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lunedì 14 novembre 2016

Lo Sapevate Che: Le scarpe con un'idea (alla Lady Gaga) che piacerebbero ai surrealisti...



Racconta la leggenda pop che è stata Ldy Gaga la prima. Stava preparando il videoclip di culto Born this way, con i suoi effetti agghiaccianti, e ha notato il blog di un designer di Tel Aviv, allora sconosciuto, che creava nel suo studiolo, con una vecchia macchina da cucire, scarpe stravagantissime – tacchi da 10 a 20 centimetri – che, in carenza di clientela, indossava personalmente. Da allora, Kobi Levi, un mingherlino di 41 anni, è alla moda; e le sue creazioni sono predilette da star in cerca non di eleganza, ma di visibilità. Sono scarpe infatti con l’idea; rappresentano una banana sbucciata (la passione di Whoopi Goldberg); una caffettiera da cui cola il cioccolato (il flotto di cioccolato è il tacco); un gatto che si stiracchia; una scarpa da tennis capitata su una gomma (anche qui è il tacco alzo 12 che simula la gomma colante). Languorose cantanti sexy sollevano dalla vasca da bango lunghe gambe calzanti una nuvola di panna – è la suola compensata della creazione di Kobi: le sue doppie piante possono contenere, in trasparenza, bambolotti (in formaldeide?); i tacchi a stiletto rosa possono raddoppiarsi stile fenicottero a riposo; il retro della scarpa può aprirsi con una dentatura da squalo o far dondolare una coda di cavallo. E’ con quest’ultimo décolleté oro, appunto, crini di cavallo che Kobi si ritrae per la mostra che aprirà in Florida l’8 gennaio. Il modello più osé rappresenta una bambola di gomma – con il tacco in forma di gamba femminili ripiegata: calzata a sua volta di una scarpa il cui tacco si insinua nella parte posteriore del tallone. “Tutto accade sul retro, della scarpa” sorride Kobi.
Una bella mattina di primavera del 1934 giravano nel mercatino di primavera delle pulci di Parigi lo scultore Giacometti e il poeta Breton, il creatore del Surrealismo. Erano in crisi: sentimentale per Breton, creativa per Alberto Giacometti, che non riusciva a finire la statua di una tenera giovinetta viperina, con piccoli seni e le mani aperte verso un oggetto assente. Comperarono, Giacometti una maschera antigas di guerra in metallo, André Breton un grosso cucchiaio di legno, il cui manico poggiava, per renderlo stabile, su una scarpetta, il cui tacco ne rappresentava a sua volta un’altra, minuscola. Breton predicava che i nostri desideri interiori possono incontrare oggetti esterni che l’inconscio riconosce, e che fungono da catalizzatori delle pulsioni, o risolvono i notri conflitti. Giacometti fu indotto dalla maschera di guerra a rendere più acuminata la sua immagine, troppo morbida, dell’attesa d’amore (L’oggetto invisibile). Breton non tardò a interpretare la natura per lui fallica del cucchiaio, e il delirio di potenza suggerito dalla sua stabilità, e dall’infinita ripetizione della scarpetta. La forma concava del cucchiaio, così prossima e adeguata al suo manico, gli
faceva sognare un’accoglienza perfetta. Quell’arnese da trovarobato concentrava il suo desiderio, “come gli oggetti che accostiamo in sogno”.
Daria Galateria – Vite Parallele – Il Venerdì di Repubblica – 11 Novembre 2016 -

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