Fu Nella Primavera del 1958, quando da poco aveva
compiuto 18 anni, che Mildred Jeter scoprì di essere incinta. Mancavano ancora
due anni all’approvazione della prima pillola anticoncezionale, l’Enovid, e
comunque difficilmente una ragazza cresciuta nella Virginia povera, figlia di
sangue misto africano e nativo, della tribù dei Rappahannock, avrebbe avuto
accesso a un ginecologo e i soldi per comprarla, anche se fosse stata già
disponibile in farmacia. Ma Mildred ebbe una consolazione, in quel momento di
vertigine: l’uomo che l’aveva messa incinta e che si chiamava Loving, Richard
Loving, l’amava davvero e si disse subito pronto a fare”la cosa giusta” in quel
tempo: il matrimonio riparatore. C’era solo un piccolo problema. Richard era di
razza bianca e nella Virginia del 1958 il matrimonio fra persone di razza
diversa era proibito, un reato punibile con tre anni di reclusione. Una
sentenza che aveva fatto giurisprudenza e che oggi si fatica a leggere aveva
affermato che “Dio ha diviso l’umanità in razze diverse, bianchi, neri, rossi,
gialli e bruni e le ha distribuite in continenti diversi per tenerle separate”.
Dunque la Virginia, dimenticando di avere portato a forza africani che non
avevano nessuna intenzione di mescolarsi ai bianchi, non poteva permettere di
confondere quello che l’Onnipotente aveva diviso. Per aggirare il divieto, Mildred e
Richard attraversarono il fiume Potomac, che separa la Virginia dal Distretto
di Columbia, la capitale Washington, dove la miscegenation, l’unione fra persone di razza diversa, era permesso
e si sposarono davanti a un giudice di pace. Sposati, con il loro bel
certificato di matrimonio messo in cornice, riattraversarono il fiume e
andarono ad abitare e ad attendere la nascita del primo figlio nella casa di
lui. E vissero felici e contenti. Per un anno, fino alla notte nella quale lo
sceriffo e i suoi uomini buttarono giù la porta e fecero irruzione nella camera
da letto sperando, come verrà detto al processo, di sorprenderli mentre “si
accoppiavano”, il che avrebbe aggiunto reato al reato, visto che la legge per
la conservazione della razza non soltanto proibiva il matrimonio, ma anche il
sesso, avendo questo atto la sempre possibile conseguenza di produrre
“mezzosangue”. A meno che la donna non fosse stata una schiava, ma questa era
storia più vecchia e comunque gli schiavi e la loro prole erano oggetti,
attrezzi, bestie da lavoro, non esseri umani e cittadini. I Loving furono
arrestati in flagante delicto. dopo
la soffiata di un vicino, perché comunque sorpresi a dormire nello stesso
letto, davanti a una parete alla quale avevano appeso il certificato di
matrimonio. “Ah, ha!”, esclamò lo
sceriffo, “ecco la prova del crimine”. Furono poi processati e condannati fino
a quando la lettera che lui inviò al Ministero della giustizia Robert F.
Kennedy spinse il governo a portare il caso davanti alla Corte Suprema degli
Stati Uniti. Nella sentenza il Presidente della corte Thurgood Marshall, un
afroamericano sposato con un’americana di origine Filippina, scrisse qualcosa
che mezzo secolo più tardi risuonerà ancora nella lotta per le unioni fra
omosessuali: Il matrimonio è uno dei diritti civili fondamentali dell’uomo e
del cittadino”. I Loving vinsero la loro
battaglia, anche se si dovrà aspettare il 2000 perché l’ultimo Stato che ancora
aveva nei propri libri una norma contro i matrimoni misti che non poteva più applicare, si decidesse a
cancellarla. Non vissero a lungo: nel 1968 un incidente stradale uccise Richard
e ferì gravemente Mildred, che morirà qualche anno dopo, ancora relativamente
giovane di polmonite. Ma la loro storia, raccontata per la terza volta dal
cinema in un film uscito nell’ultimo weekend prima del voto dell’8 novembre per
la Casa Bianca, è servita a riportare in un’America dilaniata da una campagna
elettorale tossica, il balsamo di un bel ricordo. E di quanto difficile sia
sfuggire all’ala del passato. Nessuno può mai correre più veloce della propria
ombra.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna di Repubblica – 19 Novembre
2016 -
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