Quella Mattina Di
Luglio del 1979,
dietro la bara di Giorgio Ambrosoli, ucciso dalla magia per ordine di Michele
Sindona, lo Stato non c’era. Con l’eccezione di Paolo Baffi, che di lì a poco –
umiliato da accuse infondate – lascerà la carica di governatore della Banca
d’Italia, e dei due magistrati che indagavano sul crac della Privata, la banca
di Sindona i cui segreti erano stati svelati proprio da Ambrosoli. Il mandante
sopravvivrà alla sua vittima e si suiciderà nel carcere di Voghera nel 1986,
esattamente trent’anni fa, inscenando la sua ultima, tragica farsa: passare per
vittima di un omicidio.(..). Ecco, forse è questa la chiave di lettura del bel
libro – insieme saggio e romanzo giallo – che Marco Magnani, economista e
storico, non a caso ha intitolato “Sindona. Biografia degli anni
Settanta”(Einaudi…), perché questa è non solo la storia di un ambizioso
faccendiere che lascia la Sicilia per dare l’assalto a Milano e al “salotto
buono”, ma l’affresco di una stagione in
cui, grazie alla resa della politica, dettano legge poteri occulti, bande
criminali, servizi segreti, spiriti eversivi. Tutti uniti nel fare di un uomo
spregiudicato lo strumento consapevole dei loro traffici. Magari con la
benedizione del Vaticano. Il fenomeno Sindona nasce nei primi Sessanta, gli
anni del Piano Solo, del fallimento dell’apertura a sinistra, del sogno
infranto della programmazione. Ed esplode nel Settanta, segnati dal terrorismo
nero e dalle Br, dalle guerre di Cosa Nostra e dalle manovre della P2, da
scandali politici-finanziari (Lockheed, Eni-Petromin, petroli) e dalle prime
tempeste monetarie: In questa “grande pestilenza ” (Guido Carli), Sindona
sguazza da par suo alimentandone i vizi peggiori: mentre costruisce il suo
impero. Banca Unione, Sviluppo, Finambro, Banca Privata – aiuta gli
imprenditori del boom a evadere il
fisco, porta i loro capitali all’estero, sfonda negli Usa, finanzia
generosamente la Dc, si allea con la massoneria e con la finanza cattolica
(l’Ambrosiano di Roberto Calvi), diventa l’uomo di riferimento dello Ior e dei
suoi traffici. (..). Raccomandato All’Inizio dal banchiere dei banchieri Raffaele
Mattioli, apprezzato da Enrico Cuccia (che poi diventerà il suo più acerrimo
nemico e ne riceverà in cambio minacce mafiose), Sindona incuriosisce (ma per
poco) perfino Cesare Merzagora ed Eugenio Scalfari che in lui intravedono
l’arma per fermare Eugenio Cefis, primo campione di quell’intreccio tra impresa
pubblica, politica e affari che tuttora avvelena la storia d’Italia. Ma per
paradosso la sua “grandezza sinistra” (ancora Carli) si manifesterà proprio
quando il suo impero crollerà e il fallimento della Franklin Bank e della banca
Privata coinvolgerà 125 società di undici Paesi legate tra loro da holding
basate nei paradisi fiscali. Per salvarsi dall’inevitabile crac e dalla galera,
Sindona implora Giulio Andreotti, mette in moto Gelli, arma un sicario di Cosa
Nostra per far fuori Ambrosoli. Intanto giudici compiacenti arrestano Mario
Sarcinelli, numero tre della Banca d’Italia, sulla base di accuse ridicole e
spingono Baffi alle dimissioni. (..). Se questo avvenne,
Sostiene Magnani, è
anche perché proprio allora i grandi partiti cominciavano a mostrare una
debolezza che diventerà cronica.(..). Le conclusioni di Magnani sono amare. E’
allora che comincia il declino della cultura repubblicana, si forma la
“versione patologica del capitalismo relazionale” all’italiana che negli anni
Ottanta si gonfia con la spesa pubblica, non scompare con Tangentopoli e
persiste fino a oggi. Sul bene comune vince il disprezzo delle regole che
istituzioni e politica non sanno difendere. Insomma, se Sindona fu sconfitto e
il pericolo evitato, lo si deve solo a poche persone tenaci e determinate. Oggi
ce ne sarebbe un gran bisogno.
Bruno Manfellotto – Questa settimana www.lespresso.it - @bmanfellotto – 17 marzo
2016
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