Un ottimo modo per scoprire l'universo esistenziale e creativo del regista
italiano Nanni Loy, ingiustamente tra i meno ricordati del cinema nostrano
dagli anni Sessanta agli Ottanta, potrebbe essere forse quello di assistere
all'intenso film documento "Nanni Loy, regista per caso", realizzato
dagli stessi ritrattisti di Nazzari e Monicelli, ossia i sardi Carmen Nazzaro e
Stefano Podda.
Attraverso una panoramica sulle scene di film come "Scugnizzi" o
di programmi televisivi come "Specchio Segreto", insieme con le
immagini, compresa quella scattata con Anna Magnani che più spesso
ritroviamo nelle mostre a lei dedicate e le testimonianze di chi con lui aveva
condiviso molto, tale preziosa raccolta ci racconta della carriera per caso di
Loy, dell'impegno politico e civile che lo animava e delle dimensioni morale ed
ironica, di cui tutta la sua opera sembra segnata. Non lascia inoltre indietro
i temi più cari al regista, quali quello dell'emarginazione sociale, della
lotta per la Resistenza e dell'amore viscerale per Napoli nonostante le origini
di aristocratico sardo, che nulla hanno a che vedere con la città partenopea.
Nanni Loy, “regista per caso”
(Cagliari, 23 ottobre 1925 – Fregene, 21 agosto 1995)
Nanni Loy, pseudonimo di Giovanni Loy nasce a Cagliari, il 23 ottobre del
1925 e muore a Fregene, piccolo comune della provincia di Roma, il 21 agosto
del 1995. Esordisce la prima volta con il film "Parola di
ladro" (1957), in co-regia con Gianni Puccini, altro noto regista
e sceneggiatore italiano con cui firma l'anno successivo il loro secondo
lavoro, intitolato "Il marito" (1958). È tragedia comica di un ladro
gentiluomo e dagli echi Hollywoodiani, il primo e, commedia con
protagonista Alberto Sordi, il secondo. Poi Loy
gira nel biennio successivo l'"Audace colpo dei soliti ignoti"
(1960), prima di approdare al successo e ai primi riconoscimenti del partigiano
"Un giorno da leoni" (1961) e di "Le quattro giornate di
Napoli" (1962). Sono film ispirati alla guerra e alla drammatica rivolta
di cui i napoletani furono protagonisti a seguito di questa, il 28 settembre
del 1943, quando l'intera popolazione con l'apporto di militari fedeli al Regno
del Sud, riuscirono a liberare la città campana dall'occupazione delle forze
armate tedesche.
È ammirevole come, nonostante il periodo di boom economico in cui le
pellicole vengono lanciate, il regista si prodighi per riportare
l'attenzione degli italiani sulle tematiche da poco superate su cui tanto c’è
ancora da discutere. Qualche anno dopo, esattamente nel 1965, Loy, che
si occupa da qualche tempo anche di televisione, raggiunge il massimo della
popolarità con la serie "Specchio Segreto", che passa alla storia
come il primo programma di candid - camera del nostro paese di cui Nanni Loy è
autore e attore. Gira subito dopo "Il padre di famiglia" (1967),
con Nino Manfredi, Ugo Tognazzi e Totò che, fatalità, ne gira la scena
del funerale appena due giorni prima di spegnersi, e "Detenuto in attesa
di morire" (1971), che per la prima volta, deputa ad un film il compito di
denunciare senza mezzi termini tutta l'arretratezza del sistema giudiziario e
carcerario italiano di quel periodo. È qui che il grandissimo Alberto Sordi interpreta il
ruolo drammatico che gli vale l'Orso d'Oro al Festival di Berlino dell'anno
successivo.
Nanni Loy, 'sistema il cinema e torna'
Non ne viene smentito lo spirito analitico e indagatore nemmeno in
"Sistemo l'America e torno", interessante ritratto dell'America
razzista di quegli anni. Il 1976 è invece l'anno del più leggero di
"Signore e signori, buonanotte" e degli episodi diretti in
"Basta che non si sappia in giro" e "Quelle strane
occasioni". Si concentrano dunque nel decennio successivo una
serie di altri titoli che ne riconfermano lo stile teso a rappresentare la
realtà non solo criticamente, ma anche con tenerezza e ironia, un po’ alla
maniera dei maestri De Sica e Gassman. Si tratta dei primi tre "Cafè
Express" (1980), "Testa o croce" (1982) e "Mi manda
Picone" (1984) in cui un giovanissimo Pino Daniele firma accanto a Tullio
De Piscopo le musiche e dei più rinomati "Amici miei atto III"
(1985), "Scugnizzi" (1989) e "Pacco, doppio pacco e
contropaccotto" (1993).
Il terzo della serie di "Amici miei" è una catastrofe
annunciata già nella sceneggiatura, la critica giudica netto lo scarto con gli
altri due e il pubblico non gradisce. "Scugnizzi", invece, cui nel
2002 si ispirerà la versione musical "C'era una volta...Scugnizzi" di
Enrico Vaime, rappresenterà una delle esperienza più significative del proprio
percorso cinematografico e umano. Il film narra le vicende di alcuni dei
giovani detenuti del riformatorio di Nisida, impegnati nella realizzazione di
uno spettacolo teatrale.
Nanni Loy, un 'candido eroe'
Nanni visita insieme a Leo Gullotta, che è l'attore sotto
la cui guida, i ragazzini imparano a recitare, le carceri minorili di Napoli.
Entrambi rimangono scioccati, la camorra e il disagio giovanile sono
ovunque, ma è il regista che ne soffre più di tutti fino a risentirne
dal punto di vista dello stato di salute. "Fu un esplosione dentro di
noi", dichiarerà più volte Gullotta. L'ultima pellicola per il grande
schermo è, come abbiamo detto "Pacco, doppio pacco e contropaccotto",
strutturato ad episodi e ambientato nella Napoli di fine anni Novanta, con i
suoi mal costumi, la filosofia dell'arrangiarsi e del tirare a campare. I
complimenti per la capacità propria della sua regia di dipingere i tratti
caratteristici dell'italiano medio non soltanto per far ridere ma anche per far
pensare e far crescere culturalmente il suo pubblico, si sprecano. Il fine
educativo del suo operato non è mai secondario, le lezioni che spesso
impartisce al Centro Sperimentale ne sono la prova. La stessa idea di cinema
come servizio da rendere al pubblico si trasferisce inevitabilmente
nell'attività di autore televisivo.
Nasce probabilmente con questo intento e con quello di diffondere la
grandezza letteraria di Italo Calvino, la versione catodica in onda sulla Rai
di "Marcovaldo" (1970), dall'omonimo romanzo dell'illustre scrittore.
“Un candido eroe, con la faccia stralunata e triste" di Nanni Loy, che
spiegherà la sua partecipazione alla trasmissione come attore, dichiarando:
"Faccio l’attore per imparare a farlo, perché non lo so fare, perché
recitare significa perfezionare o addirittura conquistare uno strumento in più
nell'attività di regista; gli stessi Chaplin e Tatì sono nati come registi da
attori, origini che si riconoscono".
Una lunga carriera dunque, focalizzata sull'attenzione al prossimo
soprattutto quando vittima delle angherie del vicino. Un uomo che il direttore
della fotografia Cirillo che con lui lavorava su vari set, definirà come un
"sincero, vero e autentico democratico" con un rispetto per il
lavoro, la personalità e se stesso senza pari. Un artista e un grande uomo che
vale la pena conoscere per imparare che senza la fatica, la dedizione e una
visione quasi artigianale del fare, poco di buono si potrebbe creare nel mondo
del cinema come nella vita. (Cecilia Sabelli)
https://www.ecodelcinema.com/nanni-loy-biografia-filmografia.htm
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