In occasione degli avvenimenti
parlamentari a proposito delle “unioni civil”, si è ricordato che proprio
quest’anno cade il cinquantesimo anniversario del “caso della Zanzara”, ovvero
il processo a Milano a tre studenti e al preside del Ginnasio-Liceo Parini,
accusati di “stampa oscena e corruzione di minorenni” per aver pubblicato
sul giornale della scuola (La Zanzara, appunto) un inchiesta dal
titolo “Cosa pensano le ragazze di oggi”. Il professore di religione don Luigi
Giussani, che animava il gruppo “Gioventù Studentesca” protestò per “l’offesa recata alla sensibilità e al
costume morale comune”, in quanto si parlava di “educazione sessuale, di
liceità dell’amore libero” e perché le intervistate erano minorenni. Il
Corriere Lombardo amplificò la protesta e un gruppo di genitori firmò la
denuncia. I tre studenti vennero interrogati in Questura dal famoso commissario
Grappone (il poliziotto che aveva
arrestato il terribile bandito Luciano Lutrig) con corredo di luce negli occhi,
grida, minacce e domande tipo: “Hai fatto la Wasserman? Tuo padre ha
l’amante?”. Voleva, il Grappone, i nomi delle minorenni. Passarono poi nelle
mani del sostituto procuratore Pasquale Carcasio il quale- forte di una norma
del 1934 – si propose di verificare la capacità di intendere e volere dei
ragazzi (Marco Sessano, Marco De Poli e Claudia Beltramo Ceppi) facendoli
spogliare e, alla presenza di un medico, “valutare lo stato dei loro organi
genitali”. Due subirono l’umiliazione, ma per evitarla alla loro compagna
fuggirono tutti dal palazzo e si rifugiarono nello studio dell’avvocato
Giandomenico Pisapia (il papà dell’attuale sindaco di Milano). La Zanzara divenne un caso nazionale. La Dc
e il Msi chiesero la condanna dei ragazzi e del preside. Il vicepremier Pietro
Nenni li difese. I gesuiti di Milano anche. L’accusa venne sostenuta dal
procuratore capo Osca Lanzi che gridò
che non si sarebbe arreso “alla civiltà della futura pillola” e definì Claudia Beltramo Ceppi “una di queste ragazze che
vanno in giro con il materasso dietro la schiena”. Alla fine, tutti vennero assolti, alla
presenza di 400 giornalisti e di
migliaia di studenti arrivati in corteo.
Le Monde e il New York Times, in prima pagina, salutarono il “cambio di morale in
Italia”. La Procura chiese di spostare il processo di appello (“Milano è
ingovernabile”), la Cassazione lo accordò; ma un nuovo processo non si fece mai
più. Nel 1966 il divorzio era illegale, l’abbandono del tetto coniugale era
reato, così come l’adulterio; il “delitto d’onore”, vista l’esiguità della
pena, era consigliato; la moglie era per legge completamente subordinata al
marito; i figli illegittimi non avevano tutele; l’aborto era reato; la pillola
contraccettiva non era venduta nelle farmacie; il 66 per cento degli italiani
(secondo un sondaggio) non avrebbe mai sposato una donna “non illibata”; i
matrimoni potevano essere sciolti solo dalla Sacra Rota vaticana. E adesso,
dopo appena cinquant’anni da quei tempi felici e ordinati, il parlamento
dovrebbe votare i matrimoni gay?
Enrico Deaglio – Annali – Il Venerdì di Repubblica – 26
febbraio 2016 -
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