L’ennesimo scandalo sulla
Salerno-Reggio Calabria, le intercettazioni con scambi di favori, appalti e
notti con escort pagate dalla ‘ndrangheta intorno al Terzi Valico, l’ormai
consueta ondata di arresti d’imprenditori collusi e politici e tecnici comprati
e venduti, tutte queste storiacce d’ordinaria corruzione possono soltanto
indignarci, per chi ancora non è capace, oppure farci anche un po’ riflettere
su un intero sistema. Com’è possibile che in Italia (e non soltanto) da decenni
ogni grande opera pubblica, annunciata con trionfali proclami dai vari governi
come un passo decisivo verso la modernizzazione, si riveli alla fine una
colossale mangiatoia per alimentare la
malavita e la mala politica che già non ne avrebbero bisogno? Sarà soltanto che
la carne è debole, l’inferno è lastricato di buone intenzioni e altra filosofia
da bar? Dobbiamo sperare solo in un singolo cavaliere bianco, alla Raffaele
Cantone, che sconfigga l’atavica tendenza al latrocinio delle nostre classi
dirigenti, anche se finora non è andata benissimo? Può darsi che sia così. Ma
forse la realtà è meno semplice. Il fatto è che queste grandi opere sono spesso inutili e quindi fin dal
principio fonte di criminalità. Ai tempi di Tangentopoli si rubava su opere
pubbliche necessarie, oggi s’inventano opere non necessarie allo scopo di poter
rubare. Quando un Paese investe un miliardo e mezzo di euro, che poi diventano
cinque o sei, per il Mose di Venezia, cioè un sistema di dighe mobili
inutilizzabile in condizioni normali e insufficiente in caso di catastrofe
ambientale, in una parola: inutile, è fatale che il progetto sfoci in un
colossale caso di corruzione. Quando si buttano dalla finestra 28 miliardi da
qui al 2042 per guadagnare un’ora di treno da Lione a Milano su una tratta
commerciale in declino, bucando montagne piene di amianto, perché poi stupirsi
se le cosche calabresi ne approfittano? Si può obiettare che la Milano-Genova o
l’A3 non sono opere altrettanto inutili, e dè vero. Ma lo diventano se tempi e
costi dell’opera si dilatano all’infinito. L’Italia forse non ha bisogno di
poche costosissime grandi opere, ponti vero il nulla, dighe faraoniche, treni
velocissimi e vuoti, né di eventi epocali come le Olimpiadi o i mondiali di
calcio, ma piuttosto di migliaia di piccoli interventi sul territorio, migliaia
di piccoli eventi, dove il controllo sui tempi, i costi e l’efficacia può
essere facilmente esercitato dalla popolazione, da tanti e non da un solo
supereroe. La gente che vive su un territorio è invece l’ultima a essere
consultata. Una volta si faceva così con le colonie africane, ora la colonia
siamo noi.
Curzio Maltese . Contromano – Il
Venerdì di Repubblica - 4 Novembre 2016
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