Il furto della Gioconda
Per meglio capire gli aspetti che circondano il furto
della Gioconda di Leonardo da Vinci, occorre contestualizzare l'episodio e la
vita di quel periodo. La Francia e in particolare Parigi, già dai primi del
'900, stà vivendo un grande momento di "risveglio" culturale e questo
fermento lo si respira non solo nei salotti buoni, ma anche per le strade, nei
cafè, come il famoso Cafè de Paris, oltre che nei centri
culturali e nello stile delle opere architettoniche di quel periodo.
1900, dal
14 aprile al 10 novembre
Agli inizi
del secolo Parigi organizzò un ambizioso programma di esposizione
Universale, L'Exposition de Paris 1900, e fu un grande
successo che portò in città oltre 50 milioni di visitatori.
1900, 19
luglio - la grande metropolitana
Dopo dieci
anni di lavori, viene inaugurata in occasione dell'Esposizione, la prima linea
della metropolitana di Parigi tra le stazioni di Vincennes et la Porte
Maillot, e da subito risponde alle necessità del grande flusso di viaggiatori e
ospiti.
1911,
Parigi
In questo
periodo Parigi è considerata una delle mete più importanti d'Europa, città che
è stata in grado di evolversi e capace di fare da culla ai nuovi mutamenti
ideologici, politici e artistici. E' una città di riferimento per l'arte,
la cultura e il rinnovamento che sembrano essere le parole d'ordine dell'inizio
di questo secolo
Tour
Eiffel
Con il
progetto dell'ingegnere Gustave Eiffel, nasce il grande progetto della Torre
Eiffel.
I lavori
cominciarono il 7 dicembre 1887 e si conclusero il 15 marzo 1889 offrendo ai
cittadini l'immagine dell'imponenza e della sua straordinaria altezza per
l'epoca, a simboleggiare la grandezza parigina con i suoi 312 mt.
Ma oltre alla
torre Eiffel Parigi può vantare una grande costruzione frutto di ingegno e
simbolo della cultura parigina e internazionale: Il Museo dell'Louvre di
Parigi.
1190
Il museo
nasce come fortificazione su volere di Filippo Augusto al momento della sua
partenza per la Crociata del 1190, e aveva lo scopo di proteggere la riva
destra della Senna.
Il Louvre perse
la sua funzione di residenza reale all’epoca di Luigi XIV che spostò la corte
nel nuovo palazzo di Versailles e nell’edificio, a partire dal 1793, fu realizzato il Muséum
Central des Arts.
1910
In questo momento storico presso il Museo
dell'Louvre sono esposte oltre 3.000 opere di pittori.
Furto della Gioconda-Monnalisa
1911,
Lunedi 21 agosto
Tutto
cominciò presso il museo dell'Louvre di
Parigi, luogo deputato all'esposizione e alla catalogazione delle opere
d'arte.
Chi era
Vincenzo Peruggia?
Nasce l'8
ottobre del 1881 Vincenzo Pietro Peruggia nel comune di Dumenza, più
precisamente a Trezzino, piccolo borgo di 300 abitanti in provincia di Varese.
La sua è
una famiglia assai modesta, di grandi lavoratori. Il padre Giacomo, era un
operaio muratore molto abile nel suo lavoro, mentre la madre Celeste si
occupava di piccoli lavori di sartoria e accudiva i suoi cinque figli: quattro
maschi e una femmina.
Il giovane
Vincenzo già dalla tenera età inizia a seguire il padre sui piccoli cantieri
nel Varesotto e apprende le prime tecniche di imbiancatura delle pareti e
impara la verniciatura dei metalli e sembra appassionarsi al lavoro tanto che i
lavori di rifinitura vengono dal padre affidati a lui.
E' un giovane dal
carattere piuttosto affabile e fa amicizia facilmente, il suo sogno è quello di
lasciare il piccolo paese, iniziare a viaggiare per vedere le grandi città del
mondo.
1897
Il padre si trova a Lione facente parte
di una ditta che prese l'appalto per alcuni piccoli edifici e decise di portare
con se il giovane figlio Vincenzo che tanto desiderava conoscere le grandi
città.
1901
Secondo testimonianze dell'attendenza
militare del comprensorio di Varese, Vincenzo Peruggia fu riformato dal
servizio militare obbligatorio in quanto di costituzione fragile e di poca
capacità polmonare.
1907
Vincenzo ha compiuto 27 anni e non vuole
seguire le orme del padre. Viene a conoscenza che dalla Val Veddasca e
dalla Val Dumentina, luoghi del suo paese, partirono per la Francia
diversi emigranti che sembrerebbe abbiano trovato fortuna e lui, che già andò a
Lione qualche anno prima col padre, conosce bene cosa significa la grande
città. Decide di affrontare il padre e la madre dicendo che sarebbe partito per
Parigi e cosi fu.
Provò i primi mesi a cercare un lavoro
e, visto che sapeva imbiancare e verniciare e aveva appreso i primi rudimenti
della decorazione, la fortuna non gli voltò le spalle.
Si trovò a Parigi e riuscì ad inserirsi in fabbrica grazie all'appoggio di
alcuni suoi connazionali emigrati già da tempo in città, e mantenne i rapporti
quasi ogni mese con la famiglia attraverso lettere dove inseriva soldi per
aiutarli nel loro sostentamento.
Tutto sembrava procedere al meglio,
quando dopo pochi mesi di lavoro, fu colpito da quella che ai tempi era
conosciuta come saturnismo, una grave malattia dovuta
all'esposizione professionale accidentale al piombo. Il nome deriva da
"Saturno", dio romano (Crono per i greci) associato dagli
alchimisti a questo elemento: si trattava di una malattia dovuta
all'intossicazione da piombo, metallo contenuto nelle vernici utilizzate dagli
imbianchini.
Nascose alla famiglia questa malattia
che lo costrinse dopo poco tempo ad abbandonare il reparto di verniciatura e
riuscì attraverso il "passaparola" a farsi assumere dalla ditta del
signor Gobier, una azienda di prestazioni d'opera che appaltava grandi lavori cittadini.
E cosi venne inserito nella squadra di pulizie con il compito di occuparsi
della pulitura delle cornici e dei cristalli presso un grande cliente: il museo
dell'Louvre di Parigi.
Poiché la stanza nella quale viveva era
molto umida, temendo che l'opera potesse danneggiarsi, Peruggia la affidò al
compatriota Vincenzo Lancellotti, che abitava nello stesso stabile. Trascorso
un mese, dopo aver realizzato una cassa in legno nella quale custodire il
dipinto, lo riprese e lo tenne con sé.
La sua abitazione
Si trattava di una dimora molto spoglia,
con piccolo fornello e qualche sedia, un tavolo, un letto e un armadio, posta
al secondo piano di una vecchia palazzina in rue de l'Hopital
Saint-Louis dove aveva una stanza in affitto in una pensione sulla strada che
porta all'ospedale di Saint-Louis.
La zona dove abitava il
Peruggia era contornata da zone agricole coltivate, piuttosto
lontane dal centro della città, e il quartiere era abitato da molti immigrati,
non solo italiani, in cerca di fortuna. Poche comodità e molti disagi erano
parte della comunità, dove tra l'altro, vi era un cimitero comune dove venivano
messi i cadaveri delle persone che non potevano permettersi un funerale e una
sepoltura dignitosa. Scarsi i servizi di trasporto pubblico che garantivano il
collegamento col centro e l'illuminazione scarsa e le condizioni igieniche
delle fogne, facevano proliferare la criminalità e le malattie.
Proprio sotto il letto decise di
nascondere la Gioconda, che nascose per quasi due anni, tra una valigia e un
baule, avvolta in due coperte, convinto fosse il luogo più ideale.
La prima notte del furto, cosi come
affermò dalle deposizioni successive in tribunale, la passò praticamente
sveglio a causa dell'agitazione e al ripensamento del suo gesto, senza riuscire
a prendere sonno, sonno che arrivò solo verso l'alba.
1911, Lunedi 21 agosto
Vincenzo Peruggia, è un addetto alle
pulizie e dipendente del museo, e proprio da questo giorno comincia quella che
diventò la storia che legherà la Gioconda al suo nome.
Cronaca del furto
Secondo alcune testimonianze il Peruggia
si nascose in una cameretta buia del Louvre e alla chiusura tolse la Gioconda dalla
cornice e poi scappò da una porta sul retro che aprì con un coltellino
svizzero.
Peruggia tolse la Gioconda dalla
cornice nel Salon Carré e poi la arrotolò e la nascose sotto la parte sinistra
della giacca e percorse il corridoio passando al fianco delle grandi finestre
per poi giungere la scala che lo portò dritto nella sala dei Sept
Mètres lasciando in uno stanzino il resto della cornice e del vetro e
si diresse verso una delle porte sul retro che aprì con un coltellino.
Una volta guadagnata l'uscita, il
Peruggia prese l'autobus ma dopo una sola fermata, accortosi di aver preso
l'autobus in direzione opposta alla sua abitazione, decise di scendere e
chiedere un passaggio alla prima macchina che lo portò in località rue
de l'Hopital Saint-Louis dove abitava.
22,
agosto: Il giorno dopo il furto
Vincenzo
Peruggia si recò al lavoro in ritardo, causa il fatto di essersi svegliato di
soprassalto. Accortosi del ritardo, si vesti velocemente e arrivò, malgrado
tutto, in forte ritardo sul posto di
lavoro. Si giustificò con i superiori dicendo di aver trascorso la serata con
amici e di aver bevuto qualche birra di troppo.
All'apertura del museo gli impiegati videro che
all'interno della teca non vi era la Gioconda, ma questo non destò subito
allarme, in quanto era abbastanza consueto da parte degli addetti ai lavori,
intervenire sulle opere e spostarle.
Infatti,
su ordine della direzione museale, vi era un fotografo incaricato di creare un
catalogo delle opere e il fatto che la Gioconda non fosse al proprio posto,
fece supporre a tutti che si trattasse di un semplice spostamento per creare la
fotografia senza cornice.
Passarono
poche ore e alcuni degli impiegati si rivolsero al direttore circa lo
"spostamento" del quadro, direttore
che sobbalzò alla notizia: lui non aveva dato nessun incarico di rimozione!
Fu
chiamata velocemente la polizia che accorse in breve tempo ordinando di
chiudere tutti gli accessi al museo, compresi quelli per riservati al
personale: furono controllati tutti i piani, le stanze chiuse dove giacevano
altre opere, le cantine, gli sgabuzzini, insomma... Ogni anfratto del museo
venne controllato nei minimi dettaglia, ma.. Nulla, la Gioconda non si trova!
Dopo un
consulto tra i vertici della polizia e il direttore, si decise di mantenere
ancora per qualche ora, giusto il tempo di capire se si trattasse di un furto o
di un semplice spostamento, ma la notizia sfuggi di mano agli inquirenti che,
nel giro di poche ore, si trovarono i giornalisti davanti agli accessi del
museo.
Ore 09:00 martedì 22 agosto 1911
Risulta che il Peruggia uscì di casa,
passando dalla portineria scambiando due parola con la portinaia (più
tardi si capì che il Peruggia stava costruendosi un alibi). Prese il suo
autobus e arrivò, con qualche minuto di ritardo, sul posto di lavoro, cioè al
museo dell'Louvre.
Fece di tutto per farsi notare dal
custode del museo, facendo finta di inciampare urlando ad un distratto ciclista
che gli era passato troppo vicino, proprio davanti al portone del museo,
destando cosi il portinaio di guardia che gli chiese cosa stesse
succedendo (anche questa fu una mossa che servì a giustificare l'orario
di ingresso nel museo, quando cioè la Gioconda era già sparita, creandosi di
fatto un alibi).
Dopo questo episodio, il Peruggia salutò
il custode e si giustificò per questo leggero ritardo dovuto alla sera
precedente avendo fatto i balordi fino a notte tarda con gli amici.
Ore 10:30, martedì 22 agosto 1911
Venne registrato l'ingresso di due
artisti presso il museo: si trattava di Louis Béroud e Frederic Languillerme.
Chi erano costoro?
Louis Béroud pittore che lavora
nell'atelier di Léon Bonnat per studiare pittura e Frederic
Languillerme anch'egli pittore e piccolo mercante
d'arte che amava il ritrattismo, decise di seguire Louis Béroud.
Entrambi si diressero al Louvre e giunti
nel salone Carré dove era normalmente esposta la Gioconda di Leonardo da
Vinci, si accorsero che vi era solo la parete vuota: il quadro non c'era
più.
Loro erano li per quello, per provare a
dipingerla e l'idea che non fosse al suo posto, li lasciò interdetti.
Per qualche minuto provarono ad
ipotizzare che fosse stata spostata e che quindi il direttore del museo ne
fosse a conoscenza e pensarono bene di chiedere a lui il luogo di collocamento
della Gioconda.
Proprio nel grande corridoio, sentono i
passi del direttore che cammina verso di loro e dopo averlo cordialmente
salutato, gli chiedono dove avessero ricollocato il quadro e se potevano
iniziare a dipingere la copia. Il direttore si stupì in quanto non era stato
avvisato di eventuali "spostamenti" e chiese subito conto agli
attrezzisti addetti alla manutenzione delle sale: nessuno sapeva nulla. Il
direttore si rivolse subito a Monsieur Poupardin, il responsabile della
sicurezza interna del museo che, anche lui, cadde dalle nuvole. Cosa diavolo
era successo?
Ore 13:30, martedì 22 agosto 1911
Passarono solo pochi minuti, sono circa
le 13:30, quando il direttore del museo monsieur Homolle, il sottosegretario di
Stato alle Belle Arti, il capo della polizia ed il prefetto di Parigi, Louis
Lépine, si riunissero in tutta fretta presso gli uffici interni del museo per
cercare di capire la questione.
Le
ipotesi del collocamento di Vincenzo Peruggia
Secondo documentazione risultata
controversa, non esistono versioni ufficiali circa le ore precedenti al furto e
si fa riferimento a quanto ricostruito nel primo processo d'Appello presso il
tribunale di Firenze.
Il Peruggia infatti davanti ai Giudici
indicò e ritrattò le due versioni:
1^versione:
Peruggia, per dotarsi di un alibi, la domenica notte,
organizzò una serata in un caffè con i suoi amici, fece molto tardi, si finse
ubriaco e addirittura si fece multare per schiamazzi notturni.
Andò a dormire in attesa che arrivassero
le sette del mattino, uscì di casa senza farsi notare da nessuno, entrò nel
Louvre e, sapendo di trovare il custode addormentato, si diresse verso il Salon
Carrè, staccò dalla parete il quadro di Leonardo, tolse la cornice e infilò
la tela dentro il suo giubbotto.
L’imbianchino conosceva molto bene le
abitudini del personale del museo, tutte le possibili vie di fuga che però non
usò. Infatti, con tutta calma si diresse verso l’uscita e chiese persino aiuto
a un idraulico perché gli aprisse il portone. In un baleno fu così su Rue de
Rivoli e poco dopo nel suo appartamento, dove nascose la Monna Lisa sotto il
tavolo della cucina.
2^ versione:
Si nascose presso un piccolo stanzino
utilizzato per il deposito delle scope e degli strumenti di pulizia posto al
secondo piano nell'ala est del Museo. Fu nascosto tutta la notte fino al
mattino, il giorno del furto, dove una volta impossessatosi della Gioconda e
aver lasciato il vetro e la cornice in un altro stanzino, posto questa volta al
primo piano, forzando con un coltellino svizzero al serratura della porta di
servizio esterna del Museo, riuscì a dileguarsi senza farsi notare.
Le indagini hanno inizio
La prefettura francese iniziò
immediatamente le indagini e lo fece in modo serrato creando una squadra
investigativa composta da 300 uomini che ebbero il compito di controllare tutte
le botteghe degli artisti, i loro luoghi di frequentazione, interrogare
falsari, rigattieri e rivenditori di oggetti d'arte.. Insomma, si mise in moto
una macchina tale che nulla consentiva di essere lasciato al caso.
Vennero portati in Gendarmeria oltre
1300 persone per essere interrogate e tutto procedette come si trattasse di una
catena di montaggio: tutti in fila, uno dopo l'altro, entrarono nella stanza
per un lungo interrogatorio e tra questi, con maggior discrezione, vennero sentiti
anche il direttore Théophile Homolle responsabile del museo dal 1904-1911 e
Eugène Pujalet che prenderà servizio come sostituto già nel 1911.
Nel mirino dei gendarmi vi furono anche
artisti assai noti dell'epoca, come ad esempio Pablo Picasso che aveva il suo
atelier proprio in città.
Fu anche accusato il poeta
Guillaume indicato dal suo ex amante dal quale era stato da poco abbandonato,
un certo Honoré Géri Pieret, che lo accusò, insieme a Pablo
Picasso, grande amico di Guillaume, di aver ricettato alcune statuette
rubate dal museo tempo prima. Fu lo stesso Picasso che coniò la
famosa battuta “Amici vado al Louvre, serve qualcosa?”.
Guillaume fu preventivamente messo agli
arresti per quattro notti in quanto sospettato proprio insieme a Picasso,
di sapere qualcosa circa il furto della Gioconda.
Passarono i giorni e in tutta Parigi ma
anche in tutta la Francia si cercò di fare terra bruciata intorno agli artisti,
perché secondo la polizia, proprio gli artisti non poterono non sapere e quindi
furono i primi sospettati di furto e di possibile ricettazione.
La Gendarmeria non tralasciò, come
consuetudine in questi casi, anche di controllare gli orari di ingresso e di
uscita di tutti i dipendenti del museo e, tra questi, anche l'abitazione di Vincenzo
Peruggia, ma nulla venne trovato.
1913, 11 dicembre
Nell'autunno del 1913 il
collezionista d'arte fiorentino Alfredo Geri decise di organizzare una
mostra nella sua galleria chiedendo ai privati, tramite un annuncio sui
giornali, di prestargli alcune opere.
Il collezionista ricevette una lettera
proveniente da Parigi, lettera che portò in calce la firma di un fantomatico
Monsieur Léonard V. Nella lettera vi fu una particolare richiesta:
quella di vendere la Gioconda a patto che il compratore garantisse che restasse
su territorio italiano senza mai più farla uscire dell'italia.
Alfredo Geri decise di parlarne con
Giovanni Poggi, allora direttore della Regia Galleria di Firenze,
decidendo di dar seguito alla richiesta di Monsieur Lèonard V.
Nella lettera vi erano gli estremi per
il contatto e si procedette affinchè Firenze fosse il luogo di incontro per
vedere realmente il quadro.
Venne fissato l'appuntamento presso
l'albergo Tripoli in via Panzani, luogo scelto Monsieur Lèonard V,
probabilmente temendo di essere fermato in città con un opera di quel calibro.
Alfredo Geri e Giovanni Poggi si
presentarono all'appuntamento puntuali e, finalmente si palesò il misterioso
Monsieur Lèonard V.
Apparve ben vestito con capelli curati e
baffetti all'insù e chiese subito di accomodarsi mentre da un armadio, con
attenzione, tirò fuori un cilindro avvolto da alcune coperte e le poggiò sul
tavolo: con delicatezza stese il cilindro di cartone e apparve il dipinto: si
trattava della Gioconda.
Geri e Poggi, alla vista della tela, rimasero senza parole: si chinarono verso
la tela per osservarla meglio e il Poggi dalla borsa che aveva con sè, tirò
fuori una lente di ingrandimento e chiese il permesso di esaminarla nel
dettaglio, permesso che gli fu concesso.
Sia Geri che Poggi ebbero la sensazione
che monsieur Lèonard V. non fosse in realtà davvero francese, in quanto il suo
accento tradiva una lieve declinazione italiana ma fecero finta di nulla,
concentrandosi sulla provenienza e autenticità della tela.
Molte furono le domande a monsieur Leonard V, ma le risposte furono piuttosto
fumose circa la provenienza.
Giovanni Poggi una volta osservata la tela con la sua lente, ritenne di dover
approfondire l'esame e chiese di poter avere la tela a disposizione sino
all'indomani mattina, giorno nel quale avrebbe riconsegnato la tela a monsieur
Lèonard V, con la promessa di riconsegnarla nelle stesse condizioni. Secondo
Poggi questo esame che avrebbe dovuto fare presso il suo studio con alcuni
esami più approfonditi, avrebbe consentito di verificare in modo assoluto
l'autenticità dell'opera e quindi, procedere ad ogni tipo di accordo tra loro.
Monsieur Lèonard V, non oppose resistenza e concesse di consegnare la tela solo
dopo averla adeguatamente protetta con un paio di teli in cotone e stoffa. Si
salutarono cordialmente con la promessa di incontrarsi il mattino successivo
presso l'albergo.
Il ritrovamento della Gioconda
Durante la notte i gendarmi dei
carabinieri avvisati poco prima da Geri e da Poggi che indicarono l'Albergo,
fecero irruzione nella stanza di monsieur Lèonard V e, senza troppi
complimenti, lo trasferirono nei locali dell'attendenza per essere subito
interrogato.
I gendarmi si trovarono innanzi un uomo minuto che sembrava spaesato e vollero
conoscere il motivo per il quale si trovava in possesso dell'opera di Leonardo
ad Vinci!
Non ci volle molto tempo per capire la
vera identità che si celava sotto il pseudonimo di monsieur Lèonard V, e grazie
a quel parlar francese in modo zoppicante e alla paura di finire nelle patrie
galere, finalmente ammise il suo vero nome: " Sono italiano come voi e il
mio nome e Vincenzo, Peruggia Vincenzo e sono un decoratore".
A questo punto cominciarono a diradarsi le incertezze e i gendarmi convinsero
il Peruggia a raccontare tutta la storia che lo portò in Firenze insieme
all'opera, oramai ricercata in tutto il mondo.
Lui spiegò di essere entrato in contatto con la Gioconda avendola ricevuta da
una persona che conosceva in quanto lavorava con lui al museo dell'Louvre di
Parigi, ma non venne creduto e messo alle strette lo convinsero a liberarsi di
quell'enorme fardello e a dire tutta la verità:
"
la Gioconda non è dei francesi che l'hanno rubata a noi italiani e quindi mi
sembrava giusto che torni in Italia"
Il Peruggia fece riferimento al fatto
che Napoleone Buonaparte durante la sua discesa in Italia per la campagna di
guerra nel 1796, si impossessò di centinaia di opere d'arte di artisti come il
Tintoretto, Gonzaga, Botticellie della Gioconda dello stesso Leonardo e in
effetti andò proprio cosi.
Bisogna aggiungere, però, che la
presenza della Gioconda nelle collezioni reali francesi è
attestata fin dal ’600, probabilmente portata a Parigi dallo stesso
Leonardo. Infatti nel testamento di Leonardo che fece poche settimane
prima di morire il 2 maggio del 1502, lasciò la sua eredità composta da molte
opere e scritti personali al suo allievo e amico Francesco Melzi che dapprima
le conservò presso la residenza della casa di famiglia a Vaprio d'Adda, per poi
essere disperse e vendute, come molti dei suoi scritti, a parenti e a
compratori.
La verità
nel testamento di Leonardo
Prima di
morire il 2 maggio 1519 Leonardo si trovava in Francia, alla corte di Re
Francesco I, che lo volle in qualità di Ingegnere e architetto di corte per
rilanciare i fasti di una nuova Francia.
1^ teoria:
Alcuni
studiosi affermano che il Peruggia non si fece persuaso che la Gioconda fu
donata dallo stesso Melzi a Francesco I, proprio per volontà di Leonardo da
Vinci, che la regalò ringraziandolo per la sua accoglienza nell'ultimo periodo
francese e probabilmente questo fu il gesto di ringraziamento per i servigi
ricevuti.
2^ teoria:
Altre
fonti storiche indicano che sia stato l’allievo ed erede di Leonardo, Gian
Giacomo Caprotti, detto il Salaino, e non Francesco Melzi, a cedere a re
Francesco I alcune opere di Leonardo, tra le quali appunto la Gioconda.
Vincenzo
Peruggia non conosceva molto Leonardo da Vinci se non per i discorsi sentiti
quando si trovava a lavorare al museo, ma ne ammirava le gesta di uomo
poliedrico e rappresentante dell'Italia nell'arte e nella cultura, quell'Italia
nella quale non si era più ritrovato, ma che in fondo, amava come il primo
giorno di vita.
Ma il
Peruggia tutto questo non lo sapeva e credeva fermamente che la Gioconda fosse
stata trafugata e portata su suolo francese e per questo la Francia avrebbe
dovuto restituire l'opera agli italiani.
testamento
originale di Leonardo da Vinci
stilato
davanti al notaio
XXV.
[28
Aprile 1519].
Sia manifesto ad ciaschaduna persona presente et
advenire, che nella corte del Re nostro signore in Amboysia avanti de noy
personalmente constituito Messer Leonardo de Vince pictore del Re, al presente
comorante nello locho dìcto du Cloux appresso de Amboysia, el qual considerando
la certezza dela morte e l’incertezza del hora di quella, ha cognosciuto et
confessato nela dicta corte nanzi de noy nela quale se somesso e somette circa
ciò havere facto et ordinato per tenore dela presente il suo testamento et
ordinanza de ultima volontà nel modo qual se seguita.
Primeramente el racomanda l’anima sua ad nostro Signore Messer Domine Dio,
alla gloriosa Virgine Maria, a Monsignore Sancto Michele, e a tutti li beati
Angeli Santi e Sante del Paradiso.
Item el dicto Testatore vole essere seppelito drento la giesia de sancto
Fiorentino de Amboysia et suo corpo essere portato lì per li capellani di
quella.
Item che il suo corpo sia accompagnato dal dicto locho fin nela dicta giesia
de sancto Fiorentino per il colegio de dicta giesia cioè dal Rectore et Priore,
o vero dali Vicarii soy et Capellani della giesia di sancto Dionisio
d’Amboysia, etiam li Fratri Minori del dicto locho, et avante de essere portato
il suo corpo nela dicta chiesia, esso Testatore, vole siano celebrate ne la
dicta chiesia di sancto Fiorentino tre grande messe con diacono et
sottodiacono, et il di che se diranno dicte tre grande messe che se dicano
anchora trenta messe basse de Sancto Gregorio.
Item nella dicta chiesia de Sancto Dionisio simil servitio sia celebrato
como di sopra.
Item nella chiesia de dicti Fratri et religiosi minori simile servitio.
Item el prefato Testatore dona et concede ad Messer Francesco da Melzo
Gentilomo da Milano, per remuneratione de’ servitù ad epso grati a lui facti
per il passato, tutti et ciaschaduno li libri, che il dicto Testatore ha de
presente et altri Instrumenti et Portracti circa l’arte sua et industria de
Pictori.
Item epso Testatore dona et concede a sempre mai perpetuamente a Battista de
Vilanis suo servitore la metà zoè medietà de uno iardino, che ha fora a le mura
de Milano et l’altra metà de epso iardino ad Salay suo servitore nel qual
iardino il prefato Salay ha edificata et constructa una casa, la qual sarà e
resterà similmente a sempremai perpetudine al dicto Salai, soi heredi, et
successori, et ciò in remuneratione di boni et grati servitii, che dicti de
Vilanis et Salay dicti suoi servitori lui hano facto de qui inanzi.
Item epso Testatore dona a Maturina sua fantescha una veste de bon pan negro
foderata de pelle, una socha de panno et doy ducati per una volta solamente
pagati: et ciò in remuneratone similmente de boni servitii ha lui facta epsa
Maturina de qui inanzi.
Item vole che ale sue exequie siano sexanta torchie le quale seranno portate
per sexanta poveri ali quali seranno dati danari per portarle a discretione del
dicto Melzo le quali torzi seranno divise nelle quattro chiesie sopradicte.
Item el dicto Testatore dona ad ciascheduna de dicte chiesie sopradicte
diece libre cera in candele grosse che seranno messe nelle diete chiesie per
servire al dì che se celebreranno dicti servitii.
Item che sia dato ali poveri del ospedale di Dio alli poveri de Sancto
Lazaro de Amboysia, et per ciò fare sia dato et pagato alli Tesorieri depsa
confraternita la summa et quantità de soysante dece soldi tornesi.
Item epso Testatore dona et concede al dicto Messer Francesco Melce presente
et acceptante il resto della sua pensione et summa de’ danari qual a lui sono
debiti del passato fino al dì della sua morte per il recevoir, ovvero
Tesaurario general M. Johan Sapin, et tutte et ciaschaduna summe de danari che
ha receputo dal p.° Sapin de la dicta sua pensione, e in caxo chel decede
inanzi al prefato Melzo, e non altramente li quali danari sono al presente
nella possessione del dicto Testatore nel dicto loco de Cloux como el dice.
Et similmente el dona et concede al dicto de Melze tucti et ciaschaduni suoi
vestimenti quali ha al presente ne lo dicto loco de Cloux tam per remuneratione
de boni et grati servitii, a lui facti da qui inanzi, che per li suoi salarii
vacationi et fatiche chel potrà avere circa la executione del presente
Testamento, il tutto però ale spese del dicto Testatore.
Ordina et vole, che ia summa de quattrocento scudi del sole che ha in
deposito in man del Camarlingo de Sancta Maria de Nove nela città de Fiorenza
siano dati ali soy fratelli carnali residenti in Fiorenza con el profitto et
emolumento che ne po essere debito fino al presente da prefati Camarlinghi al
prefato Testatore per casone de dicti scudi quattrocento da poi el dì che
furono per el prefato Testatore dati et consignati alli dicti Camarlinghi.
Item vole et ordina dicto Testatore che dicto Messer Francisco de Melzo sia
et remana solo et in sol per il tutto executore del Testamento del prefato Testatore,
et che questo dicto Testamento sortisca suo pieno et integro eteffecto, et
circa ciò che è narrato et decto havere tenere guardare et observare epso
Messer Leonardo de Vince Testatore constituto ha obbligato et obbliga per le
presente epsi soy heredi et successori con ogni soy beni mobili et immobili
presenti et advenire et ha renunciato et renuncia per le presente expressamente
ad tucte et ciaschaduna le cose ad ciò contrarie.
Datum ne lo dicto loco de Cloux ne le presencie de magistro Spirito Fieri
Vicario nela chiesia de Sancto Dionisio de Amboysia, M. Gulielmo Croysant prete
et capellani, Magistro Cipriano Fulchin, Fratre Francesco de Corton et
Francesco da Milano religioso del convento de fratri minori de Amboysia,
testimonii ad ciò ciamati et vocati ad tenire per il iudicio de la dicta Corte,
in presentia del prefato M. Francesco de Melze acceptante et consentiente il
quale ha promesso per fede et sacramento del corpo suo per lui dati
corporalmente ne le mane nostre di non mai fare venire, dire, ne andare in
contrario. Et sigillato a sua requesta dal sigillo regale statuito a li
contracti legali d’Amboysia, et in segno de verità. Dat. A dì XXIII de Aprile
MDXVIII avanti la Pasqua.
Et a dì XXIII depso mese de Aprile MDXVIII ne la presentia di M. Gulielmo
Borian notorio regio ne la corte de Baliagio d’Amboysia il prefato M. Leonardo
de Vince ha donato et concesso per il suo testamento et ordinanza de ultima
voluntà supradicta al dicto M. Baptista de Vilanis presente et acceptante il
dritto de laqua che qdam bone memorie Re Ludovico XII ultimo defuncto ha alias
dato a epso de Milano per gauderlo per epso De Vilanis a sempre mai in tal modo
et orma che el dicto Signore ne ha facto dono in presentia di M. Francesco da
Melzo Gentilhomo de Milano et io.
Et a dì prefato nel dicto mese de Aprile ne lo dicto anno MDXVIII epso M.
Leonardo de Vinci per il suo testamento et ordinanza de ultima volunta
sopradecta ha donato al prefato M. Baptista de Vilanis presente et acceptante
tutti et ciaschaduni mobili et utensili de caxa soy de presente ne lo dicto
loco du Cloux. In caxo però che el dicto de Vilanis surviva al prefato M.
Leonardo de Vince, in presentia del prefato M. M. Francesco da Melzo et io
Notario etc. Borean.
NB. Nel testamento non appare la
citazione della Gioconda, ma si parla più in generale delle opere che
Leonardo lascia in eredità e custodia a Gian Giacomo Caprotti (Salaì) e
Francesco Melzi (Francesco da Melzo).
1913, 12 dicembre
Mentre il Ministro della Pubblica Istruzione Luigi Credaro, già deputato
del Partito Radicale e Ministro della Pubblica Istruzione del Regno
d'Italia nei governi Luzzatti e Giolitti IV, ne dava l’annuncio
ufficiale all’ambasciatore francese, giunse a Firenze il direttore generale
alle Belle Arti Corrado Ricci, archeologo e storico
dell'arte italiano e senatore del Regno d'Italia per assicurarsi
dell’autenticità del dipinto e gli esami successivi, confutarono l'autenticità
dell'opera.
I giornali dell'epoca
Il ritrovamento della Gioconda fu un evento straordinario, forse il più
importante degli ultimi cento anni.
Tutti i giornali francesi riservarono grande importanza all'evento non mancando
di pubblicare in prima pagina la notizia del ritrovamento. Ma per settimane
l'episodio del furto riempi i rotocalchi senza mai smettere di essere
presente.
Tra la popolazione nessuno non poteva
non sapere del furto della Gioconda e alcuni artisti decisero di scrivere,
forse in omaggio all'italiano Vincenzo Peruggia, addirittura delle canzoni
dedicate al furto; vi furono anche delle stampe con la fotografia segnaletica
del Peruggia e la Gioconda che vennero vendute nelle edicole e nei bar.
I giornali tedeschi prima e dopo il
ritrovamento della Gioconda riempirono i propri giornali di ipotetiche
organizzazioni antisemite che avrebbero nascosto la Gioconda e poi fatta
riapparire e Firenze seguendo un fantomatico disegno politico-religioso mai del
tutto chiarito.
Alcuni giornali inglesi pubblicarono la
notizia indicando il Peruggia come a capo di una organizzazione criminale
individuata dai servizi segreti inglesi che informarono le autorità italiane
che procedettero all'arresto del Peruggia stesso.
In America i giornali dedicarono molto
spazio alla storia della Gioconda, tanto che su alcuni giornali illustrati,
venne creata la storia a fumetti. Il Peruggia era disegnato come un
supereroe che riportava il quadro, dopo mille vicissitudini anche queste,
però, non vicine alla realtà dei fatti, finalmente in Italia.
1916, la
Gioconda di Duchamp
Molti
affermano che a seguito di questo episodio del furto della Gioconda, qualche
anno dopo molti colsero l'occasione come Marcel Duchamp,
abile pittore, scultore francese, padre del Dadaismo per dare vita al
Dadaismo.
Il
movimento Dadaista nasce a Zurigo, nella Svizzera neutrale
della prima guerra mondiale, movimento, che ha interessato soprattutto le arti
visive, il teatro e la grafica, attraverso un rifiuto degli standard
artistici, come affermavano gli stessi dadaisti:
«un
fenomeno che scoppia nella metà della crisi morale ed economica del dopoguerra,
un salvatore, un mostro che avrebbe sparso spazzatura sul suo cammino. Un
sistematico lavoro di distruzione e
demoralizzazione... che alla fine non è diventato che un atto sacrilego.»
Gli artisti dada erano
volutamente irrispettosi, stravaganti, provavano disgusto nei confronti delle
usanze del passato; ricercavano la libertà di creatività per la quale
utilizzavano tutti i materiali e le forme disponibili.
L.H.O.O.Q.,
che pronunciato in francese può suonare anche come "Elle a chaud au
cul" che tradotto significa "Lei ha caldo al culo", ovvero
"è eccitata".
Il loro scopo era quello di denigrare i
valori di queste istituzioni e infrangere le loro regole. I dadaisti volevano
portare avanti una rivoluzione pacifica e concettuale per sostituire ai
linguaggi ufficiali una poetica che legittimasse la completa libertà creativa.
Marcel Duchamp proprio con "la
Gioconda coi Baffi" scatena l'opinione pubblica dando forte spinta al
movimento dadaista che probabilmente necessitava di autorevolezza.
Le dimissioni e le conseguenze
Il furto suscitò inevitabilmente ampio
clamore e polemiche nell’opinione pubblica francese e non solo.
Vi fu un grande movimento popolare,
supportato da molti artisti e intellettuali dell'epoca che sottolinearono la
completa inadeguatezza di tutto l'apparato di sorveglianza del Louvre.
L'allora direttore Théophile
Homolle, travolto dalle critiche e dalla responsabilità per quanto accaduto, fu
costretto a rassegnare le proprie dimissione, gesto ritenuto necessario, in
quanto si doveva dare un segnale di discontinuità con il recente passato.
La Stampa d’oltralpe fomentarono
pulsioni xenofobe addensando sospetti su ambienti dell’immigrazione o
sulla longa manus tedesca.
Il processo
Tutto il mondo ha i riflettori puntati
sull'aula d'Assise del Tribunale di Firenze dove si dovrà celebrare il processo
al Peruggia.
La popolazione è divisa tra innocentisti e
colpevolisti, ma lo spirito patriottico sembra prevalere a favore di Vincenzo
Peruggia, cosi esile e minuto che sembra quasi far tenerezza. "In fondo l'ha fatto per amor di Patria"
dice qualcuno nei bar e che se fosse stato al posto del povero Vincenzo,
avrebbe fatto la stessa cosa!
Si sa che il Peruggia ha confessato il
furto e sicuramente verrà condannato, ma la gente sembra averlo già assolto.
Il
processo di Assise - 1914, 5 giugno
Il giorno
del processo, il Peruggia si presenta accompagnato da un avvocato d'ufficio, in
quanto non poteva permettersi di pagarlo, e si accomoda mestamente davanti ai giudici
che gli chiedono di spiegare alla corte come sono andate le cose, senza
tralasciare nessun dettaglio.
Comincia
quindi a ripercorrere tutti i passaggi di questa vicenda e dalla sua
deposizione sembra non emergano forme di pentimento, anzi, conferma la sua
volontà di essere l'artefice del furto stesso che minimizza, dicendo che si
trattò solamente di "un atto dovuto" alla memoria del grande maestro
toscano e che riportare, secondo lui, la Gioconda nel suo Paese di
origine, in Italia, sarebbe stata la giusta ricompensa al suo popolo.
E' convinto
infatti che la Gioconda sia stata rubata durante la campagna d'Italia da
Napoleone Bonaparte che fece razzia di centinaia di opere di altri illustri
pittori Italiani e che portò in Francia come bottino di guerra, aggiungendo il
suo avvocato che lo stesso Napoleone, cosi sembra dire la storia, amasse a
tal punto l’opera di Leonardo e che per qualche periodo tra il 1800 e il 1804
se la fosse fatta appendere in camera da letto alle Tuileries.
L'interrogatorio
prosegue e emerge che il giorno del suo arresto avvenuto a Londra, il Peruggia,
fu trovato in possesso di un taccuino dove vi erano scritti tre numeri di
telefono che riportavano nomi di galleristi europei e americani e il giudice si
convinse che il Peruggia volle vendere la Gioconda e trarne profitto, e la corte
dimostrò che il Peruggia non fece questo furto per motivi patriottici, ma che
nella visione dell'imputato vi era la ferma volontà di lucrare sull'opera,
rivendendola alla Galleria degli Uffizi per 3 milione di lire e incassare
le somme per farne un uso personale.
Dopo aver
raccolto la sua versione e confrontato tutte le accuse a suo carico, i giudici
del tribunale di Firenze, si riunirono in camera di consiglio e la sentenza fu
rapida: Vincenzo Peruggia è colpevole.
La sentenza
è netta anche se gli vengono riconosciute le attenuanti di un vizio parziale di
mente e le motivazioni patriottiche, che alla fine vennero prese in
considerazione, e condannato a un anno e quindici giorni di prigione per
furto aggravato.
Il
processo di Appello -1914, 29 luglio
Gli avvocati
del Peruggia ricorrono in Appello non soddisfatti della sentenza precedente e
ottengono una riduzione di pena a sette mesi e otto giorni di reclusione. A
questo punto l'imputato venne tradotto in carcere.
Scontata
la detenzione, venne chiamato dal distretto militare per essere arruolato (facendo
decadere la sua inabilità alla leva obbligatoria) tra i fanti che
parteciparono alla prima guerra mondiale, e fu mandato a combattere a Caporetto
dove fu catturato dai soldati austriaci.
1921, 26
ottobre
La guerra è
finita e oramai Vincenzo Peruggia a 40 anni e decise di convogliare a nozze con
la giovane Annunciata di 25 anni.
1922
Lascia
definitivamente l'Italia insieme alla giovane moglie, per stabilirsi
Saint-Maur-des-Fossés, un piccolo paesino della periferia di Parigi. Da questo
momento sul suo documento di identità Francese non vi è scritto Vincenzo come
primo nome, ma il secondo nome, quello di Pietro.
1924, 22
marzo
Nacque la
sua unica figlia, Celestina, che ricordava come in paese Saint-Maur-des-Fossés
da piccola la chiamassero "Giocondina". Tornò in
Francia utilizzando un espediente: sui documenti per l'espatrio sostituì
Vincenzo con Pietro, suo secondo nome. Si stabilì a Saint-Maur-des-Fossés,
periferia di Parigi dove il 22 marzo 1924. Peruggia morì l'8 ottobre del
1925 a Saint-Maur-des-Fossés a causa di un infarto.
La
Gioconda rientra in Italia
Al termine
di un’indagine durata due anni e grazie agli accordi con l'Ambasciata di
Francia in Firenze, le autorità italiane ricevono l'autorizzazione di esporre
la Gioconda nei musei più grandi d’Italia. Inizia quindi l'esposizione presso
gli Uffizi a Firenze, dove migliaia di persone provenienti da tutta Italia,
hanno modo di vedere per la prima volta dal vero l'opera di Leonardo da
Vinci.
Dopo pochi
mesi viene trasferita ed esposta a Roma, presso il prestigioso Palazzo Farnese a Roma e
successivamente esposta alla Galleria
Borghese .
Ambascitori,
Capi di Stato, esperti di tutto il mondo rendono omaggio alla Gioconda si
trovano in Italia per ammirare l'opera, una straordinaria e vengono organizzati
incontri e dibattiti dedicati all'opera più discussa della storia dell'umanità.
Esposizione
della Gioconda
Il dipinto
a questo punto è in possesso delle autorità italiane e viene esposto subito
presso gli Uffizi di Firenze, destando grande interesse.
In quel
periodo l'esposizione al pubblico della Gioconda porta a Firenze migliaia di
curiosi, attratti anche dal fascino della storia del furto, che hanno la
possibilità di rivederla dopo circa due anni e mezzo di mistero.
I giornali
del periodo danno grande risalto all'iniziativa e all'autore del furto, il
Peruggia appunto, del quale viene scritto tutto il possibile, spesso anche informazioni false e non provate, pur di
vendere migliaia di copie.
La Gioconda, semmai ce ne fosse stato bisogno, assume ancora di più un
valore misterioso e quello sguardo e quel sorriso beffardo, sembra conoscere
davvero la vera storia del furto, ma nulla fa pensare che proprio la gioconda
abbia il desiderio di raccontarla.
Resta il fatto che l’opera fu messa in
mostra agli Uffizi a Firenze, a Palazzo Borghese a Roma e alla Pinacoteca di
Brera a Milano; l’esposizione itinerante dette luogo ad affollatissimi eventi
pubblici, presenziati da autorità, studiosi e da migliaia di visitatori
comuni.
Il viaggio verso Parigi si tramutò
dunque in una cerimonia solenne, che intendeva celebrare i tradizionali vincoli
di amicizia fra i due paesi. Del resto, dopo l’iniziale imbarazzo, era
necessario per il governo italiano dare prova di efficienza nella presa in
carico e restituzione del dipinto e di stretta collaborazione con le autorità
d’Oltralpe.
1914, il ritorno definitivo in Francia
Dopo l'esposizione in Italia, in accordo con l'ambasciata francese, ci si
prepara al suo definitivo rientro in territorio francese: la Gioconda deve
tornare a casa.
Viene organizzato il rientro in Francia
e i giornali francesi chiamano La Monna Lisa e non Gioconda
l'opera di Leonardo, quasi a sottolinearne la paternità. Dapprima viene diffusa
la notizia che il trasferimento avverrà in treno, poi si afferma che avverrà
con un convoglio della polizia di Stato Italiana e poi ancora in aereo: molta
confusione.
Le ferrovie di stato italiane decidono
di mettere a disposizione un interno convoglio con un vagone speciale, dove
all'interno viaggia l'opera all'interno di una cassa di legno, chiusa
all'interno di una gabbia, sorvegliata da agenti armati che hanno l'ordine
perentorio di non far accedere nessuno sul vagone.
All'interno del treno viaggiano alcuni
passeggeri (ambasciatori, segretari di stato e giornalisti) oltre
che 100 uomini in borghese che hanno il compito di controllare ogni singolo
movimento sospetto. Vengono allertate anche tutte le stazioni dove è previsto
il passaggio del convoglio che non si ferma, ma è sempre costretto a
rallentare, per poi riprendere velocità passata la stazione. Proprio alle
stazioni sono di servizio agenti della polizia di stato e militari dell'Arma
dei Carabinieri che hanno il compito di sorvegliare e verificare il passaggio
del treno.
La mattina preso il convoglio arrivò in
Francia a Modane, piccolo comune francese di 2.000 abitanti situato nel
dipartimento della Savoia della regione dell'Alvernia-Rodano-Alpi. Il treno
viene fatto fermare in Stazione per gli ultimi controlli da parte della
Gendarmèrie e vengono firmati gli ultimi documenti di frontiera.
Poche ore dopo, si aggiunge la scorta di
sicurezza del Governo francese che mette a disposizione circa 70 uomini, sia in
divisa che in borghese, per aumentarne i controlli e garantire la sicurezza
verso l'ultima destinazione: Parigi, museo dell'Louvre.
Qui la Gioconda venne accolta in
pompa magna dalle autorità francesi che gli riservarono grandi celebrazioni e
festeggiamenti, e un lungo corteo di auto ministeriali, motociclisti e grandi
ali di folla, accompagnarono l'opera verso la sua ultima destinazione.
Davanti al Museo dell'Louvre, centinaia
di giornalisti di tutto il mondo, pronti a fotografare la cassa contenente
l'opera, che venne scaricata con grande attenzione e con l'aiuto di mezzi
meccanici, prima sollevata e poi appoggiata su alcuni muletti al fine di essere
inserita all'interno del museo.
La folla spinse per entrare e la
gendarmerìe ha molta difficoltà a trattenere il cordone oltre il quale è
vietato l'accesso e viene chiesto l'aumento immediato di uomini per garantirne
la sicurezza.
All'interno del Museo, e più
precisamente nel Salon Carré, venne poggiata la cassa ed
aperta alla presenza del presidente della repubblica francese e tutto il
governo.
Da questo momento la Gioconda con il suo
sguardo malinconico, dopo anni di inquietudini, riposa nella tranquillità di
questo salone, vista da questo momento in poi da oltre mezzo miliardo di
visitatori provenienti da ogni angolo del mondo.
https://www.leonardodavinci-italy.it/pittura/il-furto-della-gioconda-da-parte-di-vincenzo-peruggia-e-uno-dei-pi%C3%B9-grandi-misteri-ancora-oggi-indagati
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