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domenica 25 ottobre 2015

Lo Sapevate Che: Ti ha lasciata? Ricomincia da te...



Caro signor Galimberti, come lei asserisce: “Amare perdutamente può fare male”. Ma, mi permetta, allo stesso tempo può fare bene. Quando dà l’occasione di prendere coscienza delle proprie manchevolezze e immaturità, se la perdita dolorosa non è vissuta come offesa e colpa dell’altro che non ha responsabilità nell’essere stato idealizzato, può essere salvifica, uno sprone a migliorarsi, a crescere, ad acquisire autostima in un percorso di crescita umana e culturale. Forse quasi mai si presenta una nuova occasione di mostrare alla persona un tempo idealizzata e tanto amata la maturità raggiunta e l’accresciuto valore, ma anche così è una grande opportunità. Se per un caso più unico che raro questo avviene, è un grande regalo del destino. E riuscire a conquistare l’amore, un tempo tanto desiderato, non ha niente a che fare col bisogno di risanare un narcisismo offeso, ma soltanto con la consapevolezza di aver conquistato qualcosa di veramente grande e importante. Perdoni, signor Galimberti, la presunzione d’insegnarle qualcosa, Lei insegna nel suo articolo le strade da non seguire dopo un’esperienza d’amore finita dolorosamente, ma ha mancato di suggerire una possibile via di arricchimento. Forse veramente non può più capire una passione che – giovanile o no – c’è sempre, E mi dispiace veramente per lei.   Lettera non firmata
La passione non è cieca come i più ritengono, ma, come scriveva Stendhal: “è visionaria”. Se l’amato non rientra nella visione, o come lei opportunamente la chiama, nell’idealizzazione che l’amante appassionata si è fatta di lui, l’abbandono o, come più comunemente lo s’intende, il tradimento finisce per essere inevitabile. Di solito in occasione di un tradimento le accuse sono ricolte al traditore e il tradito si raccoglie incupito nelle sue fantasie di vendetta (..). Oppure si manifesta nella svalutazione dell’altro, a suo tempo idealizzato, e la passione visionaria di un tempo, che non voleva vedere gli aspetti umbratili dell’altro, si traduce in un odio cieco che non alimenta l’anima ma la ammala. O ancora, si cerca rifugio in un cinismo cosmico, per il quale l’amore non esiste ed è solo l’inganno di un giorno. (..). Lei ha scelto un’altra via, quella dell’esame di sé, che – se non assume i toni dell’autoaccusa o dell’autocritica troppo crudele, ai limiti del masochismo, porta alla maturazione di sé che consente di abbandonare la beata innocenza infantile della fiducia incondizionata, per acquisire quella coscienza adulta. (..). Dalla sua lettera mi pare che lei abbia imparato che essere in una relazione d’amore non vuol dire annullarsi nell’altro, perché la relazione non è una fusione che annulla la nostra individualità, persa la quale finiamo col non sapere più chi siamo e, abbandonati dal nostro sentimento, veniamo invasi dal risentimento che ci acceca, quello sì, fino a far compiere a volte gesti atroci. Mentre quando lei percorre la via dell’auto-riconoscimento, come mi descrive nella sua lettera, scopre che l’amore non è possesso, e che nella vita a due che si rimpiange forse non si viveva l’amore, ma si cercava solo tutela e sicurezza, da cui l’abbandono ci emancipa. Se non cadiamo nelle vie più battute che sopra abbiamo descritto, è proprio l’abbandono che ci offre l’opportunità di una vera conoscenza di sé, che ci evita di vivere una vita a nostra insaputa. Sembra infatti che la vita preferisca chi ha incontrato se stesso a chi ha evitato di farlo per vivere al sicuro in una casa protetta.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 24 ottobre 2015 -

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