“A volte per aiutare gli altri dobbiamo prima aiutare
noi stessi.” Stevie Ray Vaughan
Un Jimi Hendrix bianco
In tempi di cantanti poco intonati, di canzoni solo ed
esclusivamente ballabili e di rapper che degli strumenti musicali conoscono
solamente le diavolerie elettroniche e i suoni campionati, il nome di Stevie
Ray Vaughan è uno di quelli da appuntare all'interno della propria agenda delle
cose preziose.
Guitar hero quant'altri mai (in compagnia di illustri
colleghi, soprattutto neri, lui bianco del Texas, chiamato da alcuni il Jimi Hendrix bianco),
Stevie nasce il 3 ottobre 1954 a Dallas (Texas, USA), dimostrando fin da subito
un legame praticamente vitale con la musica e con la parte più spirituale e
"antica" di essa: il blues.
Si avvicina alla chitarra grazie
al fratello più grande, Jimmy, futuro chitarrista dei
Fabulous Thunderbids, il quale non solo gli offre notevoli spunti artistici in
quanto strumentista lui stesso ma lo introduce all'ascolto di tutte le leggende
di quel genere musicale. Nei momenti di relax, ma non solo, fra le mura di casa
Vaughan risuonano continuamente le note di maestri come Albert King, Otis Rush,
Lonnie Mack, per la delizia delle sensibili orecchie di Ray, sempre pronto a
rubare tutti i più piccoli particolari di quei mostri sacri.
Dopo le prime prove in duo con il fratello in qualche
classico complessino locale, si trasferisce ad Austin nel 1972 con intenti
seri, deciso a dimostrare quello che vale. Gira così come una trottola da un
gruppo all'altro, eternamente insoddisfatto e sempre alla ricerca di quel
"qualcosa in più" che fa la differenza e che solo il vero artista sa
percepire.
Fra i "Nightcrawlers" e "Paul Ray &
the Cobras" (con i quali nel 1974 registra "Texas Clover"), nel
1977 forma i "Triple Threat Revue" insieme alla cantante Lou Ann
Burton, poi diventati "Double Trouble" (il nome viene preso dal
titolo del mai dimenticato Otis Rush).
Nel 1979 la Burton decide di lasciare per
intraprendere la carriera solista e dal quel momento i Double Trouble diventano
un trio, con Stevie Ray Vaughan voce e chitarra solista,
Chris Layton batteria e Tommy Shannon al basso.
Stevie trova finalmente il suo equilibrio ideale e i
frutti di questo stato di grazia cominciano a farsi vedere.
Pochi sanno che il vero scopritore del chitarrista americano
è nientemeno che Mick Jagger.
Il carismatico leader dei Rolling Stones,
entusiasta delle sue esecuzioni, lo segnala al produttore Jerry Wexler che lo
porta subito al Festival Jazz di Montreux nel 1982. L'esibizione ha tale
risonanza che David Bowie decide
di ingaggiarlo per la registrazione del suo disco "Let's dance" e per
il tour mondiale legato all'album; a metà tour Vaughan, poco soddisfatto dal
genere di musica a cui, nel bene e nel male, Bowie lo
costringe (e che non sente adatto a sé), decide di lasciare.
Grazie al produttore John Hammond Sr, nel 1983 incide
finalmente il suo primo album "Texas Flood". Vaughan ha 28 anni ed è
in piena maturità artistica: i suoi assoli sono travolgenti e cristallini, la
padronanza dello strumento è di una qualità rara a vedersi. Anche la sua voce
non sfigura affatto, rivelandosi adattissima per quel genere senza fronzoli che
è il Blues.
L'anno dopo è la volta di "Couldn't stand the
weather", il secondo album che, come spesso accade, genera molte attese.
L'accoglienza è ottima e, anzi, supera ogni più rosea aspettativa: il disco
entra in classifica nei primi trenta diventando disco d'oro. In questo album
l'influenza dell'immenso Jimi Hendrix è
determinante e la versione di "Voodoo Chile (Slight Return)" non è la
solita imitazione Hendrixiana
ma è un vero capolavoro.
Il passo successivo è costituito da "Soul To
Soul" (1985), che vede l'inserimento nel gruppo del tastierista Reese
Wynans considerato come il quarto Double Trouble. In questo periodo, all'apice
della bravura e della fama, Stevie Ray Vaughan partecipa come "guest
star" anche ad album di altri artisti come Johnny Copeland ("Texas
Twister"), James Brown ("Gravity"),
Marcia Ball ("Soulfull Dress") e con uno dei suoi idoli,
Lonnie Mack (per "Strike Like Lightning").
L'esibizione di Montreux incisa sull'album "Blues
Explosion" gli fa vincere un prestigioso "Grammy". Purtroppo un
grave elemento di disturbo viene a inquinare la prolifica vita artistica del chitarrista:
l'abuso di alcool e droghe, i vizi occulti che da tempo lo affliggono.
Durante una delle sue solite, intense esibizioni viene
colto da collasso e ricoverato in ospedale. La paura è tanta e Stevie dovrà
affrontare un lungo periodo di disintossicazione.
Il ritorno in studio nel 1989 coincide con l'uscita di
"In step" con il quale, grazie anche al record di vendite che supera
il milione di copie, vince il suo secondo Grammy.
Nel 1990 collabora nuovamente con il fratello al disco
di Bob
Dylan "Under the red sky"; in
seguito incidono il deludente "Family style".
Il 27 agosto 1990, la tragedia: dopo aver partecipato
ad un concerto con Eric
Clapton, Robert Cray e Buddy Guy, sale su un
elicottero che lo dovrebbe portare a Chicago ma subito dopo il decollo, causa
la fitta nebbia che imperversa sulla zona, il velivolo si schianta contro una
collina. Questa tragica fatalità pone fine alla breve vita di Stevie Ray
Vaughan, quella vita che lui aveva così maltrattato con i suoi eccessi.
La morte prematura lo proietta nella leggenda, ma
priva irrimediabilmente la musica di uno dei suoi interpreti più accesi e
sensibili.
E' da ricordare il bellissimo brano strumentale
"SRV" che Eric Johnson, un altro mostro delle sei corde, ha dedicato
a questo artista dopo la sua scomparsa.
https://biografieonline.it/biografia-stevie-ray-vaughan
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