Guardiamo Le Immagini del terremoto del centro Italia,
risulta evidente più che mai come l’energia che si scatena sulla superficie con
la propagazione delle onde sismiche non solo devasta le opere dell’uomo, ma
causa la formazione di nuove fratture e la caduta di blocchi dai versanti delle
montagne. Le faglie aperte sui versanti del Mote Vettore nelle Marche ne sono
un esempio, così come le frane sul Gran Sasso a partire dalla scossa del 24
agosto. Ma quello che non possiamo vedere con chiarezza è ciò che è avvenuto
nel sottosuolo, dove si è sviluppata tutta quella impressionante energia. Un
geologo attento può leggere nel paesaggio le evidenze dell’attività tettonica
del passato, ma spesso queste mascherate dall’erosione, ed è difficile
assegnare una cronologia agli eventi e riuscire a capire quando e con che
frequenza una zona è stata colpita da sismi nelle ultime migliaia di anni. Lo
strumento più potente per leggere la sismicità del passato è rappresentato dalle
stalagmiti, formazioni di carbonato di calcio frequenti in molte grotte del
mondo, che hanno registrato i terremoti sotto forma di microfratture, cambi del
proprio asse di sviluppo o crolli. Le stalagmiti sono come gli alberi, in cui gli anelli di crescita
si possono datare con sistemi radiometrici. E’ quindi possibile assegnare una
data certa a ogni evento con precisione, spingendosi fino ad oltre un milione
di anni dal presente. Durante l’esplorazione del sistema di grotte dei Piani
Eterni, nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, mi sono imbattuto in un
enigma affascinante: in una delle
gallerie più profonde avevamo scoperto una stalagmite crollata come un tronco
d’albero sul pavimento della galleria sotterranea. Già a prima vista era
evidente che, se rimessa in piedi, non poteva essere contenuta tra il pavimento
e il soffitto, troppo basso in quel punto. Grazie a una datazione effettuata
sulla colonna è stato possibile dedurre che 190mila anni fa un terremoto,
chissà di quale intensità, aveva spostato gli strati di roccia, abbassando il
soffitto della caverna e causando il crollo della grande colonna. Ma questo non
è l’unico caso. Tracce di terremoti nelle stalagmiti sono state individuate in
moltissime grotte italiane, tra cui anche nelle famose Grotte di Frasassi. SUI
Monti Lessini alle spalle di Verona, un’altra grotta ha fornito una stalagmite
le cui variazioni nell’asse di crescita sono state associate al terremoto di
Verona del 1117, uno dei più devastanti
sismi mai avvenuti nella penisola italiana (considerato di grado 8 Mercalli, ha
causato la distruzione di Verona, Padova, Trento e Cremona). Ma non solo: la
stessa stalagmite ha rivelato altri sismi di simile intensità, verificatasi
circa una volta a millennio fin dalla preistoria. Ricercare isegni dei
terremoti del passato nel sottosuolo potrebbe apparire un fatto di puro
interesse storico. Ma quando ci si trova con la terra che trema ci si rende
conto improvvisamente che, entrando nel concetto di tempo geologico, tutto è
collegato. Il terremoto è solo uno sui milioni di eventi sismici che sono
responsabili della formazione della struttura naturale del nostro paese, del
sollevamento prima delle Alpi e poi degli Appennini. Ci troviamo di fronte a un
processo che, nel nostro concetto umano del tempo, facciamo davvero fatica
comprendere, un evento eccezionale per noi uomini, che invece ragionando coi
tempi di evoluzione del nostro pianeta rientrerebbe nella normalità. Trovare
degli indizi che ci dicano se una zona del nostro paese era attiva in un
passato non così geologicamente lontano ci permette di prepararci al futuro e
considerare la nostra terra come un essere vivo, la cui enorme energia va
assecondata e non ignorata.
Francesco Sauro – Opinioni – Donna di Repubblica 19 Novembre
2016
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