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venerdì 4 marzo 2016

Lo Sapevate Che: La Zanzara cambiò davvero la morale? No, a guardare come va con le unioni civili...



In occasione degli avvenimenti parlamentari a proposito delle “unioni civil”, si è ricordato che proprio quest’anno cade il cinquantesimo anniversario del “caso della Zanzara”, ovvero il processo a Milano a tre studenti e al preside del Ginnasio-Liceo Parini, accusati di “stampa oscena e corruzione di minorenni” per aver pubblicato sul  giornale della scuola (La Zanzara, appunto) un inchiesta dal titolo “Cosa pensano le ragazze di oggi”. Il professore di religione don Luigi Giussani, che animava il gruppo “Gioventù Studentesca” protestò per  “l’offesa recata alla sensibilità e al costume morale comune”, in quanto si parlava di “educazione sessuale, di liceità dell’amore libero” e perché le intervistate erano minorenni. Il Corriere Lombardo amplificò la protesta e un gruppo di genitori firmò la denuncia. I tre studenti vennero interrogati in Questura dal famoso commissario Grappone  (il poliziotto che aveva arrestato il terribile bandito Luciano Lutrig) con corredo di luce negli occhi, grida, minacce e domande tipo: “Hai fatto la Wasserman? Tuo padre ha l’amante?”. Voleva, il Grappone, i nomi delle minorenni. Passarono poi nelle mani del sostituto procuratore Pasquale Carcasio il quale- forte di una norma del 1934 – si propose di verificare la capacità di intendere e volere dei ragazzi (Marco Sessano, Marco De Poli e Claudia Beltramo Ceppi) facendoli spogliare e, alla presenza di un medico, “valutare lo stato dei loro organi genitali”. Due subirono l’umiliazione, ma per evitarla alla loro compagna fuggirono tutti dal palazzo e si rifugiarono nello studio dell’avvocato Giandomenico Pisapia (il papà dell’attuale sindaco di Milano). La Zanzara divenne un caso nazionale. La Dc e il Msi chiesero la condanna dei ragazzi e del preside. Il vicepremier Pietro Nenni li difese. I gesuiti di Milano anche. L’accusa venne sostenuta dal procuratore capo Osca Lanzi  che gridò che non si sarebbe arreso “alla civiltà della futura pillola” e definì Claudia  Beltramo Ceppi “una di queste ragazze che vanno in giro con il materasso dietro la schiena”.  Alla fine, tutti vennero assolti, alla presenza di 400  giornalisti e di migliaia di studenti  arrivati in corteo. Le Monde e il New York Times, in prima pagina, salutarono il “cambio di morale in Italia”. La Procura chiese di spostare il processo di appello (“Milano è ingovernabile”), la Cassazione lo accordò; ma un nuovo processo non si fece mai più. Nel 1966 il divorzio era illegale, l’abbandono del tetto coniugale era reato, così come l’adulterio; il “delitto d’onore”, vista l’esiguità della pena, era consigliato; la moglie era per legge completamente subordinata al marito; i figli illegittimi non avevano tutele; l’aborto era reato; la pillola contraccettiva non era venduta nelle farmacie; il 66 per cento degli italiani (secondo un sondaggio) non avrebbe mai sposato una donna “non illibata”; i matrimoni potevano essere sciolti solo dalla Sacra Rota vaticana. E adesso, dopo appena cinquant’anni da quei tempi felici e ordinati, il parlamento dovrebbe votare i matrimoni gay?
Enrico Deaglio – Annali – Il Venerdì di Repubblica – 26 febbraio 2016 -

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