Davanti agli schermi dei televisori,
con gli occhi sgranati e il cuore in gola, milioni di esseri umani seguono la
campagna elettorale americana come si attende una sentenza di vita o di morte.
Sono i quasi 12 milioni di immigrati senza permesso di soggiorni, di “alieni
illegali” come si dice nel gergo vagamente fantascientifico, o”clandestini”,
nel volgare marinaresco della nostra nazione di pochi santi, rari poeti e molti
navigatori. Sono persone come Ehiracenia Varquez, donne che ci riportano al
“Ground Zero”, alla realtà della vita in gola, che loro consumano ogni minuto.
Quando lei ascolta i candidati del partito Repubblicano che garantiscono, come
Donald Trump, di espellere tutti gli “illegali” e di innalzare una muraglia
invalicabile alla frontiera del Sud, pensa giustamente che si parli di lei, del
marito, del figlio di otto anni che la guarda e le chiede: “Mamita, perché
piangi?”. (..).Ehiracenia ce la fece. Andò ad abitare presso una zia a Houston,
nel Texas. Conobbe un “clandestino” come lei e con lui, sposato da una
congregazione religiosa che li accettò, ebbe un bambino, Nestor, nato nel
2008.E Nestor, come tutti i nati sul territorio degli Stati Uniti è cittadino
americano. Ma né lei né il padre, hanno alcuna speranza, con le leggi
esistenti, di arrivare alla Carta Verde, che poi verde non è affatto – lo so.
la ebbi anche io – ma permette dopo cinque anni di richiedere la cittadinanza.
Se quelle teste gonfie che blaterano contro di lei dai teleschermi dovessero
entrare alla Casa Bianca e mantenere gli impegni, avrebbe la certezza di essere
riportata oltre la frontiera e dover decidere se portare via con sé Nestor
verso lo stato messicano di Tapaulinas, da dove lei viene. Ma per lui, come fu
per lei, non ci sarebbero lavoro, speranza futuro, nessun avvenire, se non
nelle gang che prosperano sui traffici di droga e di esseri umani come lei. (..).
Nell’autunno di due anni or sono, una lucina di speranza si accese sopra il
televisore. Il Presidente Obama ordinò di sospendere le espulsioni di
clandestini che avessero figli americani, ma subito dopo, un tribunale del
Texas contrordinò di congelare quell’ordine, nel sospetto che fosse
incostituzionale. E ora Ehiracenia è tornata a vivere la propria non vita. Lavora,
come il marito, sempre “in nero”, lei come badante di bambini altrui, lui come
meccanico in un’officina che non si formalizza sui documenti. Guarda ogni auto
della polizia con terrore, perché se la fermassero per qualunque motivo, uno
stop bruciato, un faro rotto, un sorpasso un po’ azzardato, scoprirebbero che
non ha documenti e la spedirebbero immediatamente, senza ricorsi giudiziari,
oltre confine. Nel mobile sul quale si regge quel televisore, lei tiene in un
sacchetto di plastica da freezer, di quelli con la zip, tutte le prove della
sua esistenza. Ricevute di ogni acquisto, fotografie, scontrini – i famigerati
scontrini – resoconti dei contanti incassati per i suoi lavori, fatture per le
riparazioni alla roulotte nella quale vive con il marito, tutto quanto possa
dimostrare un giorno, a un giudice, che lei da quasi 14 anni è una cittadina
esemplare. Comprese le pagelle di Nestor, che la guarda e non capisce perché,
invece di ridere alle idiozie gridate dai candidati, lei pianga.
Vittorio Zucconi – Donna di Repubblica – 12 marzo 2016 -
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