Legittimo E’ chi è conforme alla legge o ciò che vien fatto probe, onestamente,
degno di approvazione, in quanto forte, capace di dar buoni frutti (probus ager
è il campo fertile). Ci appare perciò legittimo quel potere che non solo obbedisce a un Diritto che lo trascende, ma è in grado
di garantire e sviluppare l’eudaimonia, il benessere della nostra città. Da
questo punto di vista, il conflitto politico si è sempre svolto nel tentativo
di delegittimare la parte avversaria, di mostrare, cioè, come essa è o sarebbe
impotente a farci crescere, come i suoi
programmi e i suoi uomini non siano probi.
Non si tratta di delegittimazione, invece, ma di una forma di criminalizzazione
quando l’avversario viene definito indegno perché fuori-legge tout court. Se il
criminale giunge al potere, cosa del tutto possibile, è evidente che ciò è il
prodotto di un collasso dell’intero sistema. E’ forza allora fuoriuscire
dall’ordine del gioco de-legittimante proprio della politica “pacifica”, per
entrare in quello della politica “guerra civile”. Nel primo tutti i contendenti
si riconoscono, infatti, conformi alla legge, nel secondo si combattono in
quanto non obbedienti a essa, prepotenti che vogliono imporre un nuovo gioco,
di cui essi soli stabiliscono senso e regole. L’idea di legittimità contiene in
sé quella di un patto, di una convenzione che viene rispettata. Ciò che viene
de-legittimato è solo il programma politico dell’avversario. Gli avversari
divengono inimici quando sovvertono
tale ordine del gioco e si dichiarano reciprocamente indegni. Scivoliamo su questa pericolosissima china da qualche
decennio. L’avversario imbroglia, inganna, bara. Se vince è per complotti, o
per il sostegno di “poteri forti” . (..). Ma chi bara in politica? Il più
elementare realismo dovrebbe insegnare che qui i patti non possono aver forza
se non in ragione della loro uilità. Esigere fede eterna in queste troppo umnae
faccende non è che patetica spia di impotenza. L’avversario può essere
ingannato (è sempre avvenuto e sempre avverrà), ma ciò che infrange
irreparabilmente le regole di questo particolarissimo gioco è proprio il
denunciare la sua indegnità a prendervi parte, il carattere abusivo della sua
presenza. Ogni patto politico è sub
condicione, e lo rispetto finché lo ritenga utile alla vittoria del mio probo programma. (..). Quando
l’avversario viene dichiarato “traditore del popolo”? Avviene che entra in
crisi il paradigma abiologico stesso del regime democratico, che minaccia di
venir meno la “fede” nei suoi valori fondamentali. La criminalizzazione
dell’avversario, su questo terreno, implica infatti che si consideri il popolo
ormai indifeso nei confronti dei poteri e degli interessi che vogliono
manipolarne domande, attese, speranze, semplice preda della macchina di
costruzione del consenso. E’ questa la realtà oggi delle nostre democrazie? A
furia di smantellare ogni forma di auto-organizzazione, di autonomia, di
cooperazione dotata di significato politico, in nome di un’idea astratta di
popolo, siamo giunti al punto che drammaticamente si rappresenta negli scontri
Trump-Hillary, dove l’intera scena è dominata dall’accusa “tu tradisci il
popolo”? Da qui il passo è breve per giungere a pensare che il gioco politico
tout court è “traditore”, o almeno ingannatore o fraudolento. E allora tutti a
inseguire la deriva: la bontà di certe riforme decantata perché riduce i “costi
della politica”; le virtù dei “politici” misurate sulla loro distanza dal
“palazzo”, come se ci fosse mai stata una politica “fuori” palazzo, e non su
competenza e probità dei programmi. Ipocrisie selvagge: a furia di declamare l’indegnità dell’avversario, passa
ogni giorno di più un’idea di debolezza, indifferenza e inaffidabilità dello
stesso ordine democratico. C’è una gravissima crisi di quest’ordine, e il
comportamento dei suoi politici sembra rappresentarla ignorandone cause e
possibili effetti. Non sarebbe la prima volta che essi tagliano il ramo su cui
sono seduti.
Massimo Cacciari – Parole nel vuoto – www.lespresso.it – L’Espresso – 10 ottobre
2016 -
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