Tragedia di Marcinelle, 65 anni fa 136 minatori
italiani morirono in una miniera Belgio
Alle 8,10 dell'8 agosto 1956, nella miniera di carbone
di Bois du Cazier, scoppiò un incendio in cui persero la vita in tutto 262
lavoratori. I superstiti dell’incidente furono soltanto 13
Nel 1956, in Belgio, morirono 136 minatori italiani. Oltre ai nostri
connazionali persero la vita 95 belgi, 8 polacchi, 6 greci, 5 tedeschi, 5
francesi, 3 ungheresi, un inglese, un olandese, un russo e un ucraino, per un
totale di 262 minatori. La causa del disastro fu un vasto incendio che divampò
all’interno di una miniera di carbone di Bois du Cazier, dove sono
presenti ingenti giacimenti di carbone. Ricchezza mineraria che,
nell’immediato dopoguerra, richiamò nel Paese del Nord Europa immigrati da
tutto il Continente, in particolare dall’Italia.
Soccorsi molto lenti e difficili
Il fuoco
scoppiò alle 8,10 dell'8 agosto 1956 nel condotto che portava l’aria dentro i
tunnel sotterranei, provocando enormi colonne di fumo all’interno della miniera,
profonda oltre mille metri, che resero quasi impossibili i soccorsi. I
superstiti che furono tirati fuori nelle ore immediatamente successive
all’incidente, furono soltanto 13. Le ricerche, effettuate con manovre
imponenti, anche grazie all’aiuto di numerosi volontari, andarono avanti fino
al 22 agosto nel tentativo di trovare qualche superstite in un rifugio che si
trovava a 1.035 metri di profondità. Le preghiere dei famigliari però non
furono esaudite e i lavoratori rimasti incastrati nei cunicoli furono
dichiarati tutti morti. Secondo gli esperti, una delle criticità che portò al
divampare delle fiamme, fu la presenza di strutture in legno che puntellavano
le pareti dei tunnel. Un materiale che in molte altre miniere era ormai stato
sostituito da materiali ignifughi.
Miniera chiusa nel 1967
Stando ai lavori di un’inchiesta, commissionata dal ministero dell’Economia belga
subito dopo il disastro, l’incendiò scoppiò a causa dell’errato utilizzo degli
ascensori che portavano nel sottosuolo. Proprio quella mattina venne testato,
infatti, un nuovo protocollo che, messo in atto in maniera errata forse anche a
causa di incomprensioni linguistiche, provocò la rottura di diversi cavi
elettrici, telefonici e tubi. Uno di questi conteneva olio in pressione: le
scintille entrarono in contatto con il liquido infiammabile e diedero origine
all’incendio. Se la dinamica, ormai, pare piuttosto chiara, le varie inchieste
sull’incidente non hanno mai stabilito con certezza le responsabilità. Nei
processi che ne scaturirono l’unico condannato fu nel 1961 Adolphe Cilicis, un
ingegnere che dirigeva i lavori della miniera, mentre già nel 1959 i dirigenti
della miniera erano stati assolti dalle accuse di inadempienza. Dopo
l’incidente, il sito minerario riprese a lavorare circa un anno più tardi,
prima di cessare del tutto le attività nel 1967. Quello di Marcinelle è
considerato il terzo incidente minerario per il numero di morti italiani, dopo
quelli negli Stati Uniti del 1907 a Monongah (quasi 200) e del 1913 a Dawson
(146 vittime). Tra coloro che persero la vita in Belgio molti erano immigrati
italiani originari dell’Abruzzo e in particolare delle province di Chieti e
Pescara. Basti pensare che ventidue tra i minatori deceduti venivano da
Manoppello, un piccolo comune del Pescarese.
Protocollo di intesa italo-belga
Nell’immediato dopoguerra in Belgio l’estrazione
mineraria visse anni particolarmente prolifici. Inizialmente il governo aveva
puntato a sfruttare esclusivamente forza lavoro locale ma ben presto dovette
ricorrere a lavoratori prevenienti dall’estero per garantire la piena
efficienza delle miniere. In quest’ottica il primo ministro Alcide De Gasperi,
nel 1946, stipulò il protocollo di intesa
italo-belga del 23 giugno 1946, che prevedeva l’invio di 50mila operai, per gran parte non specializzati,
in Belgio in cambio di carbone a prezzo preferenziale. Nell’accordo agli
italiani veniva promesso un alloggio e la frequentazione di un corso di
formazione, ma una volta arrivati a Bruxelles dovettero fare i conti con una
realtà ben diversa.
Condizioni di vita proibitive e discriminazione
Per convincere gli operai italiani a trasferirsi, il
governo promosse una serie di campagne di comunicazione, soprattutto attraverso
manifesti affissi per le strade, che pubblicizzavano, tra i molti benefici del
nuovo lavoro, salari elevati, carbone, viaggi in ferrovia gratuiti e assegni
familiari. Ma coloro che accettarono trovarono condizioni di vita e lavorative
al limite della sopportazione, come ricostruisce l'agenzia AdnKronos. In molti,
infatti, vennero alloggiati nelle "cantines", le baracche, dove pochi
anni prima erano stati sistemati i prigionieri di guerra. Anche all’interno
delle miniere le condizioni non erano migliori, con turni particolarmente duri
e scarse misure di igiene e sicurezza. Non a caso, tra il 1946 e il 1955 quasi
500 operai italiani morirono per cause direttamente collegate al lavoro in
miniera. Infine, furono diversi anche i problemi di integrazione con la
popolazione locale che non vedeva di buon occhio l’arrivo dei migranti. Al
punto da negare, in gran parte dei casi, anche la locazione degli appartamenti,
con cartelli espliciti che recitavano: "ni animaux, ni etranger",
"né animali, né stranieri".
https://tg24.sky.it/cronaca/approfondimenti/tragedia-marcinelle
Nessun commento:
Posta un commento