Il Lavoro E’ Lavoro solo se viene remunerato? A
prescindere dalla sua utilità, ci vuole una bustaia come sanzione finale per
dargli dignità? E se quel pagamento non arriva,se non è previsto, c’è un
riconoscimento che può compensarne la mancanza? E’ un tema che mi assilla da
sempre. Di recente ha acquistato una concretezza familiare: mia moglie Stefania
ha lasciato il lavoro e sta facendo volontariato. Nella sua versione più nota e
più diffusa, è il dramma antico della casalinga. Antico e anche moderno.
Tuttora ci sono tante donne che – per scelta o per necessità – lavorano a tempo
strapieno facendo le madri, le mogli, oggi sempre più spesso anche le figlie
che assistono genitori e parenti anziani o malati. Nessuno le paga e il paradosso sconvolge anche la scienza
economica: il più grande economista di tutti i tempi, John Maynard Keynes,
sottolineò l’assurdità per cui se un uomo sposa la sua badante o la baby-sitter
dei suoi figli, improvvisamente smette di pagarla e quindi sparisce un posto di
lavoro, il Pil si riduce, la nazione sembra più povera. Perché dove non circola
moneta non siamo capaci di misurare il valore dei gesti quotidiani, anche se
sono i più essenziali della vita. Per il volontariato il paradosso è simile. E’
un mondo immenso e meraviglioso, indispensabile per rendere le nostre società
un po’ meno feroci. Dall’assistenza con la pulizia di parchi e litorali;
dall’impegno per i diritti umani all’accompagnamento finale di chi sta per
morire. Alcune delle cose più belle che accadono attorno a noi, sono gesti
gratuiti e volontari. frutto di un impegno costante, tenace, faticoso, talvolta
a tempo pieno. Perfino la politica dà il meglio di sé quando sono i cittadini a
partecipare gratis per migliorare la cosa pubblica; quando diventa una
professione remunerata, spesso l’etica ne risente. E lo sport? Quello
giovanile, non professionale, non contaminato da super-sponsor, si regge su
tanto volontariato ed è un pezzo importante nella formazione dei ragazzi. Il volontariato
è uno degli approdi per tante “pantere grigie”, baby-boomer arrivati all’età
della pensione o vicini a quella della soglia. In una fase della vita in cui è
più difficile ricollocarsi sul mercato del lavoro, il volontariato ci accoglie
a braccia aperte…E’ la scelta fatta da Stefania, dopo aver lasciato tra mille
dubbi un lavoro da preside, perché non le dava più le soddisfazioni che aveva
avuto per tanti anni dall’insegnamento. L’ha trascinata sulla retta via
un’amica italiana qui a New York, Federica, già attiva nell’assistenza agli
homeless di Grand Central Station con la Comunità di Sant’Egidio. Peraltro
Federica aveva già fatto anni di esperienza in Italia, al Cottolengo di Torino.
I volontari, è chiaro, lo fanno proprio per spirito di servizio e non attendono
nulla in cambio. Rimane paradossale, e la dice lunga sulle patologie del mondo
del volontariato sia pressoché “invisibile” nelle statistiche perché non muove
grandi quantità di denaro, non produce fatturato, non monetizza tempo umano, e
quindi sfugge alle rilevazioni di un’economia dominata dal guadagno. Eppure
proprio qui in America si fermerebbero tante cose meravigliose
senza l’apporto di volontari: dai musei alle maratone, tanto per fare due
esempi che conosco da vicino. Per i volontari la mancanza di un riconoscimento
economico è ovvia, scontata, è la regola del gioco che hanno accettato fin
dall’inizio. il proprio tempo, la propria energia, la propria dedizione, hanno
deciso di donarla, non di venderla. Eppure sono spesso circondati da un
pregiudizio sottile, diffuso, non-detto:
quando una persona dice che sta facendo volontariato, quante volte
l’ascoltatore reagisce come se sentisse parlare di un hobby, di un modo per
“riempire” del tempo di vita. Questo è ingiusto. La mancanza di una busta paga
non dovrebbe tradursi anche in un mancato riconoscimento sociale. Si può essere
attivissimi senza ricevere un centesimo in cambio. Mentre siamo circondati da
persone che hanno professioni prestigiose, ben remunerate, ad alto status
sociale, arciconvinte della propria importanza. e la cui attività non aggiunge
nulla al nostro benessere umano.
Federico Rampini – Opinioni – Donna di Repubblica – 19
Novembre 2016 -
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