Racconta
la leggenda pop che è stata Ldy Gaga la prima. Stava preparando il videoclip di
culto Born this way, con i suoi
effetti agghiaccianti, e ha notato il blog di un designer di Tel Aviv, allora
sconosciuto, che creava nel suo studiolo, con una vecchia macchina da cucire,
scarpe stravagantissime – tacchi da 10 a 20 centimetri – che, in carenza di clientela,
indossava personalmente. Da allora, Kobi Levi, un mingherlino di 41 anni, è
alla moda; e le sue creazioni sono predilette da star in cerca non di eleganza,
ma di visibilità. Sono scarpe infatti con l’idea; rappresentano una banana
sbucciata (la passione di Whoopi Goldberg); una caffettiera da cui cola il
cioccolato (il flotto di cioccolato è il tacco); un gatto che si stiracchia;
una scarpa da tennis capitata su una gomma (anche qui è il tacco alzo 12 che
simula la gomma colante). Languorose cantanti sexy sollevano dalla vasca da
bango lunghe gambe calzanti una nuvola di panna – è la suola compensata della
creazione di Kobi: le sue doppie piante possono contenere, in trasparenza,
bambolotti (in formaldeide?); i tacchi a stiletto rosa possono raddoppiarsi
stile fenicottero a riposo; il retro della scarpa può aprirsi con una dentatura
da squalo o far dondolare una coda di cavallo. E’ con quest’ultimo décolleté
oro, appunto, crini di cavallo che Kobi si ritrae per la mostra che aprirà in
Florida l’8 gennaio. Il modello più osé rappresenta una bambola di gomma – con
il tacco in forma di gamba femminili ripiegata: calzata a sua volta di una
scarpa il cui tacco si insinua nella parte posteriore del tallone. “Tutto
accade sul retro, della scarpa” sorride Kobi.
Una
bella mattina di primavera del 1934 giravano nel mercatino di primavera delle
pulci di Parigi lo scultore Giacometti e il poeta Breton, il creatore del
Surrealismo. Erano in crisi: sentimentale per Breton, creativa per Alberto
Giacometti, che non riusciva a finire la statua di una tenera giovinetta
viperina, con piccoli seni e le mani aperte verso un oggetto assente.
Comperarono, Giacometti una maschera antigas di guerra in metallo, André Breton
un grosso cucchiaio di legno, il cui manico poggiava, per renderlo stabile, su
una scarpetta, il cui tacco ne rappresentava a sua volta un’altra, minuscola.
Breton predicava che i nostri desideri interiori possono incontrare oggetti
esterni che l’inconscio riconosce, e che fungono da catalizzatori delle
pulsioni, o risolvono i notri conflitti. Giacometti fu indotto dalla maschera
di guerra a rendere più acuminata la sua immagine, troppo morbida, dell’attesa
d’amore (L’oggetto invisibile).
Breton non tardò a interpretare la natura per lui fallica del cucchiaio, e il
delirio di potenza suggerito dalla sua stabilità, e dall’infinita ripetizione della
scarpetta. La forma concava del cucchiaio, così prossima e adeguata al suo
manico, gli
faceva
sognare un’accoglienza perfetta. Quell’arnese da trovarobato concentrava il suo
desiderio, “come gli oggetti che accostiamo in sogno”.
Daria
Galateria – Vite Parallele – Il Venerdì di Repubblica – 11 Novembre 2016 -
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