Tutto finisce, Tutto può finire, succede sempre più spesso alle coppie: dopo anni
passati insieme, dopo i figli, avviene che l’altro che ti sta a fianco sia di
troppo, sia un ostacolo alla tua vita. Si invoca il diritto alla felicità.
Giusto. Tuttavia, mentre la felicità dello stare insieme è cumulativa e
diffusiva, la tua felicità si espande sull’altro, la vostra gioia si estende ai
figli e il loro benessere ritorno a voi in un circolo affettivo. La felicità
successiva sembra procedere per sottrazione: quella che aggiungi per te viene
tolta a chi sta insieme a te. A volte penso che nelle coppie ci sa un seme, che
resta nascosta, come le radici del bambù che impiegano anni per creare una
solida rete di radici, e se si ha fretta si rischia di smettere di coltivare
perché sembra una perdita di tempo, perché gli anni passano, ma non si vede
crescere niente. Ora vivere in una relazione sterile e anaffettiva non va bene,
anche lasciarsi non sembra una buona soluzione, c’è un’altra prospettiva?
Il Matrimonio E’ L’Impresa più difficile che si possa intraprendere,
perché in ciascuno di noi c’è un conflitto tra il nostro bisogno di
“individuazione” e il nostro bisogno di “coesione”, che sono tra loro in un
rapporto inversamente proporzionale, perché a un aumento di individuazione
corrisponde una diminuzione di coesione e viceversa. Se il bisogno di
individuazione raggiunge una sua maturità e si emancipa dal tratto infantile di
chi vuol essere semplicemente diverso dagli altri fino al punto di assumere un
atteggiamento reattivo nei confronti degli altri, e se il bisogno di coesione
compie lo stesso processo di maturazione, emancipandosi dal bisogno simbiotico
con l’altro che ricalca il rapporto infantile che ciascuno di noi ha avuto con
la madre, allora ci sono le condizioni per un felice matrimonio e per ua sua
durata garantita dal fatto che ciascuno dei due ha bisogno dell’altro per lo
sviluppo delle rispettive potenzialità. Tutti capiscono che una condizione del
genere è un’opera d’arte. E non tutti siamo artisti, anche se non sarebbe male
che ciascuno, prima di unirsi in matrimonio, esaminasse con cura di che natura
è il suo bisogno di coesione. A differenza che in passato, quando la famiglia,
le condizioni di ceto o di classe, le condizioni economiche, le leggi della
Stato, le norme del diritto, i precetti della Chiesa avevano una enorme
influenza sulla scelta matrimoniale, oggi questa scelta è del tutto
individuale, come se l’amore, rispetto a tutte le leggi che governano la nostra
quotidianità, reclamasse una sua assoluta autonomia e non riconoscesse altra
autorità che non sia la propria decisione soggettiva. Ma se le cose stanno
così, quell’esaminare se stessi prima di inaugurare una vita in comune con
un’altra persona assume una rilevanza ancora maggiore. Soprattutto se questo
essere padroni assoluti della propria scelta si vincola all’essere padroni
assoluti della propria felicità. In questo caso se la felicità è misurata esclusivamente
sull’intensità della passione (e questo non è difficile da riconoscere), allora
è ovvio che il matrimonio, oltre a non prevederlo come una scelta irrevocabile,
diventa, come scriveva Tolstoj “un inferno”. Ma la passione è l’unico modo in
cui si può declinare l’amore? La passione, come diceva Stendhal: “non è cieca,
è visionaria”. E di visione in visione si può arrivare anche all’allucinazione.
È vero che senza visione, senza idealizzazione, non nasce alcun amore, ma non
dobbiamo dimenticare che la passione ci rende passivi, perché è lei a condurci
in quella conclusione caratterizzata dal “patire l’altro”, mentre l’amore non
si accontenta di “patire” perché vuole “agire”, e perciò col tempo rifiuta di
declinarsi sul solo versante della passione, trascinato dalla discontinuità
delle sue oscillazioni. E rifiutandosi di subire, l’amore crea, come un
artista, la sua opera d'arte. Se poi l’opera d’arte non riesce e la relazione
si chiude, ascoltiamo i consigli di James Hillman che ci invita a evitare la
vendetta che è una risposta emotiva che non emancipa la coscienza, a non cadere
nel cinismo che nega il valore dell’altro che un tempo avevamo sopravvalutato,
e ci induce a concludere che i grandi amori sono solo per gli ingenui. Non
ridicolizziamo i sentimenti più profondi per evitare di vergognarci di averli
un giorno provati. Ed evitiamo infine di diventare paranoici pretendendo da un
nuovo amore che dovesse sorgere, prove di devozione, giuramenti di mantenere la
promessa, dichiarazioni di fedeltà eterna. La fedeltà in sé non è un valore. Un
valore è l’amore, perché quando si è innamorati non c’è bisogno di imporsi
alcuna forma di fedeltà.
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