Alle soglie dell’età moderna, in Europa, sono avvenuti giganteschi
trasferimenti e spostamenti di proprietà e ricchezze, finemente indagati da
Karl Marx . Il suo pensiero conteneva un’idea semplice: l’economia condiziona le forme della
vita umana e la sete di proprietà e di ricchezza dei sovrastanti ha come scopo
l’aumento del tempo libero per godere l’esistenza, formare la mente, arricchire
le facoltà, togliendo il tempo di vita alla maggioranza della popolazione. La
centralità del tempo rappresenta il punto fondamentale delle indagini marxiane.
La posta in gioco della lotta storica e di classe sarebbe dunque altissima e
consistente nel godimento dell’esistenza attraverso la disponibilità di molto
tempo libero per il piacere dello studio, il senso del gratuitoil tempo di
formazione, la gioia delle relazioni oggi completamente distrutte da
violentissime ideologie del tempo di lavoro a tutti i costi. Morale della
facola: la creazione di una cineseria operaia rimbambita. sordita, senza campo
di visibilità, e soprattutto senza tempo e irrimediabilmente esaurita e
sfinita. LuigVavalà lvavala@me.com
Al Di La Degli
Stereotipi, tipici
di chi non ha mai letto Marx e perciò lo inquadra nei soliti luoghi comuni che
per altro non gli corrispondono proprio, lei evidenzia un tema, quello del
tempo libero, inteso come padronanza e disponibilità del proprio tempo, che a
Marx stava particolarmente a cuore. Per
lui l’alienazione non era solo nel fatto che il salario del lavoratore fosse
inferiore al valore che il manufatto messo sul mercato aveva acquisito grazie
al suo lavoro, ma era soprattutto nel fatto che tutto il tempo e quindi tutta
la vita del lavoratore fosse sequestrata dal suo lavoro. Scrive nel Capitale:
“L’operaio quando si presenta sul mercato vende,, come tutti, la sua merce che,
nel suo caso, è la sua forza lavoro. Chi la compra la vuole tutta per sé,
dimenticando che l’operaio ha bisogno di tempo non sono per soddisfare i suoi
bisogni fisici, ma soprattutto per la soddisfazione dei suoi bisogni
intellettuali e sociali, la cui estensione e il cui numero sono determinati
dallo stato generale della civiltà. Ma siccome per il capitalista il tempo di
lavoro appartiene unicamente all’autovalorizzazione del capitale, il tempo per
un’educazione da esseri umani, per lo sviluppo intellettuale per l’adempimento
di funzioni sociali, per rapporti socievoli, per il libero gioco delle energie
vitali fisiche e mentali, perfino il tempo festivo domenicale, per il e cieco
impulso, nella sua voracità da lupo mannaro capitale, nel suo smisurato, queste
esigenze sono puri e semplici fronzoli”. (..). Oggi, che siamo sufficientemente
riforniti dei beni, si potrebbe allentare questa morsa, liberando quelli che
Marcuse chiama “istinti di vita”, che non sono solo strettamente erotici, ma si
esprimono nell’amore per tutto ciò che piace. Oggi che lo sviluppo della
tecnica (neppure ipotizzabile, soprattutto a livello informatico, negli anni
Cinquanta) ridurrà sempre di più i posti di lavoro. automatizzando un’infinità
di operazioni un tempo affidate all’attività umana, si potrebbe restituire alla
vita il suo senso, che non è solo quello di dedicarla per intero al lavoro, ma
di esprimerla in forme piacevoli e creative che neppure si riescono a
immaginare se tutta la vita è assorbita dal lavoro. Perché avvenga, è
necessario che il capitalismo – a proposito del quale Marx dice che “non è
avaro, ma collezionista” nel senso che dove vede una possibilità di guadagno ci
si butta come un “lupo mannaro”, a prescindere dal bisogno di guadagnare ancora
al di là della ricchezza, magari anche immensa, che già si possiede – rinunci a
questa sua malattia, e che i consumatori rinunciano a soddisfare i bisogni indotti,che si
decresca un po’, sostituendo alla felicità che la società dei consumi ha
collocato nel possesso delle cose, la felicità che scaturisce dalle relazioni e
dal coltivare le nostre passioni affettive e intellettuali. Perché, come
dicevano gli antichi Greci, la felicità consiste nel realizzare se stessi ed
esprimere le proprie potenzialità, e se questo non accade si è vissuto per
niente. Ma forse non abbiamo già più un
gran rispetto della vita: non dico per la vita degli altri – questo
disinteresse è già stato ampiamente raggiunto – ma per la nostra vita stessa.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 5 Novembre 2016
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