«Noi
quattro (intendo Verga, De Roberto, me e
un po' Capuana) accusati di
scorrettezza, abbiamo un pubblico che ci segue e ci legge: perché nella
posterità dovremmo morire?»(Matilde
Serao, in un'intervista rilasciata ad Ugo Ojetti)
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atilde Serao nacque il 7 marzo 1856 a Patrasso, in Grecia, ove il padre si
era rifugiato nel 1848 per sfuggire alle repressioni del Borbone. Il padre,
Francesco, era un giornalista e la madre, Paolina Bonelly, una greca di sangue
nobile. La Serao iniziò giovanissima la carriera di giornalista, prima come
redattrice del «Corriere del mattino» di Napoli, poi a Roma, come “redattrice
fissa” del «Capitan Fracassa» e collaboratrice di altri noti periodici: la «Nuova
Antologia», il «Fanfulla della Domenica», la «Domenica letteraria».
Matilde non era bella: grossa e tozza, con un'aria da maschiaccio,
estroversa, gesticolante, sgraziata e chiassosa; tuttavia, ebbe una vita
sentimentale normale e piena. Nel 1885 sposò Eduardo Scarfoglio e, tornata a
Napoli, per anni si occupò di una rubrica mondana del «Corriere di Napoli» da
lei fondato e diretto insieme al marito. Separatasi da Scarfoglio nel 1904, la
Serao fondò, negli stessi anni, il «Giorno di Napoli» che diresse fino alla
morte.
Il giudizio critico sull’opera di Matilde Serao è stato a lungo compromesso
dalla severa opinione di Renato Serra, autorevole critico dell'epoca. Se è
giustificato dalla stesura di certi romanzetti mondani da parte della Serao,
questo giudizio non trova però riscontro nella genuina vocazione artistica
della scrittrice, amorosa interprete delle sofferenze e delle speranze del
popolo napoletano. Devota al giornalismo, prima ancora che all'arte dello
scrivere, tuttavia la Serao affermava: «Dal primo giorno che ho scritto, io non
ho mai voluto né saputo essere altro che una fedele e umile cronista della mia
memoria».
All’interno della critica, ad ogni modo, si registrarono importanti
eccezioni. Benedetto Croce in un saggio del 1903 le riconosceva una « fantasia
mirabilmente limpida e viva», ma si ricordano anche Pancrazi e Momigliano, il
quale definì la Serao: «la più grande pittrice di folle che abbia dato il
nostro verismo». Il Carducci la giudicò «la più
forte prosatrice d'Italia», D'Annunzio le dedicò un
romanzo, mentre Paul Bourget scrisse la prefazione alla traduzione francese de Il
paese di cuccagna. Su «La revue blanche» la sua firma si trova tra
collaboratori come Proust e Apollinaire. Il traduttore francese della Serao era
Georges Herelle, lo stesso che traduceva D'Annunzio.
La scrittrice si dimostrò sempre debole al fascino del più basso
pettegolezzo; per anni fu incapace di discostarsene e si abbandonò alle
curiosità della vita mondana di Roma e Napoli, deviando il giudizio di molti
sulle sue naturali e grandissime doti giornalistiche e, in generale, d'arte. Si
eccettua un solo reportage del 1884 dal titolo Il ventre di Napoli,
dove in primo piano è l’attenzione della Serao per la gente povera e rassegnata
dei quartieri fatiscenti e brulicanti della città.
Della Napoli pullulante di sottoproletariato e piccola borghesia di fine
Ottocento, la Serao ci ha offerto un panorama geniale e dettagliato nella
produzione del decennio 1880-1890, ottenendo i risultati più validi con la
novella e il bozzetto, racconto breve vividamente realistico, che attinge dalla
vita di ogni giorno. Terno secco ( pubblicato nel volume All’erta
sentinella del 1889) è un racconto mirabile della fatalistica
rassegnazione della plebe e della piccola borghesia che affidano le loro
superstiti speranze alla mistica del gioco del Lotto. Da questo racconto la Serao
trasse anche uno dei suoi più celebri scritti, il romanzo intitolato Il paese di cuccagna del 1891.
Alcune novelle come Scuola serale femminile e Telegrafi
dello stato, raccolte ne Il romanzo della fanciulla (1886),
marchiano a fuoco nella nostra memoria realistici ritratti di vita quotidiana;
meno felice il romanzo Fantasia del 1883, che mette in gioco
una trama artificiale a caratteri fissi e soluzioni convenzionali. Il vero
capolavoro della Serao è da riconoscere non in un romanzo, ma in un racconto
lungo dal titolo Le virtù di Checchina (1884): il tema è
flaubertiano, è il contrasto tra la squallida vita borghese e il sogno di
un’esistenza lussuosa. Partendo da esso la scrittrice ricava un ritratto
femminile di straordinaria naturalezza e verità. A tutt’altra ispirazione
possono essere ricondotti i romanzi La conquista di Roma (
1885), incentrato sulla vita parlamentare della Roma umbertina e Vita e
avventure di Riccardo Soanna (1887), che rappresenta uno spaccato
sulla corruzione del mondo giornalistico.
Dell’ultima produzione è da ricordare Suor Giovanna della Croce (1901),
un romanzo immerso nell’atmosfera desolata di tipo cechoviano. Non va comunque
dimenticato che la polemica contro il nazionalismo esasperato e la guerra
valsero alla Serao il mancato gradimento da parte del governo fascista alla sua
candidatura al premio Nobel, che fu poi assegnato a Grazia Deledda.
Matilde Serao morì a Napoli il 25 luglio 1927, al tavolo di lavoro, per un
attacco cardiaco.
Nel 1977 è stato pubblicato suo un romanzo inedito e incompiuto, L’ebbrezza,
il servaggio e la morte, storia di un adulterio nella Roma tardo-d’annunziana.
A cura della Redazione Virtuale
https://www.italialibri.net/autori/seraom.html
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