La fabbrica delle salsicce, è meglio
non visitarla mai, se non vuoi diventare vegetariano per sempre. E’ una vecchia
battuta di cui molti si sono attribuiti
la paternità. Risale alla fine dell’Ottocento. La fabbrica delle salsicce è la
democrazia americana. E’ la politica vista da vicino. Brutta sporca e cattiva.
Poi, alla fine, guardando ai risultati, è meno peggio di ogni altro regime al
mondo. Non scambieremmo le nostre scassate e deludenti democrazie occidentali
con una teocrazia degli ayatollah, o con una dittatura fascista o comunista che
decida che libri possiamo leggere o se abbiamo il diritto di viaggiare. Ogni
quattro anni, fa parte del mio mestiere visitare la fabbrica delle salsicce.
Una visita molto ravvicinata.(..) . Nella vita normale di un corrispondente la
maggior parte del tempo va trascorso a New York e a Washington, i centri del
potere, là dove si prendono le decisioni di portata mondiale. Con l’aggiunta di
San Francisco, per via della Silicon Vally: anche quello è a modo suo un centro
del mondo, dove regnano i Padroni della Rete. (..). Ogni quattro anni però.
diventa obbligatorio seguire un itinerario molto più variegato, complicato e
istruttivo. Si comincia da Des Moines in mezzo ai campi di granoturco
dell’Iowa, Stato agricolo del Mid-West. Poi c’è Manchester nel New Hampshire ,
tra i primi insediamenti dei coloni venuti dall’Inghilterra. A seguire il
Nevada sempre più ispanico, il profondo Texas, dove comanda il trio
Bibbia-petrolio-armi, la Florida. Con puntate possibilmente anche nell’Ohio,
Pennsylvania. E’ il percorso a ostacoli delle primarie. Segue un calendario
molto casuale, stabilito tanti anni fa (1972) quando vennero adottate le
attuali regole del gioco per la selezione dei candidati presidenziali, per
modificare un pezzetto alla volta. Sempre con questa logica ferrea: non c’è una
logica. Non si capisce perché gli agricoltori sussidiati che inquinano
l’ambiente per produrre etanolo debbano avere il privilegio di votare per primi
e quindi un peso mediatico smisurato. Tantomeno è sensato lasciare per
quasi-ultimi Stati enormi come New York, o ultimissima la California (a
giugno!), relegando a un ruolo minore proprio le aree più popolose del paese. Ma c’è del metodo, in questa follia. La gara a
ostacoli delle primarie, questo tortuoso gioco dell’oca, costringe almeno noi
giornalisti a entrare nell’America poco conosciuta e poco raccontata.
“Finalmente vi accorgete che esistiamo”, sembrano ghignare gli elettori di quei
posti sperduti e improvvisamente invasi dai network televisivi americani, che
sembrano colonne blindate di invasori da una potenza aliena (il più banale
collegamento con un seggio elettorale comporta camion spaziali targati Fox Cnn
Msnbc, con padelloni satellitari che potrebbero comunicare oltre la Via Latte).
(..). Sarà l’ultima volta? Quest’anno la fabbrica delle salsicce fa più schifo
del solito. Il vantaggio di un corrispondente
dagli Stati Uniti, in tempi buoni, è quello di raccontarvi il futuro
così come lo si prepara nel laboratorio d’innovazione del pianeta. Ma che
futuro è mai questo? Se dovesse finire con la vittoria di un tizio che è un mix
fra Berlusconi, Salvini, Le Pen, Putin? La democrazia che esaltò Alexis de
Tocqueville, nei suoi spasmi e convulsioni, può riservare sorprese angoscianti.
Intanto però bisogna addentrarsi nel ventre della bestia, guardare molto da
vicino, per capire se sta per partorire un mostro.
Federico Rampini – Donna di Repubblica – 19 marzo 2016
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