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martedì 8 novembre 2016

Lo Sapevate che: Delegittimo sarai tu...



Legittimo E’ chi è conforme alla legge  o ciò che vien fatto probe, onestamente, degno di approvazione, in quanto forte, capace di dar buoni frutti (probus ager è il campo fertile). Ci appare perciò legittimo quel potere che non solo obbedisce  a un Diritto che lo trascende, ma è in grado di garantire e sviluppare l’eudaimonia, il benessere della nostra città. Da questo punto di vista, il conflitto politico si è sempre svolto nel tentativo di delegittimare la parte avversaria, di mostrare, cioè, come essa è o sarebbe impotente a farci crescere, come  i suoi programmi e i suoi uomini non siano probi. Non si tratta di delegittimazione, invece, ma di una forma di criminalizzazione quando l’avversario viene definito indegno perché fuori-legge tout court. Se il criminale giunge al potere, cosa del tutto possibile, è evidente che ciò è il prodotto di un collasso dell’intero sistema. E’ forza allora fuoriuscire dall’ordine del gioco de-legittimante proprio della politica “pacifica”, per entrare in quello della politica “guerra civile”. Nel primo tutti i contendenti si riconoscono, infatti, conformi alla legge, nel secondo si combattono in quanto non obbedienti a essa, prepotenti che vogliono imporre un nuovo gioco, di cui essi soli stabiliscono senso e regole. L’idea di legittimità contiene in sé quella di un patto, di una convenzione che viene rispettata. Ciò che viene de-legittimato è solo il programma politico dell’avversario. Gli avversari divengono inimici quando sovvertono tale ordine del gioco e si dichiarano reciprocamente indegni. Scivoliamo su questa pericolosissima china da qualche decennio. L’avversario imbroglia, inganna, bara. Se vince è per complotti, o per il sostegno di “poteri forti” . (..). Ma chi bara in politica? Il più elementare realismo dovrebbe insegnare che qui i patti non possono aver forza se non in ragione della loro uilità. Esigere fede eterna in queste troppo umnae faccende non è che patetica spia di impotenza. L’avversario può essere ingannato (è sempre avvenuto e sempre avverrà), ma ciò che infrange irreparabilmente le regole di questo particolarissimo gioco è proprio il denunciare la sua indegnità a prendervi parte, il carattere abusivo della sua presenza. Ogni patto politico è sub condicione, e lo rispetto finché lo ritenga utile alla vittoria del mio probo programma. (..). Quando l’avversario viene dichiarato “traditore del popolo”? Avviene che entra in crisi il paradigma abiologico stesso del regime democratico, che minaccia di venir meno la “fede” nei suoi valori fondamentali. La criminalizzazione dell’avversario, su questo terreno, implica infatti che si consideri il popolo ormai indifeso nei confronti dei poteri e degli interessi che vogliono manipolarne domande, attese, speranze, semplice preda della macchina di costruzione del consenso. E’ questa la realtà oggi delle nostre democrazie? A furia di smantellare ogni forma di auto-organizzazione, di autonomia, di cooperazione dotata di significato politico, in nome di un’idea astratta di popolo, siamo giunti al punto che drammaticamente si rappresenta negli scontri Trump-Hillary, dove l’intera scena è dominata dall’accusa “tu tradisci il popolo”? Da qui il passo è breve per giungere a pensare che il gioco politico tout court è “traditore”, o almeno ingannatore o fraudolento. E allora tutti a inseguire la deriva: la bontà di certe riforme decantata perché riduce i “costi della politica”; le virtù dei “politici” misurate sulla loro distanza dal “palazzo”, come se ci fosse mai stata una politica “fuori” palazzo, e non su competenza e probità dei programmi. Ipocrisie selvagge: a furia di  declamare l’indegnità dell’avversario, passa ogni giorno di più un’idea di debolezza, indifferenza e inaffidabilità dello stesso ordine democratico. C’è una gravissima crisi di quest’ordine, e il comportamento dei suoi politici sembra rappresentarla ignorandone cause e possibili effetti. Non sarebbe la prima volta che essi tagliano il ramo su cui sono seduti.
Massimo Cacciari – Parole nel vuoto – www.lespresso.it – L’Espresso – 10 ottobre 2016 -

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