Non Mi Avrete Mai. Mi piace questo genere di frasi, frasi in
effetto, che si ricordano e che in qualche modo mi espongono. Quando in “Gomorra”
usai l’io so pasoliniano ci fu chi capì esattamente cosa volessi dire (la maggioranza
dei lettori) e chi ancora oggi mi accusa di aver osato paragonarmi a Pasolini.
Poco importa, ciò che mi interessava dieci anni fa e che ancora oggi considero
importante, è dare un messaggio chiaro, inequivocabile, che si sia d’accordo
con me o in disaccordo. E provare a non essere strumento nelle mani di chi ha
fini personali da raggiungere, fini che spesso non sono evidenti e che traggono
in inganno chi ascolta e si fida. Io Racconto, e lo faccio dal mio punto di vista. Io
scrivo, e chi scrive non ha anici. Non deve averne prima, mentre sta cercando
la forma da dare ai propri pensieri, e ne avrà sempre meno dopo aver reso pubbliche
le proprie parole. Quando ho scritto “Gomorra” avevo 25 anni, la mia
convinzione di allora – gli anni della faida di Secondigliano, un moro al
giorno e non faccio distinzione tra colpevoli e innocenti – è la stessa di ora:
le storie del Sud vanno raccontate e bisogna trovar afono e il pulpito più alto e il megafono più potente
perché un gran numero di persone possa ascoltarle. Le storie che riguardano il
Sud vanno raccontate, però, senza fare sconti a nessuno, senza pensare che ci
siano amici, giornalisti amici, direttori di giornali amici, magistrati amici,
avvocati amici. Raccontarle pensando di perdere qualcosa, ogni volta. Un
politico ti dirà che stai diffamando (la mia personalissima lista è lunga e va
da Andreotti a Renzi passando per Berlusconi, De Magistris, De Luca, Gasparri
per dire solo dei più assidui), un magistrato ti dirà che non hai capito
niente, un giornalista ti dirà che hai preso i fatti dalle sue cronache che a
loro volta erano prese da atti giudiziari, uno scrittore ti accuserà di aver
scritto dopo di lui e di aver oscurato la luce che per una questione di
precedenza o magari di anzianità sarebbe toccata a lui. Scrivere storie di
camorra non ti rende amico di nessuno.(..). Io Appartengo a un’altra scuola. Non sono di quelli che
finché sono ousider si battono perché tutto cambi e poi se diventano insider l’Italia
smette di essere crimine organizzato e crisi, e si rivela improvvisamente sole,
turismo e arte, Io non sono di quelli
che all’opposizione vogliono riformare il mondo e al potere (basta un ruolo istituzionale
qualsiasi), diventano “yesman”. Io sono all’opposizione, sempre e all’opposizione
di tutti. Non mi si deve voler bene e non mi interessa che mi si tema, mi piace
pensare di ragionare, mi piace pensare che ci sia sempre una partita aperta. E Non
Accetto di
alimentare questo eterno clima da campagna elettorale. Mi piace chi ammette,
con consapevolezza e responsabilità, che qualunque sia l’esito del voto
referendario per il nostro Paese cambierà poco o nulla. Mi piace
tranquillizzare gli italiani su un punto: se vincesse il no l’Italia non
sprofonderebbe nel baratro e una riforma costituzionale sarà sempre possibile
in futuro, come in caso di vittoria del sì e non ci sarà alcuna deriva
autoritaria. Non ci saranno accelerazione, progresso risparmio in caso di
vittoria del sì e non ci sarà lentezza e stallo in caso di vittoria del no.
Questa riforma non è la resa dei conti, se non per chi ci ha messo la faccia,
sbagliando, rendendo questo referendum uno spartiacque, ma non per il Paese, ma
per se stesso. Tutto il rumore che si
sta facendo è un modo per occupare posizioni in quella che è una personalissima
lotta per il raggiungimento di un personalissimo potere. Non mi saranno amici i signori del sì e non mi
saranno amici i signori del no se dico che questo risiko per recuperare una
percentuale minima di consenso è il peggior servizio che si sta facendo in
Italia. Un danno del quale non voglio essere complice. Non mi chiamate in
sostegno, questo referendum è solo affar vostro, per questo referendum, io non
ci sono.
Roberto Saviano – L’antitaliano www.lespresso.it – 6 Novembre 2016 -
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