuto con la cultura della musica rock. I primi anni 70, poi, assistettero al fiorire del culto di Jim Morrison, senza dubbio debitore di James Dean. Alla fine dei 70, fu la volta del bassista dei Sex Pistols, Sid Vicious, uno dei simboli più eloquenti di una nuova "gioventù bruciata", a esser visto da alcuni come un'ennesima incarnazione, ben più perversa e trasgressiva, dell'angelo maledetto di Hollywood. Nel corso degli anni 80, fu Morrissey - cantante degli Smiths - a dar voce agli aspetti più intimisti e malinconici dell'attore, alla cui memoria egli dedicò persino un libro ("James Dean Is Not Dead", 1983). Negli anni 90, infine, qualcuno giunse a paragonare il tormentato e alienato Kurt Cobain, leader dei Nirvana, a un moderno James Dean il quale, tra l'altro, ritratto nel '54 in una celebre sequenza di fotografie, aveva introdotto con decenni di anticipo anche una sorta di portamento "grunge" ante litteram.

Forse non è stata la scomparsa di James Dean a introdurre per la prima volta la mitizzazione della morte prematura, ma fu sicuramente la sua a offrire una nuova, moderna, formulazione a quell'ideale romantico; proprio lui che di un celebre poeta romantico vissuto intensamente, Byron, portava anche il nome. Fu James Dean infatti l'interprete per eccellenza del detto "live fast, die young"; anch'esso, fu fatto proprio ed esaltato dal rock: da Jimi Hendrix a Jim Morrison, da Nick Drake a Tim Buckley, da Sid Vicious a Ian Curtis, fino a Kurt Cobain, nell'immaginario del rock, la precoce morte biologica sembra costituire il definitivo lasciapassare per l'immortalità e la consacrazione artistica.

Ma chi fu veramente James Dean? Il giovane attore di talento la cui promettente carriera fu interrotta da una morte prematura, oppure uno dei prodotti dell'immaginario collettivo americano? Egli fu sicuramente, e più di altri, l'una e l'altra cosa insieme. Solo in America, terra giovane di storia e dotata di uno straordinario potere mitopoietico, poteva fiorire la moderna leggenda di James Dean che, simile a un eterno Peter Pan, occupa uno dei posti d'onore nell'Olimpo delle "divinità" americane: quello che, tra le altre, ospita le stelle di Elvis Presley e Marilyn Monroe e che rappresenta uno dei custodi dell'American dream, alimentato dalle proprie stesse mitologie. Ma, d'altro canto, l'icona di James Dean sembra anche rappresentare un caso a sé.

Perpetuandosi e rinnovandosi in modo singolare, e per certi versi unico, quella dello sfortunato attore appare, rispetto alle altre, un'immagine ben più profonda: più reale e autentica ma, insieme, più universale e indefinita. La grandezza di James Dean, e il segreto del suo incredibile e duraturo successo, consistette nell'esser riuscito, grazie anche al suo indubbio talento, a infondere le pellicole di qualcosa d'unico, come lo era la sua irrequieta personalità e, allo stesso tempo, a rendersi interprete universale non soltanto dei giovani americani del dopoguerra, ma anche dello spirito profondo dei giovani d'ogni tempo.

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Lo Sapevate Che: Truman Capote: Figura di spicco del panorama letterario e giornalistico americano del secondo Novecento, l'inesauribile vena creativa e la grande padronanza di stile lo portarono a produrre eccellenti risultati


Non mi importa cosa la gente dice di me finché non è vero.” Truman Capote

 

La parabola di un eclettico

Giornalista, scrittore, dialoghista, sceneggiatore, drammaturgo, attore: rinchiudere in una sola definizione Truman Capote è praticamente impossibile. Nato il 30 settembre del 1924 a New Orleans, Truman (il cui vero nome è Truman Streckfus Persons) cresce in Alabama, a Monroeville, accudito dai parenti che lo hanno preso in cura dopo il divorzio dei genitori: la madre, scostante e turbolenta, alle prese con numerosi amanti, gli fa visita solo occasionalmente, mentre il padre, sprovveduto e squattrinato, ricomparirà solo quando Capote sarà ricco e famoso.

L'infanzia del piccolo Truman, dunque, è poco felice, e l'unico affetto che lo consola è quello di Harper Lee, sua amica del cuore, che diventerà a sua volta celebre come scrittrice grazie al libro vincitore del Premio Pulitzer "Il buio oltre la siepe" (titolo originale: "To kill a mockingbird"), dove appare anche Truman, nei panni del piccolo Dill.

Anche durante l'adolescenza la vita per Truman non è semplice: a scuola viene preso in giro per i suoi modi effemminati, e trova l'unico sollievo nell'insegnante di inglese del college, unica che sa apprezzare la sua sterminata fantasia, alimentata dalla sua passione per la lettura. Dopo la scuola Truman si trasferisce a New York, dove assume il cognome di Joe Capote, suo patrigno; pur di entrare in contatto con il mondo del giornalismo, il ragazzo trova lavoro come fattorino presso il "New Yorker", celebre rivista letteraria, dal quale però viene licenziato dopo essersi spacciato come inviato in occasione di un convegno letterario.

Nel frattempo, alcuni suoi racconti vengono pubblicati sull'"Harper's Bazaar" e sul "Southern Gothic Novelist". Un successo inaspettato arriva con "Miriam", edito da una rivista femminile, che gli apre le porte dei salotti mondani della Grande Mela. Truman Capote, personaggio dandy e profondo intellettuale, ben presto diventa amico di Ronald ReaganTennessee WilliamsJackie KennedyAndy Warhol e Humphrey Bogart: è l'inizio di una vita segnata dagli eccessi, aggravata da un carattere difficile e dall'ostentazione della propria omosessualità.

Truman Capote in pochi anni diventa uno scrittore conosciuto in tutto il Paese: dopo "Altre voci, altre stanze", del 1948, è la volta di "Colazione da Tiffany" e del musical "House of flowers", del quale compone sceneggiatura e parole dei brani musicali. Nel 1966 sul "New Yorker" esce a puntate "A sangue freddo", la sua opera più famosa, realizzata dopo un lavoro di indagine durato sei anni.

Poco dopo, però, inizia già la parabola discendente di Capote, che con il romanzo "Preghiere esaudite", peraltro mai completato, prova a condensare tutte le osservazioni derivanti dal suo incontro con il jet set. Pensato come un libro di carattere proustiano, una sorta di ritratto del nulla delle vicende che coinvolgono i divi della Grande Mela, "Preghiere esaudite" fa perdere a Capote tutte le sue amicizie.

Droga e alcol sono sempre più protagonisti della vita dello scrittore, che veste i panni di un moderno Oscar Wilde, dall'esistenza distruttiva ed estetizzante. Il novello Thomas Chatterton, come è stato ribattezzato da James Michener, passa l'ultima parte della sua vita con uomini che mirano unicamente al suo denaro, disinteressandosi di lui. Truman sviluppa, inoltre, una forma pesante di epilessia, dovuta all'abuso di sonniferi. Le sue condizioni di salute peggiorano sempre di più, anche a causa della dipendenza dall'alcol: lasciato dal suo compagno, dal bel mondo che lo aveva osannato e dai divi che rinnegano la sua amicizia, Capote passa intere settimane a bere e a dormire, sul letto di casa propria o in un ospedale di New York.

Due tentativi di disintossicazione non vanno a buon fine, e così, all'età di 59 anni, Truman Capote muore all'età di 59 anni il 25 agosto del 1984 a causa di una cirrosi epatica mentre si trova a Bel Air, Los Angeles, ospite di una delle poche persone amiche che non lo hanno mai lasciato, Joanne Carson.

Tra le altre opere della carriera di Truman Capote, vale la pena di citare la realizzazione dei dialoghi inglesi di "Stazione Termini", film del 1953 di Vittorio De Sica, e le sceneggiature di "Il tesoro dell'Africa", "Laura" e "Suspense". L'artista si è anche cimentato come attore prendendo parte al tredicesimo episodio della prima stagione di "ABC Stage 67", a "The Thanksgiving visitor" e a "Invito a cena con delitto". Maledetto, deluso e deludente, artisticamente creativo e profondamente geniale, vittima dell'alcol, della droga, di se stesso e della propria ingenuità, Truman Capote ha rappresentato una delle personalità più controverse degli anni Sessanta e Settanta, non solo in America ma anche nel resto del mondo.

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Lo Sapevate Che: Giorgio Panariello: Attore e comico, fiorentino doc, è uno dei volti più amati della televisione italiana, dov'è spesso protagonista come showman di trasmissioni di enorme seguito


Il mio intento è quello di donare a tutti un sorriso. E se per qualcuno o per molti non è così, almeno spero che possano cercarlo altrove, perché il sorriso è uno dei motori della vita.     Giorgio Panariello

 

Simpatia a presa rapida

Artista di grande spessore umano, dotato di grande umiltà, autoioronia e grande rispetto per il pubblico, Giorgio Panariello nasce a Firenze il 30 settembre 1960. Versiliese di adozione, Panariello è una presenza costante nel mondo dello spettacolo italiano, con un indice di gradimento ed una riconoscibilità così alta che ne fanno uno dei maggiori beniamini del pubblico.

Grazie alla sua grandissima carica espressiva Panariello riesce a passare con grande disinvoltura attraverso tutti i mezzi di comunicazione dello spettacolo, dal teatro alla televisione, fino algrande schermo, riuscendo a manifestare in ogni contesto il suo talento a presa rapida, in virtù di quel trasformismo del quale è maestro impareggiabile.

L'esordio artistico avviene con la vittoria della seconda edizione di "Stasera mi butto", seguito dalla partecipazione - in qualità di imitatore - a numerose trasmissioni televisive.

Ma è con "Vernice fresca", al fianco del noto presentatore e amico Carlo Conti, che Giorgio Panariello riesce a sfogare la sua indole di comico e caratterista di innumerevoli personaggi. Al fianco di quella televisiva, Giorgio può vantare una lunga esperienza teatrale, iniziata con "Quaderno a quadretti" nel 1992, seguita poi da "Vicini birichini" in cui già compaiono i suoi più noti personaggi.

L'esplosione presso il grande pubblico avviene con "Aria fresca", in onda su Videomusic, seguita dallo spettacolo teatrale "Panariello sotto l'albero" con cui il comico toscano fa registrare il tutto esaurito al Teatro Tenda di Firenze per due settimane di fila, con oltre 24 mila presenze.

Grazie a Maurizio Costanzo, Giorgio Panariello debutta nel 1997 al teatro Parioli di Roma con "Boati di silenzio". Lo spettacolo sbarca poi al Ciak di Milano, al Palasport di Firenze e diverse altre città d'Italia dove lo spettacolo registra sempre il tutto esaurito.

Grazie allo straordinario successo di pubblico e critica Giorgio ottiene l'attenzione del cinema. La Cecchi Gori Group gli offre la possibilità di lavorare nel primo film di Umberto Marino, "Finalmente soli" (1997), e poi come sceneggiatore e regista del suo "Bagnomaria" (1999), scritto a sei mani con i padri della commedia brillante italiana, De Bernardi e Benvenuti.

Nel 2000 è in onda in prima serata, il sabato, su RaiUno con cinque puntate della trasmissione "Torno sabato". Grazie al successo ottenuto, la televisione lo incorona personaggio rivelazione dell'anno con due ambitissimi premi, l'Oscar Tv ed il Telegatto. In "Torno sabato" Giorgio Panariello ha messo a segno personaggi come Mario il bagnino, il bambino Simone, il pierre della discoteca Kiticaca di Orbetello tutto-marsupio-e-poco-cervello, Merigo l'ubriaco, la signora Italia, Lello Splendor e Raperino il nonno. Con questa esperienza inoltre dimostra il talento per poter "bucare" il video come monologhista: arriva a totalizzare oltre undici milioni di telespettatori.

Del 2000 è anche il suo film "Al momento giusto", scritto con un giovane sceneggiatore e affiancato dall'attore e autore comico Carlo Pistarino (autore e compagno anche nelle esperienze del sabato sera televisivo).

Nel 2001 Giorgio torna nei teatri con il nuovo spettacolo "Panariello...chi?" sempre per la regia di Giampiero Solari; in scena con lui il musicista-cantante Paolo Belli.

A settembre entra nel cuore di molti italiani con lo spettacolo televisivo itinerante "Torno sabato - la lotteria", varietà del sabato sera di Raiuno legato alla Lotteria Italia che raggiunge una media di otto milioni di telespettatori a puntata. Grazie al programma nel 2002 Giorgio Panariello si aggiudica ben tre premi Oscar Tv e il Telegatto per il Varietà dell'anno.

Seguono una serie di attività itineranti caratterizzate da un impressionante numero di "tutto esaurito": a luglio 2002 parte lo spettacolo estivo "Panariello d'estate" che tocca i principali luoghi di villeggiatura italiani; dal mese di novembre fino al febbraio 2003 ha replicato 70 volte il suo tour teatrale "Chissà se sarà uno show"; nella primavera del 2003 il poliedrico Giorgio torna sui palcoscenici italiani cimentandosi nei panni di uno dei piu' classici e divertenti protagonisti del teatro comico internazionale: Monsieur Jourdain, ne "Il borghese gentiluomo" di Moliere (replicato poi nell'inverno 2004); nell'estate 2003, con solo otto date, tocca le principali località turistiche del centro Italia con lo spettacolo teatrale "Chissà se sarà uno show".

Quest'ultima esperienza funge da test in attesa del prossimo grande impegno televisivo del sabato sera, naturale proseguimento dei precedenti. Si arriva così a "Torno sabato ... e tre" che lo ha consacrato campione di ascolti. A seguito degli ottimi risultati Giorgio viene scelto dalla RAI come testimonial per la campagna abbonamenti al canone televisivo per l'anno 2004.

Ad aprile 2004 Giorgio Panariello sbarca in America per due sole date(New Yok e Connecticut) per regalare grandi sorrisi alle comunità italiane presenti. L'affetto del pubblico è stato nuovamente caloroso e travolgente. Nell'estate seguente gira l'italia con lo spettacolo "Giorgio in scena", tour estivo con cui Giorgio ha voluto far vedere come il vero spettacolo avvenga dietro le quinte.

Con un bagaglio infinito di personaggi e imitazioni (quella esemplare di Renato Zero - che Giorgio ama molto - per citarne una) l'instancabile Giorgio Panariello, le cui sorprese non finiscono mai, torna ad ottobre 2004, capitano e condottiero dei sabato sera di RaiUno, con una trasmissione il cui titolo omaggia la nota canzone di Rino Gaetano, "Ma il cielo è sempre più blu".

Alla fine del mese di febbraio 2006 torna alla grande per condurre l'appuntamento Rai più importante della stagione, il Festival di Sanremo. Al suo fianco la bellissima Ilary Blasi.

Nel 2020 pubblica un libro delicatissimo, dal titolo "Io sono mio fratello"

Lui e il suo fratello minore sono stati entrambi abbandonati dalla madre subito dopo la nascita. Giorgio viene affidato ai nonni materni, Franco invece finisce in un istituto. Mentre Giorgio cresce e diventa uno degli uomini di spettacolo più amati d'Italia, Franco cade nella tossicodipendenza. Fino alla tragica fine. In questo libro per la prima volta Panariello ha deciso di raccontare il filo nascosto (la preoccupazione costante, il senso di colpa) che da sempre corre nella sua vita. Un libro straziante e dolcissimo, che grazie all'onestà e all'accuratezza dei sentimenti sa muovere le corde più profonde delle nostre emozioni.

https://biografieonline.it/biografia-giorgio-panariello

Lo Sapevate Che: Monica Bellucci: Nata a Città di Castello, nel perugino, lavora come attrice e modella ed è considerata una delle donne più belle del mondo


Il corpo è il mio strumento di lavoro: delicatissimo e violento.” Monica Bellucci

 

Bella da fantascienza

Monica Bellucci nasce il 30 settembre 1964 in Umbria a Città di Castello(PG). Dopo la maturità classica si iscrive a giurisprudenza con l'intenzione di diventare avvocato, ma il suo ingresso nel mondo della moda, attività cominciata con l'intento di pagarsi gli studi, la assorbe fin da subito in una molteplicità di impegni. Nel giro di un paio di anni, insomma, è costretta a lasciare l'università per dedicarsi a tempo pieno alla sua carriera, che prende il volo nel 1988 quando Monica si trasferisce a Milano per essere arruolata nella famosa agenzia "Elite", conquistando in breve tempo le copertine delle maggiori riviste di moda.

A Parigi la rivista "Elle" le dedica diverse copertine e la consacra al mondo internazionale delle top model. Un anno dopo la Bellucci debutta a New York, fotografata da Richard Avedon per la campagna della Revlon "Most Beautiful Women" e diventa la protagonista di una serie di campagne per Dolce e Gabbana, i quali la eleggono a vera e propria icona della donna medioterranea.

Ma a Monica Bellucci il ruolo di modella, malgrado il successo, va stretto, tanto che nel 1990 tenta la strada della recitazione.

All'apice della carriera di modella, incontra Enrico e Carlo Vanzina che, colpito dall'espressione intensa del suo sguardo e dal suo fisico mozzafiato la presentata a Dino Risi, autentico mostro sacro del cinema italiano. Ed è proprio col celebre maestro della commedia all'italiana che nel 1991 gira il film TV "Vita coi figli", assieme ad uno straordinario (come sempre), Giancarlo Giannini. Quell'esperienza, malgrado sia legata alla sola televisione, le apre comunque molte porte e la Bellucci comincia a capire che il cinema può diventare davvero un'aspirazione realizzabile. Ecco dunque che, sempre nel 1991, è protagonista de "La riffa" di Francesco Laudadio e interprete in "Ostinato destino" di Gianfranco Albano. Nel 1992, invece, il gran salto internazionale che la proietta direttamente ad Hollywood: ottiene infatti una parte nel "Dracula" di Francis Ford Coppola.

Sempre nel 1992 gira "Briganti" di Marco Modugno con Claudio Amendola e "La Bibbia" di Robert Young con Ben Kingsley, una produzione TV Rai/USA. Nel 1994 gira "Palla di Neve" di Maurizio Nichetti, con Paolo VillaggioLeo Gullotta e Anna Falchi. Nel 1995 approda nuovamente al cinema internazionale con un ruolo di protagonista nel film "L'appartement" di Gilles Mimouni in cui conosce l'attore Vincent Cassel, suo futuro sposo e compagno di numerosi film, come ad esempio "Méditerranées" e "Come mi vuoi". Nel 1996 un importante riconoscimento le viene dalla Francia: riceve un "Cesar" come miglior giovane attrice promessa per il suo ruolo nel film "L'appartamento".

Nel 1996 è co-protagonista in "Le doberman" di Jan Kounen. Nel 1997 è la volta di "L'ultimo capodanno" per la regia di Marco Risi per il quale nel 1998 riceve il Golden Globe, premio della critica straniera per l'Italia come miglior attrice italiana. Nel 1998 gira la commedia noir "Comme un poisson hors de l'eau" di Hervé Hadmar. In Spagna Monica ottiene grande successo di pubblico con il film spagnolo "A los que aman" di Isabel Coixet. Sempre nel 1998 Monica gira come protagonista femminile il film noir "Frank Spadone" di Richard Bean con Stanislas Mehrar e a Londra gira un cortometraggio dal titolo "That certain something" di Malcom Venville recitando in inglese.

Tra il 1999 e il 2000 l'abbiamo vista in "Under Suspicion", accanto a Gene Hackman e infine come protagonista nell'ultimo lavoro di Giuseppe Tornatore, "Malena", oltre che protagonista del violentissimo thriller francese. Attrice ormai ampiamente riconosciuta e affermata, si è definitivamente scrollata di dosso il riduttivo ruolo di modella.

Nel 2003 è tornata alla ribalta a livello mondiale per la sua -seppur marginale- interpretazione del personaggio di Persefone in "Matrix Reloaded", secondo capitolo della saga fantascientifica dei fratelli Wachowski.

Dopo la "Passione di Cristo", di Mel Gibson, in cui interpretava Maria Maddalena, Monica Bellucci ha dedicato il 2004 alla sua maternità, conclusasi il 12 settembre con la nascita di Deva, nome di origine sanscrita che significa "divina".

Monica Bellucci risiede a Parigi con il marito Vincent Cassel.

Un sondaggio francese nel mese di marzo 2007 l'ha eletta Donna più sexy del mondo, precedendo nomi quali Paris HiltonBeyonceShakira, Mathilde Seigner, Sharon StoneSophia LorenMadonnaPenelope Cruz.

Nel maggio del 2010 nasce la seconda figlia, Leonie. Alla fine del mese di agosto 2013 fa sapere ai giornali che lei e il marito hanno deciso di separarsi.

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