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domenica 7 ottobre 2018

Lo Sapevate Che: Quanto amore c'è nella passione?...


Tutto finisce, Tutto può finire, succede sempre più spesso alle coppie: dopo anni passati insieme, dopo i figli, avviene che l’altro che ti sta a fianco sia di troppo, sia un ostacolo alla tua vita. Si invoca il diritto alla felicità. Giusto. Tuttavia, mentre la felicità dello stare insieme è cumulativa e diffusiva, la tua felicità si espande sull’altro, la vostra gioia si estende ai figli e il loro benessere ritorno a voi in un circolo affettivo. La felicità successiva sembra procedere per sottrazione: quella che aggiungi per te viene tolta a chi sta insieme a te. A volte penso che nelle coppie ci sa un seme, che resta nascosta, come le radici del bambù che impiegano anni per creare una solida rete di radici, e se si ha fretta si rischia di smettere di coltivare perché sembra una perdita di tempo, perché gli anni passano, ma non si vede crescere niente. Ora vivere in una relazione sterile e anaffettiva non va bene, anche lasciarsi non sembra una buona soluzione, c’è un’altra prospettiva?
Fabrizio Floris  fabrizio.floris@unito.it

Il Matrimonio E’ L’Impresa più difficile che si possa intraprendere, perché in ciascuno di noi c’è un conflitto tra il nostro bisogno di “individuazione” e il nostro bisogno di “coesione”, che sono tra loro in un rapporto inversamente proporzionale, perché a un aumento di individuazione corrisponde una diminuzione di coesione e viceversa. Se il bisogno di individuazione raggiunge una sua maturità e si emancipa dal tratto infantile di chi vuol essere semplicemente diverso dagli altri fino al punto di assumere un atteggiamento reattivo nei confronti degli altri, e se il bisogno di coesione compie lo stesso processo di maturazione, emancipandosi dal bisogno simbiotico con l’altro che ricalca il rapporto infantile che ciascuno di noi ha avuto con la madre, allora ci sono le condizioni per un felice matrimonio e per ua sua durata garantita dal fatto che ciascuno dei due ha bisogno dell’altro per lo sviluppo delle rispettive potenzialità. Tutti capiscono che una condizione del genere è un’opera d’arte. E non tutti siamo artisti, anche se non sarebbe male che ciascuno, prima di unirsi in matrimonio, esaminasse con cura di che natura è il suo bisogno di coesione. A differenza che in passato, quando la famiglia, le condizioni di ceto o di classe, le condizioni economiche, le leggi della Stato, le norme del diritto, i precetti della Chiesa avevano una enorme influenza sulla scelta matrimoniale, oggi questa scelta è del tutto individuale, come se l’amore, rispetto a tutte le leggi che governano la nostra quotidianità, reclamasse una sua assoluta autonomia e non riconoscesse altra autorità che non sia la propria decisione soggettiva. Ma se le cose stanno così, quell’esaminare se stessi prima di inaugurare una vita in comune con un’altra persona assume una rilevanza ancora maggiore. Soprattutto se questo essere padroni assoluti della propria scelta si vincola all’essere padroni assoluti della propria felicità. In questo caso se la felicità è misurata esclusivamente sull’intensità della passione (e questo non è difficile da riconoscere), allora è ovvio che il matrimonio, oltre a non prevederlo come una scelta irrevocabile, diventa, come scriveva Tolstoj “un inferno”. Ma la passione è l’unico modo in cui si può declinare l’amore? La passione, come diceva Stendhal: “non è cieca, è visionaria”. E di visione in visione si può arrivare anche all’allucinazione. È vero che senza visione, senza idealizzazione, non nasce alcun amore, ma non dobbiamo dimenticare che la passione ci rende passivi, perché è lei a condurci in quella conclusione caratterizzata dal “patire l’altro”, mentre l’amore non si accontenta di “patire” perché vuole “agire”, e perciò col tempo rifiuta di declinarsi sul solo versante della passione, trascinato dalla discontinuità delle sue oscillazioni. E rifiutandosi di subire, l’amore crea, come un artista, la sua opera d'arte. Se poi l’opera d’arte non riesce e la relazione si chiude, ascoltiamo i consigli di James Hillman che ci invita a evitare la vendetta che è una risposta emotiva che non emancipa la coscienza, a non cadere nel cinismo che nega il valore dell’altro che un tempo avevamo sopravvalutato, e ci induce a concludere che i grandi amori sono solo per gli ingenui. Non ridicolizziamo i sentimenti più profondi per evitare di vergognarci di averli un giorno provati. Ed evitiamo infine di diventare paranoici pretendendo da un nuovo amore che dovesse sorgere, prove di devozione, giuramenti di mantenere la promessa, dichiarazioni di fedeltà eterna. La fedeltà in sé non è un valore. Un valore è l’amore, perché quando si è innamorati non c’è bisogno di imporsi alcuna forma di fedeltà.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 29 settembre 2018 -                                                 

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