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sabato 12 novembre 2016

Lo Sapevate Che: Per Lavorare meno bisogna liberare le passioni...



Alle soglie dell’età moderna, in Europa, sono avvenuti giganteschi trasferimenti e spostamenti di proprietà e ricchezze, finemente indagati da Karl Marx . Il suo pensiero conteneva un’idea  semplice: l’economia condiziona le forme della vita umana e la sete di proprietà e di ricchezza dei sovrastanti ha come scopo l’aumento del tempo libero per godere l’esistenza, formare la mente, arricchire le facoltà, togliendo il tempo di vita alla maggioranza della popolazione. La centralità del tempo rappresenta il punto fondamentale delle indagini marxiane. La posta in gioco della lotta storica e di classe sarebbe dunque altissima e consistente nel godimento dell’esistenza attraverso la disponibilità di molto tempo libero per il piacere dello studio, il senso del gratuitoil tempo di formazione, la gioia delle relazioni oggi completamente distrutte da violentissime ideologie del tempo di lavoro a tutti i costi. Morale della facola: la creazione di una cineseria operaia rimbambita. sordita, senza campo di visibilità, e soprattutto senza tempo e irrimediabilmente esaurita e sfinita.       LuigVavalà lvavala@me.com

Al Di La Degli Stereotipi, tipici di chi non ha mai letto Marx e perciò lo inquadra nei soliti luoghi comuni che per altro non gli corrispondono proprio, lei evidenzia un tema, quello del tempo libero, inteso come padronanza e disponibilità del proprio tempo, che a Marx stava particolarmente a   cuore. Per lui l’alienazione non era solo nel fatto che il salario del lavoratore fosse inferiore al valore che il manufatto messo sul mercato aveva acquisito grazie al suo lavoro, ma era soprattutto nel fatto che tutto il tempo e quindi tutta la vita del lavoratore fosse sequestrata dal suo lavoro. Scrive nel Capitale: “L’operaio quando si presenta sul mercato vende,, come tutti, la sua merce che, nel suo caso, è la sua forza lavoro. Chi la compra la vuole tutta per sé, dimenticando che l’operaio ha bisogno di tempo non sono per soddisfare i suoi bisogni fisici, ma soprattutto per la soddisfazione dei suoi bisogni intellettuali e sociali, la cui estensione e il cui numero sono determinati dallo stato generale della civiltà. Ma siccome per il capitalista il tempo di lavoro appartiene unicamente all’autovalorizzazione del capitale, il tempo per un’educazione da esseri umani, per lo sviluppo intellettuale per l’adempimento di funzioni sociali, per rapporti socievoli, per il libero gioco delle energie vitali fisiche e mentali, perfino il tempo festivo domenicale, per il e cieco impulso, nella sua voracità da lupo mannaro capitale, nel suo smisurato, queste esigenze sono puri e semplici fronzoli”. (..). Oggi, che siamo sufficientemente riforniti dei beni, si potrebbe allentare questa morsa, liberando quelli che Marcuse chiama “istinti di vita”, che non sono solo strettamente erotici, ma si esprimono nell’amore per tutto ciò che piace. Oggi che lo sviluppo della tecnica (neppure ipotizzabile, soprattutto a livello informatico, negli anni Cinquanta) ridurrà sempre di più i posti di lavoro. automatizzando un’infinità di operazioni un tempo affidate all’attività umana, si potrebbe restituire alla vita il suo senso, che non è solo quello di dedicarla per intero al lavoro, ma di esprimerla in forme piacevoli e creative che neppure si riescono a immaginare se tutta la vita è assorbita dal lavoro. Perché avvenga, è necessario che il capitalismo – a proposito del quale Marx dice che “non è avaro, ma collezionista” nel senso che dove vede una possibilità di guadagno ci si butta come un “lupo mannaro”, a prescindere dal bisogno di guadagnare ancora al di là della ricchezza, magari anche immensa, che già si possiede – rinunci a questa sua malattia, e che i consumatori rinunciano  a soddisfare i bisogni indotti,che si decresca un po’, sostituendo alla felicità che la società dei consumi ha collocato nel possesso delle cose, la felicità che scaturisce dalle relazioni e dal coltivare le nostre passioni affettive e intellettuali. Perché, come dicevano gli antichi Greci, la felicità consiste nel realizzare se stessi ed esprimere le proprie potenzialità, e se questo non accade si è vissuto per niente. Ma forse non abbiamo già  più un gran rispetto della vita: non dico per la vita degli altri – questo disinteresse è già stato ampiamente raggiunto – ma per la nostra vita stessa.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 5 Novembre 2016

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