La madre ragusana accusata d’aver
ucciso il figlio di 8 anni è stata condannata a 30 anni di reclusione, essendo
stata ritenuta capace di intendere e di volere. Ora mi chiedo: ma quale essere
umano che ammazza un altro essere umano (in questo caso addirittura il figlio)
può essere giudicato “capace di intendere e di volere”, almeno nel momento in
cui compie un tale delitto? Con questo non dico che chi commette un delitto
debba essere lasciato libero, ma che occorre cambiare radicalmente l’approccio
al tema della colpa, del reato e della sanzione a essi collegata. Significa,
per esempio, che a una madre come quella d Santa Croce Camerina (o come quella
di Cogne, che anni fa commise analogo delitto) non si può appioppare semplicemente
una pena di 30 anni di carcere, senza porsi innanzitutto il problema di
comprendere cosa può succedere nella testa (e nel cuore) di un essere umano
quando compie gsti così disumani, e in secondo luogo senza mettere in atto le
azioni terapeutiche possibili per provare (se non altro provare) a recuperarlo
sul piano psicologico, prima ancora che morale. Giovanni Lamagna lamagnagio@tiscali.it
Questa Mia Risposta alla sua lettera non intende
esprimere alcun giudizio sulla madre che la sentenza che la sentenza emessa dal
tribunale dice abbia ucciso suo figlio e tanto meno esprimere un giudizio sulla
sentenza. Vuole semplicemente tentare di capire come queste cose possono
accadere. 1. Innanzitutto va detto che l’amore materno non è mai solo amore,
perché ogni madre è attraversata dall’amore per il figlio, ma anche dal rifiuto
del figlio. E questo “per natura”, perché nella donna, più marcatamente che nel
maschio, si dibattono due soggettività: una rappresentanza del suo “io”,
l’altra che la fa sentire “depositaria della specie”. Le due soggettività sono
antitetiche perché l’una vive a spesa dell’altra. A guardare le cose dal punto
di vista del suo “io”, per la donna mettere al mondo un figlio è una perdita secca.
Deve assistere alla trasformazione del suo corpo, subire il trauma della
nascita, soddisfare le esigenze del neonato che vive e si nutre del suo
sacrificio: sacrificio del suo corpo a disposizione dell’allattamento, del suo
tempo, del suo sonno, delle sue relazioni, talvolta del suo lavoro, della sua
carriera, dei suoi affetti o dei suoi amori, che non sono unicamente per il
figlio. Il conflitto tra queste due soggettività è ala base dell’amore, ma anche dell’odio materno. (..). 2. Per quanto riguarda la capacità di
intendere e volere, che per l’ordine giuridico fa la differenza tra il
delinquente e il folle, è una categoria riservata alla religione: un peccato è
mortale solo se compiuto con “piena avvertenza” (capacità d’intendere) e
“deliberato consenso” (capacità di volere). Ma l’ordine religioso e quello
giuridico non tengono finora conto della “capacità di sentire”, cioè se nel
compiere il suo gesto il soggetto avverta una risonanza emotiva della sua
azione.. Kant diceva che il bene e il male potremmo anche non definirli, perché
ciascuno li “sente” naturalmente da sé. Non è sempre vero. e oggi meno che mai. Quando anni fa ebbi
l’occasione di intervistare i ragazzi che gettavano i sassi dal cavalcavia
sull’autostrada, in loro non si avvertiva alcuna risonanza emotiva della
gravità del loro gesto, e di conseguenza in loro non sorgeva alcun giudizio
morale. Anche oggi mi piacerebbe sapere se chi molesta gli handicappati, chi
svergogna sui social le ragazze, chi dà fuoco ai senzatetto che dormono sulle
panchine, “sente” o “non sente” la gravità delle proprie azioni. Mi piacerebbe
sapere se soggetti del genere avvertono la differenza tra parlar male di un
professore o prenderlo a calci, tra corteggiare una ragazza o stuprarla. Perché
se non avvertono questa differenza, allora sono privi di una facoltà
fondamentale che non è né l’intendere né il volere, ma il “sentire”. E se
questo non viene educato o, se perso, ricostruito, la condanna di quel
soggetto, per quanti anni di galera possa fare, non cambierà. Siamo sempre lì.
Il grande problema è l’educazione dei sentimenti. Ma chi provvede?
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 29 Ottobre 2016 -
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