Robot che crescono e muoiono. Robot
dotati di una pelle con capacità tattili ispirata a quella dei cefalopodi
(molluschi marini come seppie e calamari) che emette segnali ottici e serve per
il circostante. Robot capaci di
alimentarsi con materia organica, autosufficienti, che una volta raggiunto lo
scopo si disintegrano senza lasciare tracce. “Lo so, può suonare come
un’assurdità ma è esattamente a questo che stiamo lavorando”. Ioannis
Ieropoulos, direttore del Bristol BioEnergy Centre, fa parte di un gruppo
ristretto di studiosi che stanno mettendo a punto questa nuova tipologia detta
“soft robot”. Sulle celle a
combustibile microbiologiche lavoriamo da oltre quindici anni e ormai sono
vicinissime ad arrivare sul mercato” spiega. “Saranno l’apparato digerente. I
nostri robot troveranno materiale biologico, un semplice pezzo di legno ad
esempio, e potranno farne elettricità per sostenersi. Saranno organismi
sintetici, destinati a decontaminare un lago o un terreno digerendo e rendendo
innocuo il fattore inquinante. Svolto il loro compito poi, essendo fatti di
polimeri biodegradabili, semplicemente si dissolveranno”. La soft robotics è una disciplina nata
attorno al 2009. Si contrappone alla robotica classica – che passa attraverso
strutture e giunti rigidi – impiegando
materiali simili a quelli naturali. Sono robot da un lato più adattabili,
dall’altro capaci di cambiare e magari di crescere secondo il compito che
devono svolgere. In prima linea ci sono
l’Istituto italiano di tecnologia (Lit), i centri di ricerca di Bristol,
alcuni istituti della Corea del Sud, L’università di Edimburgo, la scuola
superiore di Sant’Anna di Pisa e Harvard. Questi ultimi due si sono fatti
conoscere grazie a prototipi di polipi artificiali. “Noi invece facciamo robot
ispirati alle radici delle piante” racconta Barbara Mazzolai, che coordina il
Centro di microbiologica dell’Lit “con sensori che affondano via via nel
terreno per sondarlo e monitorarlo”. I tempi di realizzazione? Non così
lontani, almeno stando ai due scienziati. Nel caso di robot con celle a
combustibile microbiologiche, appena qualche anno. “Le celle oggi sono poco
efficienti, questo è il problema. Perciò, per non sprecare energia, abbiamo
immaginato dei robot con spostamenti
passivi, portati dalle correnti del mare o dal vento, con alcune funzioni base
di decontaminazione, che poi si disintegrano perché recuperarli sarebbe troppo
dispendioso” continua la Mazzolai. L’altro problema è l’intelligenza
artificiale, quella che permetterà a questi organismi di selezionare cosa
ingerire per alimentarsi e depurare l’ambiente. “Ma se ci fossero i fondi tutto
potrebbe diventare possibile” conclude Ieropoulos. Non un dettaglio di poco
conto.
Jaime d’Alessandro – Scienze – Il Venerdì di Repubblica – 25
Novembre 2016
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